sabato 28 gennaio 2012

Due bianchi nell’Africa nera

di Bruno Corbucci (1970)


Regia: Bruno Corbucci. Soggetto e Sceneggiatura. Mario Amendola, Bruno Corbucci, Luciano Ferri. Montaggio: Daniele Alabiso. Fotografia: Fausto Zuccoli. Musica: Willy Brezza. Scenografia: Fabrizio Frisardi. Direttore di Produzione: Tommaso Sagone. Produzione: Sergio Bonotti per Mondial Te- Fi.. Distribuzione: Titanus. Interpreti: Franco Franchi, Francy Fair, Alfredo Rizzo, Enzo Andronico, Luciano Lorcas, Luigi Pagnani, Luca Sportelli, Sylvester Herbert, Ignazio Balsamo, Armando Bottin, lo scimpanzé Dun Dun del dottor Luciano Spinelli. La canzone Filiberto, cantata da Franco Franchi è di Minelli - Corbucci - Brezza. 

Il dvd del film è reperibile in edicola edito da Hobby & Work

Due bianchi nell’Africa nera è uno dei film interpretati da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia nel 1970, anno che li vede impegnati su ben nove set distinti. Bruno Corbucci è un regista non molto vicino al loro tipo di comicità, ma li lascia liberi di improvvisare. Il fratello Sergio lavora molto con la coppia comica e realizza diverse cose interessanti; Bruno lo ricordiamo solo per I due pompieri (1968), Lisa dagli occhi blu (1969) e Nel giorno del signore (1969). Il regista romano gira diversi film comici e qualche spaghetti western, ma è famoso soprattutto per i Tomas Milian movie, serie il maresciallo Nico Giraldi (delitti e squadre).

Filiberto, insieme a Franco e Ciccio in abiti da Tarzan

Franco e Ciccio lavorano in un circo insieme allo scimpanzé Filiberto che stringe con il primo un rapporto di amicizia, al punto che i due parlano, si scrivono, si comprendono, litigano come due veri amici. Nel circo lavora la bella Frida (la meteora Francy Fair), figlia del cacciatore Otto Krauser (Alfredo Rizzo), che fa perdere la testa a entrambi. Si parte per una spedizione di caccia grossa in Africa con l’aiuto di Filiberto, ma nel continente nero accadono cose imprevedibili: la scimmia si innamora, libera gli animali catturati e abbandona la spedizione. I nostri eroi cercano Filiberto, incontrano il comico avventuriero spagnolo Miguel Berrendero (Enzo Andronico), che prima li vende ai mercenari tedeschi e subito dopo li salva dalle sabbie mobili per poi consegnarli a una tribù di cannibali in cambio di diamanti. Franco e Ciccio si salvano grazie a Tarzan e subito dopo si vendicano rubando l’auto dello spagnolo con il trucco del motore che perde olio. Berrendero viene catturato dai cannibali, ma i nostri eroi rischiano di finire fucilati dai soldati perché hanno disertato. Tarzan in persona risolve la situazione, irrompendo nel teatro della fucilazione come un deus ex machina, insieme alla scimmia Filiberto. Resta lo spazio per una storia d’amore tra Tarzan e Frida che decidono di sposarsi, ma sulla nave che li porta in Europa il re della giungla comprende che non può fare a meno della libertà. Tarzan e Frida si gettano in mare e tornano sull’isola, seguiti da Franco e Ciccio che scappano dalla civiltà per riabbracciare Filiberto. La parola Fine compare sulle note di “Filiberto, voglio venire in Africa con te!”, cantata da Franco Franchi. 

Franco e Ciccio trovano un uovo di struzzo

Il film è una farsa di modesto spessore, interessante perché contamina un sacco di generi in voga e li stravolge in parodia: mondo movie, avventuroso, cinema cannibale, comico-esotico, Tarzan in gonnella (Gungala, Tarzana…), pochade, Tarzan-movie, film circensi, romantico-avventuroso e le pellicole con protagonisti gli animali. La pellicola è dedicata a un pubblico di bambini che ancora oggi sono in grado di apprezzarla e di sorridere alle evoluzioni di Filiberto. La scimmia ammaestrata è una vera attrice: scrive a macchina, fa la barba a Franco, apre le gabbie, mette i vestiti in valigia…I siparietti con Franco sono molto comici, anche perché l’attore - dotato di un volto mobile - è bravissimo a imitare la scimmia. Riferimenti alti si possono trovare nella moda della commedia terzomondista stile Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa (1968) di Ettore Scola, ma in alcuni dialoghi viene citato anche Africa addio (1966) di Gualtiero Jacopetti. Bruno Corbucci saccheggia molti documentari africani e qualche mondo movie per le sequenze (con diversa fotografia) che implicano la presenza di elefanti, leoni, giaguari, serpenti e altri animali esotici. Elefante e scimpanzé sono veri e provengono da un circo. L’Africa è periferia di Roma, campagna del litorale laziale, perché il film è girato al risparmio e il regista stringe il campo delle immagini per non fornire mai uno sguardo d’insieme e cerca di far credere - con qualche trucco scenografico - che siamo nella savana.

La meteora Francy Fair sulla copertina di una rivista belga

Due bianchi nell’Africa nera è anche una parodia del Tarzan-movie, sulla scia di Totò Tarzan (1951) di Mario Mattòli, anche se sarebbe stato davvero divertente vedere Franco Franchi nei panni di un comico re della giungla, come è cfapitato in qualche programma televisivo. Ricordiamo un’ironica parodia di Tarzan interpretata per la TV da Raimondo Vianello e Sandra Mondaini, come sigla finale del varietà del sabato sera Noi… no! (1977). Indimenticabile il motivetto “Ma quant’è forte Tarzan!”.

Enzo Andronico, l'elettrodomestico... come diceva Fulci!

Tra gli attori, sono molto bravi Alfredo Rizzo nei panni del cacciatore tedesco, Enzo Andronico come truffatore spagnolo e Luciano Catenacci cattivissimo mercenario tedesco, mentre Francy Fair mostra le lunghe gambe, ma resta una presenza coreografica. La bella tedesca passa come una meteora nel cinema italiano: Anche gli angeli mangiano fagioli (1973), Alle dame del castello piace molto fare quello (1970), Favole calde… per svedesi bollenti (1970) e il televisivo Salto mortale (1969(), sono le poche interpretazioni in carriera. Sylvester Herbert è un Tarzan ingessato, tipico del cinema comico. Franco Franchi e Ciccio Ingrassia danno libero sfogo alla comicità genuina che li contraddistingue, improvvisando sulla base di un esile canovaccio, senza lesinare su battute e doppi sensi verbali.

