sabato 31 marzo 2012

Buona giornata (2012)

di Carlo Vanzina


Regia: Carlo Vanzina. Soggetto e Sceneggiatura: Enrico Vanzina, Carlo Vanzina. Produzione: Carlo ed Enrico Vanzina. Fotografia: Carlo Tafani. Montaggio: Raimondo Crociani. Scenografia: Tonino Zera. Costumi: Nicoletta Ercole. Musiche: Manuel De Sica. Interpreti: Diego Abatantuono, Lino Banfi, Vincenzo Salemme, Tosca D’Aquino, Maurizio Mattioli, Teresa Mannino, Christian De Sica, Paolo Conticini, Chiara Francini, Gabriele Cirilli, Mario Ierace, Daria Baykalova, Fabrizio Frizzi. 


Buona giornata è uno dei migliori lavori realizzati dai Vanzina negli ultimi anni, uno spaccato di cialtroneria italica e di umane mancanze, interpreto da attori in forma e ben calati nella parte. Cinecolomba o cineuovo, come viene definito dalla stampa, il film di cassetta che esce nelle sale durante la settimana pasquale.

Tosca D'aquino e Vincenzo Salemme

L’unità temporale di una giornata è l’esile collante che tiene unite sette storie che si svolgono in diverse città italiane e che compongono un film corale, una pellicola a episodi, con i protagonisti uniti soltanto da un imprevedibile finale. Christian De Sica è il conte spiantato che affitta la sua casa romana a una troupe cinematografica per girare una fiction, approfitta del catering, si fa invitare ai vernissage, ai funerali, ai compleanni, ovunque sia possibile scroccare qualcosa. In ogni caso resta nobile dentro e rifiuta le proposte di matrimonio di una mutandara arricchita che vende biancheria in un negozio del centro. De Sica è molto bravo alle prese con un personaggio stile conte Max, già portato al cinema dal padre e da lui stesso in un modesto remake. Lino Banfi è un politico corrotto che pur di evitare la galera porta a votare il collega di partito morto di infarto mentre faceva l’amore con un transessuale brasiliano. Banfi torna al vecchio personaggio lanciato nella commedia sexy, che parla un pugliese surreale e fonda la sua comicità in un umorismo a base di doppi sensi. Diego Abatantuono è un milanese che ha sposato una pugliese e si è trapiantato a Monopoli dove cerca di vendere - senza successo -assurdi prodotti informatici. Abatantuono è un padre assente, ridicolizzato dai figli, che non conosce e con i quali non parla, ma pure poco compreso dalla moglie che lo vorrebbe più virile e autoritario. I dialoghi in dialetto sono la parte più divertente di questo segmento, anche perché Abatantuono parla un perfetto milanese e si abbandona al vecchio personaggio del terrunciello solo nello scontro verbale finale con Lino Banfi. Vincenzo Salemme è un notaio che invita a casa propria una giovanissima escort russa (Baykalova), viene colto in flagrante dalla moglie (D’Aquino), spaccia la ragazza per una figlia ritrovata dopo vent’anni, ma alla fine viene scoperto e vengono fuori diverse storie di corna che fanno finire l’episodio tra bagarre e schiaffoni. Teresa Mannino è una manager incapace di vivere senza telefonino, computer e carte di credito, che un bel giorno si ritrova senza documenti alla stazione di Bologna, perché il treno è partito con il suo bagaglio. Rientra a Roma grazie a due suore ma viene scambiata per una profuga tunisina e rimpatriata d’urgenza con un gruppo di immigrati clandestini.  Paolo Conticini è un tifoso della Fiorentina molto scaramantico che vuole ripetere la trasferta a Verona in maniera identica alla stagione precedente per veder vincere ancora una volta la sua squadra. L’episodio è ai limiti del farsesco, perché quando il tifoso si rende conto che l’anno precedente la compagna (Francini) l’aveva tradito con un veronese pretende che ripete l’esperienza. Quando la Fiorentina va sotto di un goal telefona alla moglie e pretende che faccia due volte l’amore con il suo boy friend per far vincere la squadra del cuore. Maurizio Mattioli è un evasore fiscale incallito che fa la vita del nababbo ma non denuncia niente al fisco. Preavvisato sulla visita della Guardia di Finanza cerca di occultare le sue proprietà, ma sul più bello arriva il figlio in Ferrari e lui finisce a Rebibbia. Il finale vede la televisione come collante della storia, perché alcuni personaggi si ritrovano a giocare durante la trasmissione di Fabrizio Frizzi. La manager deve indovinare le identità dei concorrenti: notaio, conte, informatico e politico.

Enrico Vanzina, Diego Abatantuono, Carlo Vanzina

Sette episodi montati da un grande professionista come Raimondo Crociani che amalgama le storie con sapienza e abilità. Carlo ed Enrico Vanzina, aiutati da Diego Abatantuono, che scrive il proprio episodio, tratteggiano un quadro italico a tinte lievi, abbastanza realistico, senza scavare in profondità, come loro abitudine, ma con grande mestiere e rispetto dello spettatore. La commedia all’italiana classica viene citata a piene mani, sembra di sentire profumo di Steno, Mattoli, Mastrocinque, rivisitati in salsa moderna, sullo sfondo di un paese malconcio pieno di piccoli truffatori, ladruncoli e personaggi amorali. L’episodio interpretato da Salemme cita persino Filomena Marturano, il teatro di De Filippo e i romanzi russi. L’attore a un certo punto grida: “La vita che imita il teatro!”. Si ride senza eccessi, perché il cinema dei Vanzina è commedia e non farsa, le situazioni comiche sono prelevate dalla realtà e non sono mai troppo caricate. Carlo Vanzina afferma: “L’Italia di oggi è un po’ così e noi la raccontiamo descrivendo i vizi e le poche virtù di questi tipi topici, senza moralismi, senza assolverli, ma anche senza stigmatizzarli. Considerandoli, insomma, un contrappeso inevitabile alle durezze dei tempi. Durezze sociologiche e antropologiche, che da noi non cambiano mai. Siamo sempre dalle parti dell’arrangiarci”.

Christian De Sica

Buona giornata, come ogni commedia, parte dalla realtà e fotografa l’Italia di oggi durante una giornata come tante, attraverso la vita di sette personaggi che fungono da cartina di tornasole per raccontare i nostri vizi. Molte citazioni da cinefili: Week-end con il morto, I tartassati, La mandragola, Il Marchese del Grillo e altre pellicole storiche.


Christian De Sica dimostra ancora una volta doti di attore comico in un gradito ritorno nel cinema dei Vanzina, a undici anni da Vacanze di Natale 2000. Lino Banfi e Diego Abatantuono sono eccellenti in due ruoli che sembrano fatti apposta per loro. Vincenzo Salemme e Tosca D’Aquino portano al cinema tutta la loro verve partenopea. Maurizio Mattioli è un divertente imbroglione romanesco. I due episodi più deboli vedono interpreti la Mannino e Conticini, anche se nel segmento del tifoso spicca una brava Chiara Francini. Accenni di commedia sexy con Daria Baykalova e Chiara Francini, ma pure nell’episodio interpretato da Banfi quando entrano in scena i transessuali brasiliani. Tutto resta nei limiti del film per famiglie. Un film on the road, che porta lo spettatore in giro per stupende location italiane: Firenze, Roma, Milano, Bologna, Napoli, Monopoli e Verona. Un ritratto credibile della nostra società che può essere appetibile anche sul mercato estero, ben fotografato da Carlo Tafani e dotato di un ottima colonna sonora scritta da Manuel De Sica.


Gordiano Lupi

Il bello, il brutto, il cretino (1967)

di Gianni Grimaldi


Regia: Gianni Grimaldi. Soggetto e Sceneggiatura: Gianni Grimaldi. Fotografia: Aldo Giordani. Montaggio: Renato Cinquini. Scenografia e Costumi: Aldo Marini. Aiuto Regista. Aldo Grimaldi. Musiche: Lallo Gori. Direttore di produzione: Sergio Pisani. Produttore: Gino Mordini. Produzione italo - tedesca: Claudia Cinematografica e Te. Fi. Film Monaco. Interpreti: Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Mimmo Palmara, Brigitt Petry, Lotar Guntener, Peter Jacob, Ivan Scatruglia, Bruno Scipioni, Eugenio Galadini, Gino Buzzanca, Enzo Andronico. 


Il bello, il brutto, il cretino è una vera e propria parodia dei film di Sergio Leone - sullo stile de I due rringos del Texas (1967) di Marino Girolami - che ricalca quasi pedissequamente la trama de Il buono, il brutto e il cattivo (1966), stravolgendola in farsa. Franco e Ciccio sono due imbroglioni che sbarcano il lunario nei panni rispettivamente di bounty killer e ricercato, ma tra loro c’è un accordo per dividere i soldi della taglia. Franco consegna Ciccio allo sceriffo di turno, quindi lo libera sparando alla corda nel momento dell’impiccagione. Gianni Grimaldi imita Sergio Leone anche nello stile delle sovraimpressioni in giallo quando presenta i tre personaggi. Franco è Il Brutto, Ciccio è Il Cretino, mentre Mimmo Palmara è Il Bello, nei panni di un finto ufficiale sudista, che contende ai due imbroglioni un tesoro nascosto in un cimitero. Brigitt Petry è una ballerina di saloon che irretisce Franco, lo deruba dei soldi della taglia e dalla vincita al poker e infine si presenta come quarto incomodo che soffia il tesoro sepolto dalle mani dei tre sprovveduti.

Il dvd greco!

Il film di Sergio Leone è saccheggiato in lungo e in largo a livello di trama, vediamo persino la guerra tra nordisti e sudisti, l’ufficiale ubriacone, il nordista che in punto di morte rivela il luogo del tesoro e la scena al cimitero con le tombe scavate dai vari personaggi. La sola parte al rodeo è una trovata comica originale, quando Franco punta Ciccio come equivalente del denaro da scommettere.


Gianni Grimaldi conosce la tecnica e le convenzioni del genere western e costruisce una pellicola che fissa i canoni del futuro western comico di Enzo Barboni, interpretato da Bud Spencer e Terence Hill. Franco Franchi è un Clint Eastwood molto sopra le righe, risata sguaiata, soliti versacci, sigaro in bocca, atteggiamenti da guappo. “La mia Colt non perdona”, dice. Ciccio ribatte: “La pistola è come la donna. Se la sai tenere ti è fedele”. Molte battute e situazioni da avanspettacolo, come la lite sulla divisione del bottino, oppure la consegna di Ciccio allo sceriffo che, tra i due finti litiganti, rimedia un sacco di schiaffoni. Una delle parti migliori della pellicola vede Franco Franchi impegnato al tavolo da poker, mentre estrae un uovo fresco e alcuni assi dalla manica. La gag è ripresa da Totò, ma è scritta in chiave ancor più farsesca, con Franco che si beve l’uovo, vince la partita e porta in camera la ballerina. Non manca il tipico verso con il braccio destro e il segno di giubilo che piace molto ai ragazzi. “Tanto l’ovetto l’ho bevuto”, dice. E rivolto alla ragazza (Petry): “Facciamo quattro chiacchiere alla francese!”. Petry: “Come sarebbe?”. Franco: “Tête-à-tête”. Molto divertente la parte onirica durante la quale Franco si vede come un killer invincibile che incute timore nel saloon, quindi incontra Ciccio vestito di nero e ingaggia un duello alla Sergio Leone. Grimaldi imita la tecnica del regista western inquadrando gli occhi dei due contendenti in primissimo piano. Quando dal sogno si passa alla realtà, Franco non fa paura a nessuno, anzi ne busca da tutti, perde a poker e resta in mutande. Divertente l’incontro con Ciccio, che non è morto impiccato grazie a un provvidenziale collare di Santa Rosalia: “Ciccio, tutta ciccia sei!”, grida. Ciccio per vendicarsi porta Franco nel deserto, beve acqua fino a scoppiare, quindi orina alla grande mentre Franco cita i Promessi Sposi: “Quel ramo del lago di Como…”. La fame è un altro tema caro ai due attori siciliani, che non può mancare. Pure in questo film abbiamo una tavola imbandita al campo sudista, dove un energumeno dovrebbe torturarli per estorcere una confessione ma finisce inchiodato alla porta da uno sprovveduto compagno. “Cadavere defunto, iè. Si deve mangiare. Tradizione sicula”, dice Franco. Le sequenze finali al cimitero ricordano il film di Sergio Leone mentre i nostri eroi citano titoli a tutto spiano: “Ci fai morire per un pugno di dollari e per qualche dollaro in più?”. Altre battute precedenti sono degne di nota. “Caino, Abele, sempre figli di Eva siamo!”. E rivolti al Bello: “Amicida!”. Alla fine la coppia di imbroglioni diventa un terzetto: Il Bello si unisce al Brutto e al Cretino per truffare sceriffi. Il finale vede i nostri eroi liberati dal provvidenziale intervento del Bello mentre vengono impiccati.