Alfredo Rizzo, il cacciatore tedesco

Franco: “Sei un barone!. Ciccio: “Effettivamente possiedo antenati nobili”. Franco: “No, sei un baro, un grosso baro! Sei un imbroglione!”. Franco delizia il pubblico imitando scimmia, cavallo, gallina, muovendo il volto nei modi più impensati, strabuzzando gli occhi e gridando a più non posso. Quando i due comici finiscono nel bel mezzo di un’esercitazione militare ed esplodono bombe, Franco esclama: “Li mortai loro!”. Ancora (citando Jacopetti): “Non vedo l’ora di dire Africa addio!”. Non mancano espressioni sicule come: “Corna e ricorda la iella ritorna”. Si citano canzoni romantiche stravolte in un dialogo comico: “Vieni c’è una strada nel bosco, il suo nome conosco, vuoi conoscerlo tu…”. Apprezziamo ancora comicità mimica quando Franco affamato mangia una banana a un bambino africano, che gliela porge mentre la mamma non vede. La scena delle sabbie mobili è la più divertente della pellicola, in seguito citata da molti film, ultimo dei quali  il cinepanettone Natale in Sudafrica (2010) di Neri Parenti, dove Belen Rodriguez soccorre Massimo Ghini ed Enzo Panariello e finisce per mettere in scena una sequenza sexy. Franco che si toglie la cintura e la getta nelle sabbie mobili non è la stessa cosa di Belen che rimane seminuda davanti agli esterrefatti esploratori. Altre parti comiche le ricordiamo nel villaggio dei cannibali: “Esploratore vecchio fa buon brodo”, dice Andronico, mentre Franco afferma: “Tutti i mali vengono per cuocere”. Franco chiama Tarzan con l’appellativo Don e quando precipita dalla capanna ricavata in cima a un albero chiede: “Don Tarzan, perché non mettete l’ascensore?”. Franco e Ciccio vestiti con abiti da Tarzan sono esilaranti, ma ancor più divertenti risultano in un pezzo da avanspettacolo con Alfredo Rizzo che ride e loro interpretano le risate a tempo di musica. Franco cita pure Il barbiere di Siviglia: “Uno alla volta per carità!”, quando il cacciatore tedesco dà ordini a ripetizione e lui non capisce più niente. Nel finale la farsa evolve in pochade stile torte in faccia e rissa nel saloon, con Tarzan che risolve la situazione e come premio chiede la mano della bella Frida. Ottimo il discorso sulla civiltà: “Io ne ho sentito parlare della civiltà… povero Tazan, lo abbiamo fregato bene con la civiltà! Respirerà gas, pagherà le tasse, farà il servizio militare…”, dice Franco. Il messaggio finale prevede un ritorno alla natura, perché la cosiddetta civiltà non è così buona. Rizzo chiude la pellicola: “Mia figlia ha preferito Africa nera”. “E tu?” chiedono altri passeggeri della nave. “Io… Europa bianca!”.

Luciano Catenacci, il mercenario tedesco

La critica alta stronca il film o lo omette volontariamente. Merghetti e Morandini stendono un pietoso velo di silenzio. Pino Farinotti è il più buono, concede due stelle, giudica i due comici spassosi, ma non va oltre. Marco Giusti, invece, è estasiato: “Cultissimo immortale. Uno dei più grandi film di Franco e Ciccio diretti alla grande da Corbucci. Ma forse è vincente solo l’idea di spedirli in Africa sul tipo di Riusciranno i nostri eroi… o di mettere Franco a recitare assieme a una scimmia. Il film è di una tenerezza paurosa con le sue vecchie gag e le sue battute per bambini. Da non perdere. Franco e la scimmia Dun Dun sono scatenati”. Siamo molto vicino all’impostazione di Marco Giusti, anche se il giudizio benevolo è condizionato dalla simpatia nei confronti di una comicità che ha accompagnato la nostra infanzia. Due bianchi nell’Africa è una farsa sgangherata e bislacca, tenuta in piedi solo dalla presenza dei due attori siciliani che la ravvivano con smorfie, lazzi e trovate geniali. Distribuito in Francia come Deux corniauds dans la brousse. In Germania come Zwei Trottel in Africa.

Alcune sequenze del film (la scena in cui un Franco affamato mangia la banana al bambino): http://www.youtube.com/watch?v=TajynUs_8e8

Gordiano Lupi

giovedì 26 gennaio 2012

Pallottole su Broadway

Il Cinema di Claudia - 2

PALLOTTOLE SU BROADWAY
di Claudia Marinelli


Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen e Douglas McGrath
Scenografia: Santo Loquasto
Montaggio: Susan E. Morse
Costumi: Jeffrey Kurland
Fotografia: Carlo di Palma
Cast: John Cusack, Jack Warden, Chazz Palminteri, Jennifer Tilly, Rob Reiner, Marie Luoise Parker, Diane Wiest, Harvey Fierstein, Tracey Ullman
Produzione: U.S.A. 1994
Oscar: Diane Wiest come migliore attrice non protagonista
Nomination: Chazz Palminteri e Jennifer Tilly come migliori attori non protagonisti - Woody Allen e Douglas McGrath per la sceneggiatura

Il mondo dei gangster, dei mafiosi senza scrupoli, delle ballerine di locali notturni e del teatro serio di Broadway si amalgamano brillantemente in questa commedia gustosa e avvincente ambientata a New York durante i ruggenti anni ’20.
David Shayne (John Cusack), un giovane idealista laureato in drammaturgia presso una prestigiosa Università degli Stati Uniti, ha scritto un dramma che non riesce a far rappresentare fino a quando, il produttore Julian Marx (Jack Warden), trova i fondi per la messa in scena: il gangster Nick Valenti finanzierà il tutto a condizione che Olive Neal (la bravissima Jennifer Tilly), la sua ragazza, reciti nel ruolo chiave della psichiatra. Ma Olive, ballerina di cabaret con velleità di attrice, è un’ochetta mantenuta con un cervello di gallina che non potrebbe mai neanche far finta di fare l’attrice o la psichiatra!
Dopo aver accettato questo primo compromesso, David non riesce più a respingere le numerose seduzioni del mondo del teatro di Broadway. Trascura la sua ragazza Elaine, si adatta ai capricci degli attori  e adatta il suo manoscritto, prima alle esigenze di Helen Sinclair (Diane Wiest) attrice di fama internazionale che vuol far diventare il suo personaggio più vivo e appariscente, poi a quelle di Warner Purcel, attore protagonista con gravi problemi nutrizionali  e, infine, a quelle della guardia del corpo di Olive, il gangster Cheech (Chazz Palminteri). 
Cheech, con un incredibile intuito, riesce più volte a sbloccare il testo di David che risulta ostico e poco rappresentabile sulla scena. Egli suggerisce dei ritocchi alla storia e al linguaggio, in un primo momento, poi delle vere e proprie trasformazioni della trama del dramma per finire col riscrivere, quasi completamente, il testo originale del giovane scrittore di nascosto dagli attori. Cheech non sembra interessato a rivendicare il merito del suo lavoro, lascia che David ne riceva tutte le lodi.
La commedia viene rappresentata e, malgrado l’interpretazione più che mediocre di Olive, è un successone. Tutto il mondo della letteratura e del teatro  acclama David come un nuovo e interessantissimo drammaturgo! David non smentisce, ma Cheech, che ora sa di aver prodotto un’opera d’arte, non tollera più che una mediocre attricetta come Olive rovini il suo lavoro e… non trova di meglio che ucciderla per liberarsene!  Scoperto da Nick Valenti, anche Cheech verrà inseguito e ammazzato con due colpi di pistola, nelle quinte del teatro dove si sta rappresentando il suo dramma, e spirerà nelle braccia di David regalandogli un’ultima geniale battuta da aggiungere al testo. David si rende conto, allora, di non essere un artista; va a ricercare la sua amata ragazza, le chiede di sposarlo e decide di tornare nella sua città natale per diventare un professore.
Il film è una commedia vivace la cui storia procede senza momenti morti, grazie ai brillanti dialoghi, avvalorati dalla deliziosa fotografia di Carlo Di Palma, dalle simpatiche musiche anni ’20, e dai divertenti colpi di scena.
Ma i film di Woody Allen non sono mai solo e soltanto puro divertimento; che egli ci faccia ridere ridicolizzando le dittature, il sesso, lo sport, l’amore o le nevrosi di una parte degli americani, insinua sempre nello spettatore delle domande. Questo film non è diverso dagli altri.
David è colto, ha studiato drammaturgia, si è laureato a pieni voti, parla e scrive in modo erudito e poetico, ha dunque tutti i requisiti per essere un bravo drammaturgo, ma il suo dramma in scena “non regge”, è noioso, i dialoghi sono troppo ricercati, le situazioni contraddittorie e inverosimili, un brutto lavoro insomma.
Cheech è un gangster, ha forse fatto la quinta elementare, si esprime male, non ha probabilmente mai letto un libro di letteratura, non conosce le “buone maniere”, ma i dialoghi che riscrive al posto di David in scena “reggono”, le situazioni da lui proposte sono interessanti, accendono la curiosità dello spettatore, il dramma sul palcoscenico vive di vita propria, è bello.
Chi è l’artista allora?
E’ sufficiente aver condotto degli studi brillanti, essere colto, provare un profondo amore per una determinata arte, per poter diventare un fautore di questa stessa arte? Un’artista? 
O l’artista è colui che ha  “un qualcosa” dentro ed è capace di esprimerlo a dispetto del mondo che lo circonda e delle personali limitazioni culturali? Colui che è capace di difendere la propria opera a qualsiasi costo, e… (siamo in un film e le situazioni sono volutamente portate all’estremo) anche di morire per essa? Colui al quale fama e soldi sono indifferenti, visto che egli vivrà comunque attraverso la sua creazione?
Woody Allen sembra proprio pendere per questa seconda definizione dell’artista.
E’ giusto che un’artista “si crei il proprio universo morale” come dice ad un certo punto uno dei personaggi, a discapito della “morale comune” e dei sentimenti delle persone? Cheech per salvare la sua opera dalla mediocrità di un’interpretazione sbagliata, uccide, ma David è oppresso dai sensi di colpa quando tradisce la sua ragazza con Helen Sinclair. Cheech si è creato il suo “universo morale” per difendere la sua opera d’arte, naturalmente viene punito, ma ha avuto il coraggio di seguire una logica, una “morale” solo sua, opposta alla “morale comune”.
L’opinione è quella di Woody Allen, naturalmente, e può essere contestata, (quanti libri sono stati scritti da illustri letterati e filosofi sul problema dell’arte e della morale?). Ma lo scopo di un film, che non vuole essere soltanto divertimento fine a se stesso, non è forse quello di porre delle domande e degli spunti di riflessione? Per cui, se dopo aver visto “Pallottole su Broadway”, contestiamo, parliamo o semplicemente riflettiamo sulla natura dell’arte, significa che il film, facendoci ridere, ci ha dato molto di più di due semplici ore di divertimento. 

domenica 22 gennaio 2012

Lo squallore della nuova commedia italiana

Che bella giornata (2011) di Gennaro Nunziante
Maschi contro femmine (2010) di Fausto Brizzi


Mi sono visto in due giorni consecutivi questi film campioni d’incasso, così amati dal pubblico, e da quando ho spento il lettore dvd continuo a chiedermi il motivo di un successo che reputo inspiegabile. Non vorrei fare la stessa fine dei critici che stroncavano Totò, Franco & Ciccio, Mario Bava, Lucio Fulci e dopo qualche anno sono stati costretti a ricredersi. Mi sono reso conto che persino Nocturno parla di questi film, li analizza come specchio di un’epoca, come un fenomeno di costume. Devo vederli, mi sono detto, non sia mai che un amante del cinema bis degli anni Sessanta e Settanta si faccia condizionare dalla critica alta. Se piacciono al pubblico ci sarà del buono, ho pensato.


Ecco, ora che li ho visti devo dire che ci capisco meno di prima. Forse sono vecchio per apprezzare un certo tipo di comicità cialtrona e non sono in grado di comprendere l’imbranataggine studiata di un Checco Zalone. Forse non guardo abbastanza televisione per capire le storie di Fausto Brizzi che ricordano in peggio le telenovelas brasiliane. Una volta la commedia all’italiana era specchio dei tempi, ridendo castigat mores, si diceva, parafrasando i latini. Ma adesso? I nostri tempi sono davvero immortalati dalle stupide battute di un Checco Zalone e dalle trame risibili di Fausto Brizzi? Forse sì, forse è questo il segreto del successo, forse sono io fuori dal tempo, che cerco ancora la comicità sgangherata di Franco e Ciccio, i nonsense di Diego Abatantuono, persino il trash voluto e trasgressivo degli Squallor. Ricordate Arrapaho di Ciro Ippolito? Altra roba. Altro cinema. Non sto facendo il paragone con Ettore Scola (C’eravamo tanto amati) e Mario Monicelli (Amici miei). No davvero. Sto parlando degli Squallor, dei Vanzina, di Renato Pozzetto, dei Pierini… 


Maschi contro femmine ha incassato 13.612.000 euro. Incredibile, ma vero. Ergo, hanno ragione loro. Pare che sia uscita anche la seconda parte (Femmine contro maschi, 2011, stesso regista), che sarà un nuovo successo. Mi asterrò dal guardarla.
Che bella giornata, invece presenta un incasso di 43.466.302 euro, secondo solo ad Avatar, ma prima di Titanic e de La vita è bella. Ancora più incredibile, ma comunque vero. Checco Zalone ha scritto pure il soggetto (sic!) di questo film orribile, privo di tempi comici, sceneggiato con i piedi, girato con tecnica televisiva, interpretato da veri cani. Rocco Papaleo e Tullio Solenghi, che sono due attori discreti, affogano in questo mare di non cinema, tra battute che non fanno ridere nessuno e considerazioni stupide. Gennaro Nunziante è il regista di fiducia di Checco Zalone, visto che ha già diretto (sic!) Cado dalle nubi (2009), altro grande successo di pubblico. Forse in tempi di televisione imperante e di disaffezione del pubblico dal vero cinema, questo è il cinema che l’italiano vuole vedere al cinema. Scusatemi il gioco di parole. Volevo dire che siamo abituali agli spettacoli televisivi, quindi non vogliamo sorprese. Al cinema ci sta bene il niente su grande schermo, ergo, di nuovo la televisione. Nanni Moretti una volta recitò una battuta polemica in un vecchio film: “Ve lo meritate, Alberto Sordi!”. Ragazzi, facciamo bene attenzione, parlava di Alberto Sordi. Qui l’oggetto del contendere sono Checco Zalone e le telenovelas di Fausto Brizzi. Che squallore. 

Gordiano Lupi

giovedì 19 gennaio 2012

Il Cinema di Claudia 1 - Il Gioco dei rubini

Claudia Marinelli, collabora al blog con una rubrica settimanale

IL GIOCO DEI RUBINI

Recensione di CLAUDIA MARINELLI

Regia: Boaz Yakin

Sceneggiatura: Boaz Yakin
Scenografia: Dan Leigh
Musiche: Lesley Barber
Montaggio: Artur Coburn
Costumi: Ellen Lutter
Cast: Renee Zellweger,  Christopher Eccleston, Julianna Margulies, Allen Payne, Glenn Fitzgerald, Shelton Dane.
Produzione: U.S.A. 1998
Durata: 117 minuti