Tra gli attori fanno la parte del leone Franco e Ciccio, in forma come sempre, ma si ritagliano un piccolo ruolo anche un modesto Mimmo Palmara, la bella Brigitt Petry e soprattutto Lotar Guntener, nei panni del capitano Imbriachella, che vorrebbe parodiare Aldo Giuffrè nella pellicola originale. Enzo Andronico non è accreditato nei titoli di testa ma recita una breve comparsata come prigioniero killer di moglie e suocera, immobilizzato su una sedia a rotelle.


La critica non è tenera, come sempre quando si tratta di Franco e Ciccio. Paolo Mereghetti concede una misera stella: “Moltissime avventure western che tentano di parodiare i personaggi e le atmosfere dei film di Sergio Leone”. Pino Farinotti conferma una stella e un giudizio negativo: “La trama altro non è che la parodia de Il buono, il brutto e il cattivo, bel western realizzato da Sergio Leone”. Manolo Morandini concede due stelle, ma è molto caustico: “Jean Grimaud - alias G. Grimaldi - alle prese con una parodia del western che più italiota non si può”. A nostro parere il film è tirato via e raffazzonato, molte sequenze presentano evidenti errori di fotografia, ma non si può giudicare una parodia trash con i parametri del cinema alto. I film di Franco e Ciccio sono un genere che attraversa i generi e nel campo della parodia western ci lasciano piccoli capolavori di comicità. Tra l’altro il loro western comico perfeziona precedenti pellicole interpretate da Raimondo Vianello e Walter Chiari e fissa le coordinate di un sottogenere. Il bello, il brutto, il cretino non è tra i migliori lavori di Gianni Grimaldi, regista che valorizza al meglio le doti dei due attori siciliani, ma resta un film piacevole, destinato al divertimento di un pubblico giovane e senza pretese intellettuali.

Per vedere il film completo (passato da IRIS TV): http://www.youtube.com/watch?v=sFEp9AJiVN8

Gordiano Lupi

giovedì 29 marzo 2012

Il gatto di Brooklyn aspirante detective (1973)

di Oscar Brazzi 

Regia: Oscar Brazzi. Scenografia: Francesco Ramacci. Costumi: Monica Salinelli. Soggetto e Sceneggiatura: Roberto Leoni, Gianfranco Bucceri. Musiche. Ubaldo Continiello. Montaggio: Marcello Malvestito. Fotografia. Luciano Trasatti. Aiuto Rergista: Gino Marturano. Segretario di Produzione: Egidio Ippoliti. Interpreti: Franco Franchi, Luigi Pistilli, Annabella Incontrera, Gianni Agus, Camille Keaton, Giovanni Petrucci, Salvatore Baccaro, Alfonso Tomas, Alberto Sorrentino, Leopoldo Bendani, Giuliana Del Balzo, Mario Del vago, Mario Cecchi, Imelde Mariani, Sergio Serafini. Girato Stabilimenti Palatino/Elios Film. La canzone Il gatto di Brooklyn è scritta (testo e musica) e cantata da Franco Franchi. Produzione: Chiara Film di Oscar Brazzi.


Il gatto di Brooklyn aspirante detective è il secondo film interpretato da Franco Franchi come solista, dopo Il figlioccio del padrino (1973) di Mariano Laurenti, proprio mentre Ciccio Ingrassia lavora con Federico Fellini sul set di Amarcord. Il gatto di Brooklyn sembra quasi un sequel del film precedente perché nelle prime sequenze vediamo un padrino mafioso che telefona per raccomandare l’aspirante detective. La coppia comica siciliana vive la sua prima crisi, Ciccio Ingrassia ha già lavorato con Florestano Vancini (La violenza: quinto potere, 1972), sente di poter fare di più e decide di esprimere le grandi potenzialità come attore drammatico. Per contrasto Franco Franchi vive il periodo più estremo della sua carriera, interpretando film basati quasi esclusivamente su smorfie, trovate da avanspettacolo e comicità pura. Il gatto di Brooklyn aspirante detective è tra i lavori meno riusciti, perché Luigi Pistilli come spalla che si sforza di imitare Ciccio Ingrassia lascia a desiderare e per evidenti limiti di regia.


Tony Mangialafoglia  (Pistilli), detto “la volpe della metropoli”, è un detective spiantato che vive in un monolocale ma non paga l’affitto, per questo viene braccato dal portiere nelle vesti di esattore. Il detective assume il siciliano Frank Lonego (Franchi), detto “il gatto di Brooklyn”, ma incapace e codardo come pochi. La poca arguzia dei due investigatori viene messa in evidenza dalla caccia al mungitore solitario che nottetempo deruba un contadino del latte di una mucca. Il film entra nel vivo con i nobili de De Porcaris (Agus, Incontrera, Keaton) che incaricarono i nostri balordi detective di scoprire se a Villa Allegra ci sono i fantasmi. Alla fine ci rendiamo conto che gli spettri non esistono, ma si trattava di una manovra del conte Bacherozzo De Porcaris (Agus) per non far ereditare la villa alla nipotina che voleva usarla come scuola destinata ai bambini poveri. I detective vengono assunti come bidelli, ma Pistilli si innamora della bella Keaston, anche se il loro figlio in carrozzina è il ritratto di Franco.