Dall’acclamato direttore di “Fresh” (1994), Boaz Yakin, ecco un secondo interessantissimo film passato quasi inosservato  nelle sale italiane alla fine degli anni ‘90. Sonia (Renee Zellweger che avevamo già apprezzato nel film “Jerry Macguire”) è una giovane donna cresciuta ed educata nella comunità ebraico-ortodossa in America, secondo gli schemi e i rigidi precetti della Bibbia. La sua vita rispecchia ciò che i suoi genitori volevano per lei: si è sposata con Mendel,un giovane professore erudito e fermamente credente, ha dato alla luce un figlio maschio, vive in una casa decente in un quartiere popolato da ebrei ortodossi come lei. La vita dovrebbe scorrere senza problemi ma, per Sonia la casa, la famiglia, la vita matrimoniale e i rapporti sessuali con il marito non sono soddisfacenti perché deve costantemente combattere con le sue passioni latenti e le sue esigenze sessuali che diventano, con il passare del tempo, più impetuose e incontenibili. Sonia intreccia una relazione adulterina e angosciante con il cognato Sender, con il quale ha dei rapporti sessuali freddi e ostili. Questa esperienza fa riflettere la protagonista e la spinge a capire se stessa, le sue vere esigenze di persona e di donna e a intraprendere una carriera nel commercio dei gioielli. Il lavoro permetterà a Sonia di avere contatti con il mondo esterno alla sua comunità e, mano a mano che scoprirà un mondo diverso da quello nel quale è cresciuta,  dovrà lottare contro suo marito, la sua famiglia, la sua comunità, nonché con se stessa per affrancarsi dai tabù e conquistare la libertà alla quale anelava. Per vivere libera ed essere se stessa, Sonia pagherà un prezzo altissimo, un prezzo ben più alto di tutti i gioielli e i rubini che vende. Il titolo in lingua originale “A price above the rubies” (letteralmente “un prezzo al di sopra dei rubini”) sintetizza perfettamente la trama.
Ottimamente diretto e curato nei minimi dettagli da Boaz Yakin (ebreo di nascita, educato nelle scuole Yashiva di New York), che ne ha anche scritto la sceneggiatura, il film si avvale di una valida scenografia, di bravi costumisti e truccatori e di un cast di attori di tutto rispetto tra i quali ricordiamo, in ruoli secondari, Julianna Margulies, Allen Payne, Kathleen Chalfant, Glenn Fitzgerald, Christopher Eccleston e il piccolo Shelton Dane. La storia è raccontata dal punto di vista della protagonista che, contrariamente agli insegnamenti ricevuti, mette al primo posto le sue esigenze individuali e personali  davanti a quelle del gruppo in cui vive: Sonia non è disposta a sacrificare se stessa in cambio di una stabilità familiare e del benestare della comunità in cui vive. Il film apre così la porta ad un dibattito antichissimo (pensiamo all’ “Antigone” di Sofocle) e pertanto sempre attuale: i bisogni e le credenze del singolo sono più importanti della stabilità della comunità in cui si vive, delle leggi? È giusto sacrificare una stabilità familiare ed emotiva, una “rispettabilità”, per ricercare la propria libertà? Sono più importanti le leggi dettate dalla comunità che garantiscono, nel bene e nel male, la stabilità della comunità stessa, o le aspirazioni e convinzioni individualistiche e personali? E quale prezzo è giusto pagare per aver infranto determinate regole? La protagonista del film, in fondo come Antigone, risponde alla domanda con una scelta individualistica e ne paga il carissimo prezzo: la perdita del suo bambino, degli affetti familiari, della sicurezza economica. Sonia diventa così un’eroina a tutti i livelli perché ha il coraggio di guardarsi dentro e di accettare le conseguenze della sua lucidità.
Il film è privo di retorica; non sembra esserci, da parte del regista-sceneggiatore, la volontà di emettere un giudizio sul modo di vita della comunità ebraico-ortodossa, egli cerca di non far trasparire le proprie opinioni personali, questo atteggiamento forse a noi europei, disturba un po’. Il regista sembra volerci dire, in un modo tutto americano, che se si appartiene per cultura, o educazione, o per convinzione e credo personale ad una certa società e non si sente il bisogno di cambiare, nessuno ha il diritto di giudicare se questa appartenenza sia giusta o sbagliata. Ma, se si è “diversi”, vivere nella comunità sbagliata e non avere il coraggio di reagire e incamminarsi su di una strada differente, è errato. In quest’ottica possiamo spiegare molti fenomeni “americani”: le comunità chiuse dei Mormoni nello Utah, le comunità amish in Pennsylvania e, naturalmente, le comunità ebraico-ortodosse sparse  negli Stati Uniti e nella città di New York. Boaz Yakin sembra volerci dire, attraverso le parole dei suoi personaggi, che, se una convinzione è profonda e vera, va sempre rispettata: il marito di Sonia è veramente credente ed anche buono, non infierisce sulla moglie e, alla fine del film, la capisce e accetta il fatto che  la moglie non possa più vivere con lui perché profondamente diversa; la stessa cosa fa la moglie del vecchio Rabbino che aiuta Sonia, alla fine del film, a riprendere il suo anello. Il film è particolarmente interessante per i dialoghi.  Si raccomanda vivamente a chi conosce bene l’inglese, di vederlo in lingua originale. Boaz Yakin “gioca in casa” e, sapientemente, ha saputo far parlare i suoi personaggi con accenti differenti, tutti di New York, a seconda  delle origini culturali ed etniche. Queste sfumature  si perdono con la traduzione. Particolare attenzione è stata data  ai costumi e al trucco. Le donne ebree-ortodosse in quartieri come Borough Park (il quartiere di Brooklyn dove è stato girato il film) vestono proprio come le attrici e le comparse del film, quelle sposate portano delle parrucche perché, dice la Bibbia, la donna sposata deve coprire il capo. La Bibbia, però, non dice con che cosa bisogna coprire la testa e allora, le donne  di quella particolare comunità, per rimanere belle e attraenti, coprono i loro capelli con altri capelli. Ben fatta anche la descrizione degli interni, che somigliano agli interni di case ebraiche ortodosse dall’arredamento spesso pesante e massiccio con stanze divise da grandi porte a vetri, sedie e divani protetti da fodere di plastica. “Il gioco dei rubini” è sicuramente un film da vedere per saperne di più su di un mondo che noi, qui in Europa, neanche immaginiamo possa esistere al di là dell’oceano in una città come New York, ma che pertanto rappresenta una realtà sulla quale, se vogliamo, ci potremo interrogare.

A PRICE ABOVE THE RUBIES

Review by CLAUDIA MARINELLI

Director: Boaz Yakin
Screenplay: Boaz Yakin
Music: Lesley Barber
Editing: Arthur Coburn
Costumes: Ellen Lutter
Cast: Renee Zellweger, Christopher Eccleston, Julianna marguiles, Allen Payne, Glenn Fitzgerald, Shelton Dane
Producer: U.S.A., 1998
Running Time: 117 minutes


Director Boaz Yakin, after the success of the movie “Fresh” (1994) comes up again with a second interesting film. Sonia (Renee Zellweger) is a young woman that grew up in a Jewish Orthodox community in America and was educated in the respect of the hard and strict Bible rules. Her life reflects what her parents wanted for her: she’s married to Mendel, a young, learned, deeply religious teacher, she gave birth to a son, she lives in a decent house among the Jewish Orthodox community in New York. Apparently Sonia’s life has no problems, but deep in herself she feels that her house, her family, her married sexual life can’t satisfy her: she must fight constantly her inner passions and her sexual needs that become, as the time goes by, impetuous and uncontrollable. Sonia starts an adulterous  and distressing relationship with her brother-in-law Sender, with who she has cold and hostile sexual experiences. But these same experiences make Sonia think about herself, her real needs as a person and as a woman and pushes her  to start a business in the jewel trade. This job will allow her to know the world outside the Jewish Orthodox community and as she will discover  a world different from the one she grew up in, she’ll have to fight with her husband, her family, her community, and with her inner self  to refuse the taboos and conquer the freedom she wants. But freedom has a very high prize, a prize higher than all the jewels and rubies Sonia can sell. Boaz Yakin directed the movie with tact and carefulness, as a Jew educated into the New York Yashiva schools he wrote a screenplay that never lacks of coherence and reflects the real way Jewish Orthodox people express themselves. The setting reproduces carefully the Jewish Orthodox interiors (with the glass doors to divide rooms for example or the plastic covers to protect the upholstery), the actors speak with the right accents, and dress as people do in Borough Park, for example). The story is told from Sonia’s point of view. Sonia refuses her own education and places her own needs before the needs of the community she lives in. She can’t sacrifice herself for a familiar stability, or the stability of her community. The movie then , opens a very old discussion (let’s think about the Sophocle’s “Antigon”) that is still very modern: are the needs and the beliefs of a single person more important than the ones of the  community we live in? Is it right to sacrifice the family stability and emotionality, the “respectability”, to get  your own freedom? Are the laws given by the community that guarantee, for good and for bad, the stability of the same community more important than the personal beliefs and aspirations, or dreams? And what price should a person pay to have broken the rules? Sonia, like Antigon, answers  this question in an individualistic way and pays a very high price: she looses her son, the love of her family and relatives, her financial security. She becomes  an heroin at all levels because she has the courage to  see herself for what she is and bear the consequences.
The movie has no rhetoric, Boaz Yakin doesn’t want to judge  the Jewish orthodox way of living. He seems to tell us that if you belong, because of your culture, or education, or personal beliefs to a certain community, and you don’t feel  the need to change, nobody has the right to say if your way of living is right or wrong. But if you’re “different”, to live in the wrong community, and not having the courage to react and take another “path”, is wrong. Through the words of the characters in the movie we can understand that the director is telling us that if a belief is deep and true, it has to be always respected: Sonia’s husband is a true believer, and a good person, he understands his wife and at the end of the movie he accepts the fact that his wife can’t live with him anymore  because she’s deeply different. The Rabbi’s wife too understands Sonia and helps her to get her ring back. “A Price above the Rubies” is a movie to watch to ask ourselves more questions about where we belong and how do we accept the community we live in.

lunedì 16 gennaio 2012

J. Edgard (2011)

di Clint Eastwood


Regia: Clint Eastwood. Sceneggiatura: Dustine Lance Black. Fotografia: Tom Stern. Montaggio: Joel Cox, Gary D. Roach. Scenografia: James J. Murakami. Produttore: Clint Eastwood, Robert Lorenz, Brian Grazer, Ron Howard per Imagine Entertainment, Malpaso Productions, Wintergreen Productions. Interpreti: Leonardo Di Caprio, Armie Hammer, Naomi Watts, Josh Lucas, Ed Westwick, Lea Thompson, Dermot Mulroney, Jeffrey Donovan, Stephen Root, Judi Dench, Ken Howard.


J. Edgard è un film che divide la critica. Alcuni lodano l’opera come un capolavoro che conferma la grande maturità artistica di Clint Estwood, altri lamentano un passo indietro per narrazione monotona e personaggi monocordi. Gianni Rondolino su La Stampa del 16 gennaio 2011 scrive che la sceneggiatura di Dustine Lance Black è lenta, i personaggi di contorno sono monodimensionali, che il film è espresso in una forma narrativa inadatta a mostrare il lato umano del personaggio e quarant’anni di storia statunitense. Non condivido una simile stroncatura. J. Edgard è un film che coniuga l’aspetto storico - biografico con i drammi interiori, racconta il pericolo comunista degli anni Venti, la criminalità organizzata, i gangster, l’assassinio Kennedy, le proteste nere, Martin Luther King, l’avvento di Nixon, narrando la vita di John Edgard Hoover, direttore dell’F.B.I..


Clint Estwood descrive con delicatezza la storia di un amore omosessuale tra Edgard e il suo braccio destro Clyde Tolson, rapporto che li unisce per tutta la vita senza avere consacrazione pubblica. Edgard avrà bisogno di Clyde per tutta la vita, la sola persona capace di dargli sicurezza, oltre alla segretaria privata Helen, che dopo la sua morte distruggerà i fascicoli segreti. Il regista mostra con dovizia di particolari il carattere di Edgard: succube della madre, balbuziente corretto dai medici e per questo soprannominato spiccio, determinato, innamorato del lavoro, ossessionato dal pericolo comunista e deciso a tutto pur di salvare la sua patria. Toccante la parte che ricostruisce il rapimento e la morte del piccolo Lindbnerg con le meticolose indagini che portano alla cattura del responsabile. Gli attori principali sono molto bravi. Leonardo Di Caprio è convincente sia quando interpreta Edgard da giovane, pieno di insicurezze e di timidezza mascherata da atteggiamenti eccessivi, sia da anziano, con le paure tipiche di un’età che lo porta a temere la morte. Armie Hammer è un ottimo Clyde Tolson, sempre vicino al suo uomo, pronto a correggere errori e far notare difetti, fino alla fine, quando lo accusa di aver dettato un’autobiografia poco sincera. Brava anche Naomi Watts nei panni di una segretaria che condivide le scelte di Edgard per tutta la vita.


Il regista mette in scena una sceneggiatura riflessiva ma non ripetitiva, mai noiosa e a tratti commovente (la morte della madre, i due amici che invecchiano…) che alterna passato a presente, usando molti flashback e geniali dissolvenze per raccontare la storia degli Stati Uniti e la vita privata di due uomini. Un film che a torto è stato definito inutile, mentre è un lavoro geniale e coraggioso che cerca di far luce su alcuni momenti oscuri della storia americana. 

Trailer:

sabato 14 gennaio 2012

Gamera contro il mostro Gaos (1967)

di Noriaki Yuasa

Il dvd della Mosaico Media in tiratura limitata

Regia: Noriaki Yuasa. Sceneggiatura: Nisan Takahashi. Fotografia: Akira Vehara. Musica: Tadashi Yamauchi. Montaggio: Tatsuji Nakashizu. Effetti Speciali: Kasufumi Fujii e Yuzo Kaneko. Produzione: Hidemasa Nagata e Hideo Nagata per Daiei Studios e Toey Company. Interpreti: Kojiro Hongo, Kichijiro Ueda, Reiko Kasahara, Naoyuki Abe, Taro Marui, Yukitaro Hotaru, Yoshiro Kitahara, Akira Natsuki, Shin MInatsu. Titolo originale: Gamera tai Gyaosu. Doppiaggio italiano: Cinefonico Roma con la partecipazione della C.D.C.. Versione italiana: O. G. Caramazza. Eastmancolor.


Il Giappone è sconvolto da terremoti ed eruzioni vulcaniche che terrorizzano la popolazione. Le eruzioni del vulcano Fuji richiamano il mostro Gamera che si nutre di lava, mentre i movimenti tellurici fanno emergere dal sottosuolo il terribile Gaos, una sorta di pterodattilo preistorico che si nutre di sangue e distrugge tutto grazie a un potente raggio verde. Gaos rapisce un bambino di nome Eichi, ma in suo aiuto giunge Gamera che lo salva dalla morte, vola via con il piccolo aggrappato alla corazza e lo consegna ai suoi cari. Gli scienziati giapponesi cercano di scoprire il punto debole di Gaos, mostro vampiresco che colpisce di notte ed è assetato di sangue. Si capisce che il sole e i raggi ultravioletti sono letali per il terribile essere preistorico, ma solo Gamera potrà liberare la Terra dalla minaccia. Tra Gamera e il piccolo Eichi esiste un legame di natura telepatica che il regista non approfondisce ma dà quasi per scontato. La simpatica tartaruga volante diventa l’idolo dei bambini di tutto il mondo, proponendosi come mostro amico dei piccoli che salva l’umanità.