La pellicola è puro avanspettacolo, una farsa greve che comincia come poliziesco comico e finisce come horror grottesco. Si parte con i doppi sensi legati ai cognomi. Pistilli: “Mangialafoglia”. Franco: “Non mi piace”. E subito dopo, Franco: “Lonego”. Pistilli: “No, è proprio vero”. Il tema del Padrino ritorna spesso come un refrain musicale quando Franco ricorda al detective che non può licenziarlo. L’auto di Franco cade a pezzi e serve a costruire altre gag comiche da cinema muto. Comicità slipsteek allo stato puro, ma anche pochade a base di travestimenti (Pistilli truccato da prete), scambi di persone, situazioni ai limiti del paradossale. Sembra di essere in un fumetto di Alan Ford, personaggio ideato da Magnus e Bunker: sede scalcinata, detective senza soldi, criminali assurdi come il mungitore solitario, contadini che prendono a fucilate i malcapitati. L’horror comico prende il posto del poliziesco ironico e grottesco quando nostri eroi accettano di recarsi a Villa Allegra su incarico dei nobili De Porcaris (“Che bella famiglia di porcus!”, dice Franco). La trama sembra una parodia della scommessa di Edgard Allan Poe nell’horror gotico Danza macabra (1964) di Antonio Margheriti. Le situazioni da horror comico sono molte: il campanello che suona a morto, Salvatore Baccaro nelle vesti dell’orribile maggiordomo Golem, la madre strega che cucina pietanze orribili, armature con fantasmi che fanno le pernacchie, vampire che seducono Franco, pipistrelli, scheletri che appaiono e scompaiono, vassoi con teste mozzate. Il film sembra ispirarsi agli horror farseschi interpretati da Gianni e Pinotto (William Abbott e Lou Costello), parodie prodotte dalla Universal, che negli anni Cinquanta andavano per la maggiore e vedevano i due comici statunitensi affrontare nemici come l’Uomo Invisibile, l’Uomo Lupo e Frankenstein. Abbiamo anche in questo film un licantropo trash e soprattutto ricordiamo Franco Franchi nelle vesti di un compassato Frankenstein.  Il tono della pellicola è trash ma tutto sommato la storia diverte grazie a un Franchi in gran forma che sovrasta un modesto Pistilli, molto più convincente in ruoli drammatici e psicologici. Ricordiamo Luigi Pistilli (1929 - 1996) interprete drammatico del teatro di Brecht, ma anche in alcuni ruoli western (Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto e il cattivo) e noir (Reazione a catena). La sua fama si deve al film televisivo La piovra 5 - Il cuore del problema (1990), dove interpreta il ruolo di Giovanni Linori. Muore suicida nel 1996, dopo la fine della relazione con Milva e durante le repliche  dell’opera teatrale Tosca. Gianni Agus è diligente come sempre, Annabella Incontrera è una seducente vampira erotica, Camille Keaton, lontana parente di Buster Keaton, fresca playmate del mese sulla rivista Playmen, non ha grande personalità. Franco Franchi è libero di sfoderare il suo enorme repertorio di versacci, risate sguaiate, battute a base di doppi sensi (“Un piccolo caso è risolto, un casino!”) ed espressioni idiomatiche come “uora uora arrivai!”. Franco chiude in bellezza dichiarando che “piange a secco”, senza lacrime. Un momento di bagarre a base di cazzotti e torte in faccia, con tutti i personaggi sulla scena, anticipa il finale e serve a sottolineare il collegamento con il cinema del passato e con la comicità del periodo muto. L’ultima sequenza, ripetuta spesso nei film di Franchi e Ingrassia, inquadra un bambino in carrozzina che presenta il volto di Franco in età adulta. Surreale fino in fondo.


Oscar Brazzi (1918 - 1998 ) è un modesto regista - fratello del noto attore Rossano - che non si misura spesso con il genere comico. Conosciuto per una manciata di film erotici come Il diario segreto di una minorenne (1968), Vita segreta di una diciottenne (1969), Intimità proibite di una giovane sposa (1971) e Il sesso del diavolo (1971). La sua commedia trash si ricorda per film di rozza fattura come Atti impuri all’italiana (1976), Il vangelo secondo San Frediano (1978) e Champagne e fagioli (1976), interpretati da Ghigo Masino. Il gatto di Brooklyn è una delle pellicole girate con maggior cura. Ed è tutto dire. Sceneggiatore e produttore con la Chiara Film per le pellicole sue e del fratello.


La critica non è tenera con Il gatto di Brooklyn aspirante detective. Persino Marco Giusti affonda il coltello nella piaga: “Incontro poco fortunato tra Brazzi senza fratello Rossano e Franco senza partner Ciccio. La storia è sciocchina, con il detective Franco Franchi che deve scoprire il mistero di una casa infestata dai fantasmi. Brr… Franco canta anche una sua canzone, Il gatto di Brooklyn”. Morandini e Farinotti concordano nel concedere una misera stella, senza perdere tempo a dare giudizi, mentre Mereghetti fa finta che il film non sia mai stato girato. La pellicola è modesta, se giudicata con parametri da critico rigoroso, girata male, spesso con una fotografia errata (si passa dalla notte al giorno senza soluzione di continuità) e con un montaggio dilettantesco. Il tono trash consiglia indulgenza perché Brazzi vuol solo divertire senza complicazioni intellettuali.  


La casa stregata (1982) di Bruno Corbucci, interpretato da Renato Pozzetto e Gloria Guida, sembra legato a identiche suggestioni, ma è indubbiamente più riuscito. In ogni caso è il corto La casa stregata (1921) di Buster Keaton ed Eddie Cline a gettare le basi per tutti gli horror comici girati in una villa.

La sigla di testa del film: http://www.youtube.com/watch?v=O4Wd0AXpQu8
Il film completo: http://www.youtube.com/watch?v=hfaZzM5bFaI&feature=related
Il film è reperibile in edicola, edito da Hobby & Work.

Gordiano Lupi

domenica 25 marzo 2012

Autostop rosso sangue (1977)

di Pasquale Festa Campanile

Locandina ispanica

Regia: Pasquale Festa Campanile. Soggetto e trattamento di Aldo Crudo dal romanzo The violence and the fury di Robert Kane. Sceneggiatura: Ottavio Jemma, Aldo Crudo, Pasquale Festa Campanile. Produttore esecutivo: Diego Alchimede. Scenografia: Giantito Burchiellaro. Montaggio: Antonio Siciliano. Fotografia: Franco Di Giacomo, Giuseppe Ruzzolini. Musica: Ennio Morricone. Aiuto Regista: Neri Parenti. Produzione: Medusa. Interpreti: Franco Nero, Corinne Clery, David Hess, John Loffredo, Carlo Puri, Monica Zanchi, Pedro Sanchez, Leon Lenor, Benito Pacifico, Angelo Ragusa, Luigi Birri, Robert Sommer, Ann Fergusen, Fausto Di Bella. Titolo inglese: Hitch - Hike. Girato tra Stati Uniti (esterni) e Roma (interni).

Locandina inglese

Autostop rosso sangue (1977) è un insolito film drammatico che interrompe la produzione comico - erotica di Pasquale Festa Campanile. Il film è classificabile solo in parte come un rape & revenge, le così dette pellicole di stupro e vendetta particolarmente crude che si limitano a rappresentare la violenza. Basti pensare a L’ultima casa a sinistra (1972) di Wes Craven che teorizza il genere e ritaglia un ruolo per David Hess che lo accompagnerà a lungo. Hess è protagonista anche di questa pellicola dove interpreta un rapinatore psicopatico che dopo aver accettato un passaggio prende in ostaggio un giornalista (Nero) e sua moglie (Cléry). Molto sesso, scene di stupro e di sadismo esibite a piene mani, rapporti sessuali con lo psicopatico, in parte consenzienti per criticare l’istituzione borghese del matrimonio.

Corinne Clery e David Hess

Autostop rosso sangue avrebbe la pretesa di costruire un apologo sul matrimonio, ma è soprattutto un thriller duro e spietato, on the road, girato in stupendi esterni che ci conducono nelle zone di confine tra Stati Uniti e Messico. La sceneggiatura è di Ottavio Jemma, Aldo Crudo e del regista, che adattano per il cinema il romanzo La violenza e il furore di Robert Kane. I personaggi sono tutti negativi, a cominciare dalla coppia di sposi che non convivono per amore, ma solo per un legame di interesse. “Loro fanno l’amore, noi scopiamo”, dice Corinne Clery mentre osserva due giovani fidanzati. La moglie invidia la dolcezza nel rapporto degli altri, quella dolcezza che con il marito è andata perduta, o forse non c’è mai stata.

Corinne Clery, la sua bellezza spregiudicata vale il film

Vediamo il marito ubriaco, prendere di mira la moglie con il fucile e poi uccidere un cervo, subito dopo una scena d’amore selvaggio fa capire il loro rapporto malsano erotico. La perversione raggiunge livelli alti e le sequenze erotiche sono da divieto ai minori di anni diciotto quando David Hess si unisce alla coppia e comincia a insidiare la moglie. Molte sequenze di sesso e violenza sono degne del miglior Quentin Tarantino che conosce sicuramente questa pellicola. Il tono è da film nero, a tratti pulp, con cervelli che esplodono dopo colpi di pistola, schizzi di sangue, omicidi efferati, auto che finiscono negli strapiombi e crudeltà esibita senza risparmio.

Corinne Clery e Franco Nero in una scena di sesso

Ben girate le scene di azione lungo strade sterrate di montagna, ricche di inseguimenti mozzafiato. Molti i nudi integrali di Corinne Clery, esibita dal marito, posseduta dal rapinatore, picchiata, immortalata in pose provocanti. Il finale è sconvolgente e per niente consolatorio. Marito e moglie si liberano del rapinatore, fuggono con il malloppo, ma entrano in scena dei giovani motociclisti, personaggi negativi pure loro, che provocano un incidente e fanno cappottare l’auto con i fuggitivi. Il marito si salva, ancora una volta si dimostra avido e senza cuore, perché lascia la moglie morire nell’auto in fiamme e scappa con i soldi. La pellicola finisce con Franco Nero che chiede l’autostop e completa la sua fuga.

Locandina italiana

L’affascinante parigina Corinne Clery (il vero nome è Piccolo) proviene dal successo scandalo di Histoire d’O (1975) e da alcune pellicole comiche come Sturmtruppen (1976) di Salvatore Samperi e Tre tigri contro tre tigri (1977) di Sergio Corbucci. Perfetta per il ruolo, sprizza erotismo perverso, sensualità e passione, mentre si lascia accarezzare e fa l’amore con David Hess sotto gli occhi del marito. Il suo è un personaggio complesso, fondamentalmente negativo, perché  convive da nove anni con un marito che non ama, fa l’amore con piacere con il rapinatore, infine lo uccide per vendetta e accetta la complicità del coniuge per scappare con i soldi. Franco Nero è molto bravo nel prestare il volto a un personaggio di borghese fallito, piccolo arrivista, geloso della moglie come un semplice oggetto, che non esita ad approfittare degli eventi per scappare con il malloppo. Franco Nero è attore completo, capace di passare da ruoli drammatici e avventurosi al cinema western, senza soluzione di continuità.

Locandina asiatica

David Hess è il perfetto maniaco, l’attore feticcio per un ruolo simile, la sua carriera è segnata da film come L’ultima casa a sinistra (1972) di Wes Craven, al punto che - dopo Autostop rosso sangue - lo vedremo in un nuovo ruolo in un puro rape & revenge ne La casa sperduta nel parco (1980) di Ruggero Deodato. Monica Zanchi - futura starlet del cinema erotico -  compare nella prima parte della pellicola per poche sequenze, nel ruolo della fidanzata che amoreggia con il compagno. La colonna sonora è di Ennio Morricone, ricca di elementi country e di musica folk nordamericana, a tratti suggestiva, intensa, soprattutto ben amalgamata con la pellicola. I Gladrags eseguono le canzoni Sunshine e Notturno per tre. Il titolo inglese del film è Hitch - Hike. La pellicola esce tagliata in Giappone e Olanda, dove manca la lunga scena realistica del rapporto sessuale tra David Hess e Corinne Clery.

La bellezza di Corinne Clery

Il film piace molto a Marco Giusti che su Stracult scrive: “Mio personale straculto. La scena dello stupro (ma non è uno stupro, nda), violentissima e realistica, vale il film. Un film assolutamente anomalo per Pasquale Festa Campanile, crudo, violento, sadico, amorale, dominato dalla presenza di un notevole cattivo, ma anche dalle grazie della Clery che si lascia toccare dappertutto dal violentatore”. Meno entusiasta il giudizio di Mereghetti che concede due stelle: “Come apologo sul matrimonio il film non regge cotante ambizioni. Come thriller on the road, invece funziona e la sceneggiatura sa servirsi degli stereotipi per spingersi in territori poco battuti, e rilancia abilmente la storia quando sembra terminata. La sgradevolezza di tutti i personaggi, la crudezza nella rappresentazione di sesso e violenza (a rischio di tagli) e il finale poco consolatorio sono tipici del cinema di quegli anni”.


Gordiano Lupi

sabato 24 marzo 2012

Pleasantville - Il cinema di Claudia - 10

Regia: Gary Ross
Sceneggiatura: Gary Ross
Musica: Randy Newman
Montaggio: William Goldenberg
Scenografia: Jeannine Oppenwal e Jay Hart
Costumi: Judianna Makovsky
Fotografia: John Lyndley
Interpreti: Tobey Maguire, Reese Witherspoon, Jeff Daniels, Joan Allen, William H. Macy, J.T. Walsh, Don Knotts, Marley Shelton, Jane Kaczmarek
Genere: Commedia - fantastico
Produzione: U.S.A. 1998
Durata: 124 minuti
Candidato agli oscar per: costumi, scenografia e colonna sonora


Perché amiamo le sit-com? Forse perché nelle “situation comedies” la realtà è semplificata, il carattere dei personaggi, le situazioni, anche l’ambientazione che quasi sempre si limita a un numero ristretto di luoghi, fanno sì che possiamo seguire il dipanarsi delle brevi storie senza “spremerci” più di tanto le meningi. E ci rilassiamo magari anche ridendo di buon cuore. Pleasantville è una serie televisiva in bianco e nero  ambientata negli anni ’50 dove tutto è “pleasant”, piacevole e idilliaco: non piove mai, la temperatura è stabile sui 25 gradi, le mamme preparano la cena, i padri tornano dal lavoro contenti, le coppie dormono in letti separati e non litigano, il sesso è tabù e i giocatori di pallacanestro non mancano un canestro.