Gamera contro il mostro Gaos può essere di nuovo apprezzato in Italia grazie a una produzione dvd della Mosaico Media per la serie Fantacult, che mette sul mercato un’edizione spartana (priva di extra), in tiratura certificata di mille copie, una vera chicca per collezionisti. Gamera è la risposta della Daiei al grande successo di Godzilla prodotto dalla rivale Taho, ma la fattura non è allo stesso livello, gli effetti speciali sono più rozzi e i mostri più caricaturali. Il mostro Gaos è abbastanza inquietante con un corpo nero da pipistrello preistorico, la faccia triangolare, la caratteristica vampirica di succhiare il sangue e il punto debole costituito dai raggi del sole. La pellicola è costruita ancora una volta attorno alla paura atomica di un Giappone sconvolto da esplosioni, ma anche sui mostri della tradizione che si nutrono di lava per esorcizzare il timore delle frequenti eruzioni vulcaniche. Tutto è costruito in studio con modellini in scala, mentre i mostri sono mimi che indossano costumi e si muovono goffamente tra montagne di cartapesta ed elicotteri giocattolo. I raggi del mostro Gaos derivano da una sovrimpressione della pellicola, così come il fuoco che esce dalla bocca di Gamera è un altro prodotto artigianale. Il film è accompagnato da una suggestiva colona sonora che non si ferma mai e sottolinea in un crescendo emotivo le parti più avventurose. Le sequenze che mostrano la battaglia di Gamera e Gaos a Tokyo ricordano analoghi film della serie Godzilla, ma sono ben fatte soprattutto le parti ambientate allo Stadio Olimpico. Nel film vediamo del sangue, usato come esca per catturare Gaos, abbiamo persino delle vittime tra la popolazione, ma il regista fa in modo che tutto venga solo intuito. Sangue verdastro zampilla dalle ferite dei mostri, le dita staccate dal corpo di Goas si rigenerano in fretta mentre Gamera si cura nel fondo del mare. “Solo Gamera ci salverà”, afferma il bambino. Infatti nella sequenza finale il mostro buono azzanna Gaos al collo e lo scaraventa nel vulcano. Tutto si conclude con il piccolo Eichi che saluta il volo di Gamera.


Il primo film della serie Gamera è inedito in Italia: Daikaiju Gamera (1965) di Noriaki Yuasa e dà il via a un ciclo di otto film, oltre a un tardo sequel contemporaneo. Il secondo film è Attenzione! Arrivano i mostri (1966) di Shigeo Tanaka, che mette in scena una lotta tra la tartaruga volante che sputa fuoco e il mostro Barugon, nato da un uovo in un’isola della Nuova Guinea. La serie è quasi completamente dedicata ai bambini, ma il film di Tanaka ha toni più cupi, quasi da horror, e piccole trovate geniali: Barugon lancia raggi congelanti dalla lingua e un raggio di fuoco dalla schiena, inoltre nasce da un uovo grazie ai raggi infrarossi. Noriaki Yuasa - regista degli altri episodi - cura gli effetti speciali. Vediamo in breve gli altri film della serie Gamera, a parte Gamera contro il mostro Gaos che è il terzo capitolo. Il mostro invincibile (1968) di Noriaki Yuasa è dedicato ai bambini ed è pieno di materiale riciclato da altre pellicole. Gamera viene controllato dagli alieni che rapiscono due boy scout e spingono la tartaruga volante a distruggere Tokyo. Nella versione italiana Gamera è ribattezzato Grande King. King Kong contro Godzilla (1969) di Noriaki Yuasa in Italia viene spacciato per un film della serie Godzilla, ma sarebbe Gamera contro Giron (Gamera tai daiakuju Giron) e sono sempre i nostri produttori a ribattezzare la tartaruga Grande King. Kinkong l’impero dei draghi (1970) di Noriaki Yuasa è un altro film per bambini che mette in scena la lotta tra Gamera e il mostro Jiger che impianta una larva nel suo corpo come succederà in Alien. Sono inediti in Italia Gamera tai Shinkai kaiju Jigura (1971) e Uchu kaiju Gamera (1980), sempre girati da di Noriaki Yuasa. Gamera the brave/Il ritorno di Gamera (2006) di Ryuta Tasaki è un tardo sequel di ottima fattura che affrontiamo in un capitolo autonomo.

Per avere il film: http://www.mosaicomedia.it/
Per vedere alcune sequenze: http://www.youtube.com/watch?v=mvpQNOH0xb8

venerdì 13 gennaio 2012

Ti presento un amico (2010)

di Carlo Vanzina 


Regia: Carlo Vanzina. Soggetto: Enrico Vanzina e Francesco Massaro. Sceneggiatura: Carlo Vanzina, Enrico Vanzina e Francesco Massaro. Fotografia: Carlo Tafani. Montaggio: Raimondo Crociani. Musica: Francesco De Robertis. Scenografia: Serena Alberi. Costumi: Daniela Ciancio. Distribuzione: Warner Bros Italia. Interpreti: Raoul Bova, Martina Stella, Kelly Reilly, Barbora Bobulova, Vanessa Heir, Tanja Ribic, Sarah Felderbaum, Paolo Calabresi, Teco Celio, Fabio Ferri, Carlo Gabardini, Alessandro Bolide.

Il bacio tra Martina Stella e Raoul Bova

Marco è un giovane manager di un’azienda di cosmetici trasferito a Milano per esigenze di lavoro. Fresco single per aver rotto un fidanzamento si trova coinvolto in una serie di relazioni che durano lo spazio di una notte con donne belle e affascinanti. Marco prova a impostare un discorso affettivo con le ragazze ma ognuna di loro ha una storia complessa ancora in corso. Raoul Bova è un bel manager addetto al marketing, ambito da quattro donne, che cerca di barcamenarsi tra lavoro e situazioni sentimentali. Il film viene girato alla fine del 2009 tra Milano e Londra. Si tratta di una commedia sofistica all’inglese, allegra e romantica, ricca di colpi di scena. 

La sequenza sexy tra Barbora Bobulova e Raoul Bova

La tematica è ispirata alla realtà economica contemporanea, perché il protagonista è un brillante manager di una grande azienda di cosmetici trasferito da Londra a Milano con l’ingrato compito di licenziare personale e far quadrare il bilancio. La commedia sentimentale nasce dalla presenza di quattro donne affascinanti che sconvolgono l’esistenza del dirigente.

Regista, sceneggiatore e protagonisti principali

I fratelli Vanzina non sono nuovi alla direzione di una commedia sofisticata di ambientazione inglese, perché in passato hanno girato South Kensington, ma neppure lo sceneggiatore Francesco Massaro è alle prime armi, visto che da regista ha scritto e diretto Ti presento un’amica (1987). Il soggetto del film ricorda Tra le nuvole (2009) di Jason Reitman, dove la storia ruota intorno a un manager tagliatore di teste interpretato da George Clooney. La pellicola risulta godibile e briosa, anche se alcuni personaggi sono stereotipati, la sceneggiatura non è sempre di prima mano e alcune trovate risultano ripetitive. Raoul Bova è molto bravo, come attore non ha bisogno di dimostrare niente, può interpretare ruoli brillanti, sentimentali, drammatici, senza problemi. Il personaggio del manager non lo aiuta, perché bloccato da una sceneggiatura che permette pochi svolazzi. Il cast femminile è composto di donne bellissime: Barbora Bobulova, Martina Stella, Sarah Felberbaum e Kelly Reilly, diverse tra loro ma intriganti e sensuali al punto di mettere in crisi il protagonista maschile.