I gemelli David, Tobey Maguire, e Jennifer, Reese Whitherspoon, sono figli di tipici genitori separati degli anni ’90, spesso distratti e assenti. David dimentica la sua non piacevole situazione famigliare quando segue le puntate di “Pleasantville”,  ricorda a memoria le battute dei personaggi, tanto che si appresta a seguire la “Maratona di Pleasantville” in cui tutte le puntate andranno in onda per l’intera notte dal venerdì al sabato. Jennifer però ha altri programmi per quello stesso venerdì sera, in cui la madre sarà ancora assente: ha invitato il ragazzo più popolare della scuola a vedere un gioco in tv, con l’intenzione poi finirci a letto. I due fratelli si litigano il telecomando e lo rompono. Ma ecco che suona alla porta uno strano personaggio che dà loro un nuovo telecomando. Come David spinge il tasto “on”  i due fratelli sono trasportati all’istante nella sit-com dove tutto è in bianco e nero inclusi loro stessi. Mentre David sembra eccitato di far parte del suo programma preferito e aver preso il posto di Bud, Jennifer è inorridita di vedersi pallida e bianca. Vorrebbe ritornare subito nel mondo reale, ma sembra proprio impossibile e così David la convince a far finta di essere la sorella di Bud, Mary Sue, e a interagire con i loro genitori George, William H. Macy, e Betty, Joan Allen, aspettando di trovare una via d’uscita dal serial.


Ma non portare cambiamenti nell’idilliaco mondo di Pleasantville è solo all’apparenza cosa facile, ed è proprio Bud (David) che, senza volere, introduce la prima piccola modifica. Egli infatti scoraggia Skip, il capitano della squadra di pallacanestro, a corteggiare Mary Sue (Jennifer), perché ha paura che quest’ultima cambi la trama della puntata. Skip scoraggiato manca per la prima volta un canestro lasciando tutti sbigottiti e senza parole. Bud in seguito arriva in ritardo al suo lavoro presso il fast food di Bill, provocando altri cambiamenti. Ma la vera prima “rivoluzione” sarà opera di Mary Sue (Jennifer) che inviterà Skip al Viale degli Innamorati e farà sesso con lui. Ed ecco apparire la prima rosa rossa in un cespuglio di rose grigie. I ragazzi di Pleasantville scoprono il sesso e a poco a poco diventano “a colori”. A questo punto anche Bud (David) provoca dei cambiamenti nel mondo apparentemente perfetto della sit-com, ma i gemelli rimangono ancora in bianco e nero, come la maggior parte dei personaggi.


I cambiamenti però non si possano più fermare e così le pagine dei libri, prima vuote, si riempiono di storie, le copertine si colorano, e la biblioteca è presa d’assalto dai ragazzi desiderosi di leggere. Bud regala a Bill, il proprietario del fast food un libro d’arte.  Bill scopre di essere un artista e comincia a dipingere. Betty, la mamma di Bud, diventata a colori dopo aver provato per la prima volta un orgasmo, rimane affascinata da ciò che Bill dipinge. Bill le fa un ritratto e i due passano la notte insieme. Nel frattempo Bud invita Margaret al Viale degli Innamorati dove altre coppie godono della bellezza del luogo a colori, e vengono tutti sorpresi dal primo temporale. Jennifer invece, quella stessa sera, per la prima volta in vita sua, rinuncia alla compagnia di un ragazzo per leggere “L’amante di Lady Chatterley” e si ritrova il mattino dopo a colori.


Ma i personaggi che sono ancora in bianco e nero rimangono scandalizzati dal grande ritratto di Betty nuda sulle finestre del locale di Bill, e il locale viene distrutto dall’ira degli spettatori, che poi si dirigeranno verso la biblioteca per bruciare tutti i libri. Il sindaco indice una riunione alla quale tutte le persone  ancora non a colori partecipano, e a George, il papà di Bud, viene chiesto di redigere una “codice di condotta”, presto approvato dal sindaco. Il codice vieta un certo tipo di musica, l’uso di parole poco piacevoli come anche l’uso di colori diversi dal bianco, nero e grigio. David e Bill si ribellano dipingendo un coloratissimo murales, e vengono imprigionati. David a Bill devono difendersi dalle accuse in tribunale, dove il pubblico è separato tra chi ancora è in bianco e nero e chi invece è a colori. David si difenderà da solo e riuscirà con le sue parole a fare diventare suo padre George a colori, così come in sindaco, facendo leva sulla rabbia di quest’ultimo. Tutta la cittadina infine diventa a colori e la gente esce felice dall’aula del tribunale.


Jennifer decide di rimanere nel mondo di Pleasantville e di andare all’università, mentre David decide di tornare nel mondo reale con l’aiuto del telecomando. Al suo ritorno David troverà la madre in lacrime per l’ennesima avventura sentimentale finita male ma, forte della sua recente esperienza riuscirà a consolarla. Il film termina sulle note del ritornello della canzone “Across the Universe” (Attraverso l’Universo) che recita “Nothing’s going to change my world” (niente cambierà il mio mondo) con l’inquadratura di Betty e George che si domandano cosa succederà in futuro. Con con un’abile transizione, il regista poi fa apparire Bill accanto a Betty. Il film è una vera delizia per gli occhi. Gli incantevoli effetti visivi, di certo non casuali, sono di sostegno alla brillante e originale, se non eccentrica sceneggiatura. Per capire bene e apprezzare come i colori influenzino e “governino” la sceneggiatura, bisognerà guardare il film più volte. Se avviene un cambiamento nella routine delle situazioni della sit-com, degli oggetti della scenografia si colorano, mentre i personaggi diventano a colori solo quando mutano nel profondo.