Martina Stella

La pellicola è un esercizio di stile, come fa notare gran parte della critica, e non presente nessuna innovazione nel nostro panorama cinematografico. Molti riferimenti ricordano il vecchio film di Francesco Massaro, dove il manager era Giuliana De Sio, brillante conduttrice televisiva, donna in carriera circondata da molti uomini. In certe occasioni pare di rivedere le vecchie atmosfere di Via Montenapoleone, tra sfilate di moda e bellezze femminili patinate. Ottima l’ambientazione inglese tra la City e Hyde Park, ma pure la Milano industriale dei quartieri ricchi è ben descritta, così come la vita aziendale in tempi di crisi e riproposta in maniera accettabile. Vediamo gelosie tra colleghi, donne rampanti, imprenditori privi di scrupoli, persone dedite al lavoro, in una commedia garbata, in parte grottesca, in parte comica. Molti malintesi ricordano la commedia sexy, così come gli incontri tra Raoul Bova e le belle protagoniste. Il padrone tedesco (Teco Celio) che possiede un cane di nome Beckenbauer è una vera e propria macchietta caricata sino alle estreme conseguenze. La moglie del padrone, assatanata e in calore perché il marito la trascura, sembra uscita da una vecchia commedia sexy. Troviamo la figura stereotipata di un fidanzato pugliese geloso (Fabio Ferri) che tormenta la vita di Martina Stella ma alla fine si redime e uno scrittore in crisi interpretato da un ingessato Stefano Dionisi. Il taxista (Alessandro Bolide) che ogni volta attende Raoul Bova ricorda Diego Abatantuono in Sballato, gasato completamente fuso (1982) di Steno; la citazione è una sorta di omaggio al padre. Tra le attrici risulta molto disinibita Barbora Bobulova, nei panni della collega che passa una notte d’amore con il nuovo manager e tradisce il fidanzato. La scena sexy tra lei e Raoul Bova è molto sensuale. Martina Stella è maliziosa al punto giusto in un ruolo da lolita che ricorda la prima Gloria Guida. Kelly Reilly è una bellezza inglese dai capelli rossi e interpreta una ragazza indecisa sul suo futuro.

Barbora Bobulova

Ti presento un amico è una commedia senza pretese, non vuole fare un discorso di denuncia né lanciarsi in polemiche dalla parte dei lavoratori, ma è importante che un prodotto destinato al cinema brillante si occupi di problematiche concrete. Il tema delle crisi aziendali e delle ristrutturazioni è di attualità. Raoul Bova è un funzionario che non se la sente di tagliare teste, pensa che dietro ogni posto di lavoro c’è una vita, un mutuo da pagare, un progetto di esistenza. Preferisce licenziarsi e tornare a Londra, dove incontra la ragazza della sua vita: una giovane precaria che lavorava nella sua azienda che qualcun altro ha avuto il coraggio di licenziare.

Altra sequenza sexy

Il finale è dedicato ai romantici. Raoul Bova e Sarah Felderbaum se ne vanno incontro al futuro mentre lui pensa: “Non ho un lavoro, non ho una casa, non ho una ragazza. Ma mi è rimasta la speranza. Quella porta giusta esiste e io finirò per aprirla”.

Don Chisciotte e Sancio Panza (1968)

di Gianni Grimaldi


Regia: Gianni Grimaldi. Produttore: Gino Mordini per Claudia Cinematografica. Soggetto: Libera riduzione cinematografica di Gianni Grimaldi da Don Chisciotte di Miguel De Cervantes (1605). Sceneggiatura: Gianni Grimaldi. Montaggio: Amedeo Giomini. Fotografia: Mario Capriotti. Direttore di Produzione: Sergio Pisani. Musica: Lallo Gori. Colore: Tecnostampa. Aiuto Regista: Alessandro Metz. Costumi: Giulia Mafai. Scenografie e ambientazione: Antonio Visone. Interpreti: Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Fulvia Franco, Paolo Carlini, Umberto D’Orsi, Mirella Panphili, Franco Giacobini, Liana Trouchel, Ivan Scratuglia, Enzo Garinei, Eleonora Morana, Alfredo Rizzo, Franco Fantasia, Carlo Delle Piane, Rod Licari, Livio Lorenzon, Maria Capparelli, Antonietta Ladogana, Lylyana Pavlovic, Leopoldo Bendani, Consalvo Dell’Arti, Aldo Bufi Landi, Andrea Fantasia, Lino Banfi. Girato a roma presso il Castello di Rota (esterni) e Teatri di posa De Paolis – Incir (interni). 


Gianni Grimaldi guida Franco e Ciccio in uno dei loro migliori film, costringendoli in una sceneggiatura che non consente molta improvvisazione mimica. Don Chisciotte e Sancio Panza (scritto proprio così… all’italiana) segue senza molte divagazioni la vicenda narrata da Miguel de Cervantes Saavedra nel capolavoro della letteratura spagnola e contribuisce a divulgare un’opera immortale tra i giovani fruitori della pellicola. Don Chisciotte perde il senno dopo aver letto troppi romanzi cavallereschi e decide di percorrere la Spagna a cavallo del fido Ronzinante, seguito dallo scudiero Sancio Panza, per compiere gesta eroiche in nome di un’immaginaria Dulcinea del Toboso. Le avventure sono note a tutti: lotta contro i mulini a vento scambiati per giganti, investitura cavalleresca da parte di un oste, prostitute credute gentildonne, stalle ritenute castelli dove principi imbandiscono mense, guardie del re assalite per liberare delinquenti, tesori ritrovati, montagne abbattute a testate e governi retti dalla parte del popolo per poi scagliarsi di nuovo contro il vento.
Franchi e Ingrassia sono a loro agio nei panni dei due antieroi del romanzo di Cervantes, soprattutto il secondo è perfetto nel ruolo della sua vita, come sostiene il figlio Giampiero: “Fisicamente mio padre era Don Chisciotte, un personaggio che amava molto. Se non avesse interpretato quel ruolo avrebbe girato un film sul capolavoro di Cervantes con la Ingra Cinematografica”. L’equilibro della coppia è diverso dal solito, perché una tantum è Ciccio il protagonista - a tratti quasi drammatico - mentre Franco si ritaglia incursioni comiche di sostegno. Don Chisciotte e Sancio Panza è un film che non invecchia perché la comicità verbale a base di doppi sensi e la trama letteraria lo rendono moderno anche a distanza di anni, libero da vincoli con l’attualità. Citiamo alcune parti interessanti. La distruzione della biblioteca di Don Chisciotte a cura di Don Pietro (Umberto D’Orsi) per esorcizzare la follia provocata dai libri, con il testo di Cervantes finito al rogo. Franco a cavallo di un asino grida: “Cavaliere, dove andate? Mulini sono!”, subito dopo Ciccio afferma di voler diventare cavaliere senza macchia e senza paura, ma lo scudiero ribatte: “A me basta senza macchia perché di paura ne ho tanta”, infine davanti a un pranzo immaginario: “Voi nobili avete appetito, noi del volgo abbiamo fame!”. Ciccio è quasi un attore drammatico, vaneggia in preda alla follia mentre Franco l’asseconda, ma quando il padrone scambia puttane per nobildonne esclama: “Prendete mazze per ramazze!”. Un oste si spaccia per un risibile duca Leone di Panzanella e sta al gioco di investire cavaliere Don Chisciotte, ma durante la veglia notturna Sancio Panza mangia a quattro palmenti. Ciccio: “Ho sete di fama, la fama è il mio cibo”. Franco: “Io ho fame di cibo e ho sete di vino”. I dialoghi di Ciccio sono aulici, spesso prelevati dal romanzo, altisonanti e intrisi di onore cavalleresco, mentre Franco è la voce del popolano scaltro che ama il padrone e vorrebbe farlo rinsavire. Don Chisciotte viene investito cavaliere dalla trista figura, mentre Franco parla del suo asino: “È un somaro presuntuoso. Crede d’essere un cavallo!” e conclude: “Io sono tutto ignorante”. Vediamo un giovanissimo Carlo Dalle Piane, garzone di un contadino frustato per lievi mancanze e protetto da Don Chisciotte, difensore di umili e oppressi, che subito dopo si prende la briga di liberare delinquenti in catene. Il cibo è uno dei temi dominanti del film, che sia sognato, bramato, divorato, persino idealizzato, come se fosse un ricordo della trascorsa fame dei due attori. Battute tipo “Errare umanum est” di Ciccio e risposte di Franco come “Voi errate a est, a ovest, a nord, a sud. Siete recidivo” caratterizzano comicamente la pellicola. Ricordiamo Franco mentre imita il pollo per  trovare una polla (d’acqua, ovviamente), non mancano schiaffoni, risse da cinema muto, spadoni troppo grandi per una carrozza e un asino che cammina a marcia indietro. La lettera per Dulcinea memorizzata da Franco che detta alla moglie il contenuto ricorda una scena analoga interpretata da Totò e Peppino alle prese con una missiva dove abbondano in punti, punti e virgole, punti e a capo. Risulta interessante la parte in cui Franco è nominato governatore fantoccio di Las Palmas mentre Ciccio funge da consigliere, tra discorsi populisti e fame atavica. Franco: “Com’è possibile che io non debba mangiare per governare mentre gli altri governano per mangiare?”. Medico: “Anche la vostra fame appartiene al popolo”. Franco: “Non gli basta quella che ha?”. Don Chisciotte riparte per il suo destino errante e Sancio Panza si dispera: “Chi mi legge le leggi se non so leggere?”. Toccante il triste addio al cavaliere errante con il consiglio di errare il meno possibile. Franco prosegue tra calembour verbali e parti mimiche, si convince che “Un bel gioco dura poco, se poi dura diventa seccatura”, lascia il regno e raggiunge Ciccio che lo accoglie dicendo: “Chi è stato qualcuno resta sempre qualcuno”. Emblematico il finale con Don Chisciotte e Sancio Panza lancia in resta contro il vento: “Da quando siamo nati combattiamo contro il vento, è una meravigliosa follia”, dice Ciccio. La poetica frase può essere intesa in senso universale ma anche contestualizzata ai due attori in polemica contro la gretta cultura ufficiale.