Il film è uscito lo stesso anno de “The Trueman Show”, ma propone una diversa prospettiva. Mentre Trueman desidera uscire dal suo mondo dorato ed entrare nel mondo reale, David sogna di far parte della sua sit-com preferita perché il mondo reale è doloroso. E se David all’inizio desidera lo status quo, ben presto si renderà conto che un mondo dove non si soffre, è anche un mondo dove non si provano emozioni, e sarà proprio lui a convincere tutti alla fine del film ad accettare i cambiamenti come parte del nostro divenire, e a riconoscere le nostre emozioni come elemento importante dell’essere umani. Anche questo film può avere più chiavi di “lettura”. Il bianco e nero è usato per caratterizzare il mondo dei “ben pensanti”, dei conformisti, di coloro che si adeguano alle opinioni della maggioranza senza riflettere, e che hanno stampato in viso l’espressione dell’anonima soddisfazione per mascherare un vuoto interiore. Sono pericolosi perché ammazzano  ciò che maggiormente rende gli uomini degli esseri unici, proprio perché negano le differenze, il libero arbitrio, e la libertà di essere diversi. Anche se il film non ha aspirazioni politiche, si potrebbero trovare riferimenti al Maccartismo, o a qualsiasi altro regime politico che voglia limitare la libertà di pensiero, un tema probabilmente caro al regista-sceneggiatore Gary Ross, figlio dello sceneggiatore Arthur Ross inserito nella “lista nera” degli sceneggiatori di Hollywood durante gli anni ’50.


La scena finale nell’aula di tribunale, dove i personaggi colorati sono segregati al piano superiore, mentre quelli in bianco e nero siedono al piano terra, come il cartello davanti alla ferramenta  dove si legge “no  coloreds” che significa “i colorati non sono ammessi”, potrebbero essere dei riferimenti alle tematiche razziali. La traduzione dei dialoghi in italiano non è fedele al testo inglese traducendo “coloreds” con “quelli di colore” che nella nostra lingua ha un significato ben diverso dall’originale inglese. Sembra comunque che l’intento di Gary Ross fosse quello di focalizzarsi su razzismo “di idee”, e non quello fondato sul colore della pelle. I coloreds sono diversi perché pensano e agiscono secondo il loro libero arbitrio, provano emozioni e sentimenti profondi, e non hanno paura dei cambiamenti. Ma forse il regista –sceneggiatore con questa  incantevole commedia, solo all’apparenza leggera, ha voluto riflettere sul senso più profondo della vita dove il concetto di felicità cosciente non può essere separato dal dolore. Si può essere felici se non si conosce il dolore? Se non si sa di esserlo? Gli abitanti di Pleasantville in bianco e nero vivono una vita serena, apparentemente perfetta, sono sempre sorridenti, non litigano, non si pongono domande sul futuro perché sanno che il domani sarà soleggiato come il giorno che stanno vivendo, e che la vita continuerà senza cambiamenti. Nessuno sente il bisogno di cambiare. Ma dentro di loro questi personaggi hanno “the potential” come dice Jennifer - Mary Sue, l’energia potenziale per apprezzare la novità. E chi ha il coraggio di cambiare capirà in fretta che “il gioco val bene la candela” e che la novità delle emozioni è di gran lunga più eccitante della protettiva, piatta e grigia routine. Bill non potrà più smettere di dipingere a colori, Betty non potrà più vivere con il grigio marito George, e i ragazzi non potranno più smettere di fare sesso.


Pleasantville è un film che ci sbalordisce e ci fa riflettere, facendoci sorridere, sul vero senso del nostro passaggio su questa Terra, e di come sia importante, per vivere consapevoli, apprezzare tutto ciò che la vita ci offre: il sole e la pioggia, le gioie e i dolori, l’ amore e l’odio, i successi e i fallimenti, e tutte le sfumature dei colori che ci circondano e che abbiamo la fortuna di poter apprezzare attraverso i nostri occhi e i nostri cuori.
Il film è stato nominato agli oscar per la colonna sonora, i costumi e la scenografia. Quell’anno concorrevano agli oscar per queste stesse categorie “La vita è bella”, “Shakespeare in love” e “Elisabeth”, e dunque il film non ha portato “a casa” nessuna statuetta. Rimane comunque unico per l’uso dei colori a sostegno della sceneggiatura e per la capacità di raccontarci una moderna e intelligente favola di fine millennio.

Claudia Marinelli

venerdì 23 marzo 2012

Tonino Guerra, il poeta delle piccole cose


La scomparsa di Tonino Guerra ci fornisce l’occasione per ripercorrere la vita e le opere di un poeta in prestito al cinema, che ha saputo scrivere soggetti lirici intrisi di sentimento e passione. Il tema principale di Guerra è il ricordo, legato alla terra natale, alla campagna, ai luoghi della Romagna che non è mai riuscito ad abbandonare. Le piccole cose della vita contadina, di pascoliana memoria, intrise di elementi gozzaniani, rivissuti con ottimismo e fiducia nel futuro. Amarcord di Federico Fellini è il suo film manifesto che unisce le sensibilità di due grandi autori, amici e conterranei. Mi ricordo, è la traduzione del titolo, infatti la pellicola è un’insieme di bozzetti che narrano la vita di provincia di un paese della riviera adriatica. Il mare è un altro tema caro a Tonino Guerra, come a tutti gli scrittori per i quali il ricordo rappresenta la dimensione fondamentale del racconto. 

Tonino Guerra con Federico Fellini

Breve biografia

Tonino Guerra nasce a Sant’Arcangelo di Romagna nel 1920, dove muore nel 2012. Prigioniero in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale. Laureato al Magisteri di Urbino. Insegna nelle scuole elementari e persino alla madre analfabeta, sua prima allieva. Sceneggiatore per Michelangelo Antonioni (L’avventura, La notte, L’eclisse, Deserto rosso, Blow-up), Francesco Rosi (Cronaca di una morte annunciata), i fratelli Taviani (La notte di San Lorenzo), Andreij Tarkovskj (Nostalghia) e Federico Fellini (Amarcord). Si trasferisce a Roma per scrivere sceneggiature ma dopo qualche anno ritorna nella sua Romagna, ai campi e alle montagne che non poteva abbandonare. Tonino Guerra scrive alcuni romanzi passando dal Neorealismo al Surrealismo: La storia di Fortunato (1952), Dopo i leoni (1956), L’equilibrio (1967), L’uomo parallelo (1969), Storie dell’anno Mille (1973), I cento uccelli (1974), Il polverone (1978), I guardatori della luna (1981), La pioggia tiepida (1984), Il vecchio con un piede in Oriente (1990). Insieme a Luigi Malerba scrive Millemosche (1969 - 1971) e con Michelangelo Antonioni la favola contemporanea L’aquilone (1983). Ci lascia alcuni libri di poesia in dialetto romagnolo, che comincia a scrivere in campo di concentramento: Gli scarabocchi (1946), La schioppettata (1950), Lunario (1954), I buoi (1971), Il miele (1982), La capanna (1986), Il viaggio (1986), L’orto di Eliseo (1989).