Sono in gran forma i due interpreti principali, ma anche i caratteristi che compongono il cast: Enzo Garinei come consigliere, Franco Fantasia maestro d’armi, Umberto D’Orsi distruttore di libri, Carlo Dalle Piane giovane garzone e Lino Banfi (non accreditato) invisibile cliente di una locanda. Il film si doveva intitolare Don Cicciotto e Franco Panza, il trattamento iniziale parlava di droga, vandalismo e proteste di piazza. Per fortuna Grimaldi opta per sceneggiare il classico di Cervantes e ambienta la pellicola nella Spagna del Seicento, tirandosi fuori dalle secche di un film parodistico - sessantottino.


La critica - una tantum - apprezza il film quasi quanto il pubblico. Leggiamo sul Davinotti (dizionario on line scritto a mano): “Si capisce che, per una volta, il vero protagonista non è Franco ma Ciccio: un Ciccio più riflessivo del solito, più concentrato, incisivo, capace di immedesimarsi alla perfezione con l’eroe di Cervantes. La sua pazzia è resa bene, il suo linguaggio forbito denota ancora una volta la grande attitudine per il teatro di questo attore che verrà riconosciuto solo in poche, pochissime pellicole”. Amarcord (1973) di Federico Fellini ripropone Ciccio Ingrassia nelle vesti di un folle dall’anima candida ed è una nuova interpretazione eccellente. Pino Farinotti concede due stelle e scrive: “Benché di sapore farsesco, il film interpreta abbastanza bene il senso del romanzo”. Paolo Mereghetti concede due stelle con questo giudizio: “Azzardata ma curiosa incursione nel mondo di Cervantes sceneggiata dallo stesso regista. Franco Franchi non rinuncia ai suoi più o meno divertenti giochi di parole ma c’è un certo spirito libertario alla base della riduzione (Sancho che diventa governatore e legifera a favore del popolo, l’incitamento finale di Don Chisciotte a combattere contro il vento come inevitabile destino di una vita non omologata) che ne fa un episodio inconsueto nella carriera dei due comici”. Mereghetti cede comunque alla tentazione di bacchettare Franco Franchi: “La comicità dei due attori siciliani non è mai geniale, lo dimostra il fallimentare tentativo di Franchi di misurarsi a distanza con Totò dettando una lettera”. Morando Morandini assegna addirittura due stelle e mezzo alla pellicola: “Uno degli 8 film interpretati nel 1968 dalla coppia, e uno dei migliori in assoluto. È una parodia di buona lega”. Masrco Giusti su Stracult scrive: “Ritenuto da molti, e fra questi lo stesso regista, il miglior film di Franco e Ciccio, Grimaldi ricorda che limitò i tic comici di Franco, per ottenere un risultato diverso dal solito, più adatto al tema. Il risultato è notevole. Anche allora il film venne salutato come un felice esempio di quello che si poteva fare con i due comici alle prese con un testo importante. Personalmente amo più Brutti di notte tra i film diretti da Grimaldi e interpretati da Franco e Ciccio, ma certo i due, qui, sono strepitosi. Purtroppo in tv passa solo scannato e si perde lo schermo grande della sua uscita cinematografica. Non crediate però di scoprire un capolavoro nascosto. Non lo è. Ma è davvero sorprendente, perché la piccola rivoluzione di Franco e Ciccio è operata non da un autore esterno, ma da un loro regista interno, Grimaldi, che li conosceva benissimo. Grandi Mimmo Poli e Poldo Bendandi”. Condividiamo in toto il giudizio di Giusti e invitiamo gli appassionati a procurarsi il dvd integrale edito da Rarovideo e ristampato da Hobby & Work per una collana da edicola. Marco Bertolino e Ettore Ridola nel pregevole Franco Franchi e Ciccio Ingrassia edito da Gremese scrivono: “Don Chisciotte e Sancio Panza è passato alla storia come uno dei rarissimi exploit di Franchi e Ingrassia capaci di godere, se non dei favori, quanto meno dell’indulgenza della critica. Grimaldi rievoca con piglio felice le avventure picaresche del celebre romanzo e pare propendere per la tesi dell’inutilità dei sogni a occhi aperti. La recitazione del duo comico è più sobria del solito, abbandona smorfie e lazzi per una maggiore asciuttezza. Il finale del film suppone un’ideale prosecuzione delle gesta di Don Chisciotte laddove il capolavoro ispanico termina con il decesso di quest’ultimo: ma una simile conclusione tragica avrebbe stonato con il tono giovialmente ludico della pellicola”. Don Chisciotte e Sancio Panza è un grande successo di pubblico per una mirabile interpretazione del cavaliere dalla trista figura, patetico e commovente, simbolo di inadeguatezza e dell’immaginazione al potere.


Sono molti i Don Chisciotte cinematografici: Don Quixote (1903) di Lucien Nonquet è il primo cortometraggio francese, seguito dal lungometraggio tedesco di Georg Wilhelm Pabst (1933) e dall’ottimo lavoro spagnolo di Rafael Gil (1947). Altri Don Chisciotte interessanti sono di Grigori Kozintsev (1957), Carlo Rim (1965, in TV) ed Eric Rohmer (1965), mentre successivi al lavoro di Grimaldi abbiamo L’uomo della Mancha (1972) di Arthur Hiller (con Peter O’Toole e Sophia Loren), The adventure of Don Quixote (1973) di Alvin Rakoff, il giapponese Don Quixote: Tales of la Mancha (1980) prodotto da Ashi e il televisivo Monsignor Quixote (1991) di Rodney Green. Restano incompiuti sia il lavoro di Tery Gilliam sul cavaliere senza macchia e senza paura che un progetto con Johnny Depp e Jean Rochefort. In ogni caso la sola parodia di Don Chisciotte è questo lavoro interpretato da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Gianni Grimaldi resta uno dei migliori registi alla guida del duo comico siciliano, lo ricordiamo autore di parodie originali come Il bello, il brutto e il cretino (1967) e Brutti di notte (1968). Nel 1968 Franco e Ciccio interpretano anche uno dei loro ruoli migliori, guidati da Pier Paolo Pasolini nell’episodio Che cosa sono le nuvole?, contenuto in Capriccio all’italiana.

Per vedere una sequenza importante del film: http://www.youtube.com/watch?v=ngV4PVRxCPk

Gordiano Lupi