Tonino Guerra con Teo Angelopulos

Il viaggio, dal poemetto al  cinema

Scegliamo un modo insolito per ricordare Tonino Guerra, pubblicando un estratto del poemetto Il viaggio (1986), nella sua traduzione in italiano, per mettere in evidenza la sua vena da sceneggiatore - poeta. Il viaggio, infatti, rappresenta il soggetto sulla base del quale è stato sceneggiato il film Viaggio d’amore (1980) di Ottavio Fabbri.

Estratto da Il viaggio 

Un giorno d’ottobre si misero in cammino
nel fiume, lungo i sentieri di sabbia dietro
quelle linguette d’acqua che saltano tra i sassi.
Del mare i due avevano scorto soprattutto
una pescivendola che fino al millenovecentoquaranta
arrivava lassù da loro in bicicletta,
poi s’era fatta il sidecar e portava
le cassette piene di ghiaccio e pesci
e raccontava che vi erano bestie
dentro l’acqua, più grandi delle vacche
e che a volte si arenavano balene
che erano montagne di carne
sulla sabbia.
Rico e la Zaira non avevano mai visto il mare
che in linea d’aria, passando per i sentieri del fiume,
distava sì e no trenta chilometri.
Adesso che avevano quasi ottant’anni
S’erano decisi a fare a piedi quel viaggio di nozze
che avevano rimandato di anno in anno. Abitavano
a Petrella Guidi, un ghetto di vecchie case
ove ogni tanto c’era qualche cavallo
che scappava dalle mani del maniscalco
e faceva le lucciole sotto gli zoccoli matti
e di notte l’odore del pane che cuoceva
nel forno, te lo sentivi fin dentro il letto,
rannicchiato nei buchi del materasso di foglie. Rico
aveva fatto il barbiere quasi settant’anni per gli uomini
e per le donne e poi tosava i somari e le pecore;
la Zaira sbrigava le faccende di casa
e a volte teneva il catino d’acqua
in cui l’artista lavava il pennello. 


Viaggio d’amore (1990) di Ottavio Fabbri è un film scritto da Tonino Guerra per raccontare un viaggio tra due anziani coniugi (Lea Massari e Omar Sharif) che ripensano al passato e tracciano il bilancio della loro vita. Nel cast ci sono anche Florence Guérin e Stéphane Bonnet. Ciccio Ingrassia interpreta un parroco che la coppia incontra durante un viaggio che li porterà finalmente a vedere il mare. Il film è poetico, intriso di suggestioni liriche e di momenti sentimentali, anche se da un punto di vista cinematografico non è esaltante. Troppo lento come montaggio, si riscatta per una fotografia intensa, per i dialoghi  e per il tema che racconta l’amore nella terza età. Viaggio d’amore non è un film per cui sarà ricordato Tonino Guerra, alle prese con un regista non eccelso, autore soltanto di film musicali, di documentari sulla Formula Uno e di alcune sceneggiature. Volevamo parlarne per il collegamento tra la poesia e la sceneggiatura che in questo caso è evidente. Tra i tanti capolavori firmati da Guerra ricordiamo: E la nave va, Ginger e Fred, Prova d’orchestra e Casanova, tutti lavori per Federico Fellini. Matrimonio all’italiana e I girasoli di Vittorio De Sica sono altri due film che godono del suo apporto determinante. Blow-up di Antonioni gli vale la nomination all’Oscar per la sceneggiatura. Tonino Guerra era una persona d’altri tempi, appassionato lettore, uomo di vasta cultura, innamorato di cinema, poesia e letteratura. Inutile dire che il suo genio ci mancherà.

Gordiano Lupi

domenica 18 marzo 2012

Veneri in collegio (1965)

di Marino Girolami


Regia: Marino Girolami. Soggetto e Sceneggiatura: Tito Carpi, Luigi de Santis, Marino Girolami, Ricardo Nunez. Fotografia: Mario Fioretti. Montaggio: Enzo Girolami (Enzo G. Castellari). Scenografia: Saverio D’Eugenio. Musiche: Juan Quintero. Produzione Marco Film. Interpreti: Raimondo Vianello, Sandra Mondaini, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Carlo Pisacane, Michele Accidenti, Ursula Davis, Enio Girolami, Carla Macelloni, Carla Calò, José Luis Coll. Produzione Italia - Spagna.


Veneri in collegio è una commedia convenzionale che non riveste motivi d’interesse se non per i venti minuti finali, quando entrano in scena Franco Franchi e Ciccio Ingrassia per dare nuova linfa a uno scialbo copione. La trama è davvero minimale e si riassume in poche righe. Tre giornalisti, guidati da Enio Girolami, si travestono da idraulici e si fanno assumere da un esclusivo collegio femminile svizzero per fotografare una ragazza (Ursula Davis) promessa sposa di un sultano. Un’altra troupe di giornalisti scandalistici francese, capeggiata da Sandra Mondaini, si cala nei panni di un’improbabile commissione Unesco e tenta di fare la stessa cosa. Il film è tutto qui: la rivalità tra i due gruppi di giornalisti sfocia in diverse scenette da pochade, commedia degli equivoci, farsa, caratterizzate da ritmo lento e tempi comici improponibili. Inevitabile la storia d’amore anni Sessanta tra il bel fotografo Girolami e l’affascinante Davis che convince la ragazza a non sposare più il ricco sultano (Enzo Andronico). A un certo punto complicano la situazione - ma danno vita al film! - anche Franco e Ciccio, due imbranati uomini di cinema nei panni di finti arabi. Alla fine la direttrice (Carla Calò) si schiera dalla parte della ragazza, la protegge dall’arabo che la vorrebbe per il suo harem e favorisce la relazione con il giornalista.

Trovate il film in edicola, appena ristampato da Hobby & Work

Il film comincia con una divertente sigla a fumetti recitata in rima stile Signor Bonaventura, che è parte fondamentale di un originale trailer. La pellicola è scritta (male) per la vis comica di Raimondo Vianello, imbranato vicedirettore che ne combina di tutti i colori quando diventa responsabile del collegio, e Sandra Mondaini, reporter scandalistico d’assalto. Alcune scenette tra i due comici sono divertenti, soprattutto quando la Mondaini cerca di irretire Vianello ricordandogli un passato da giocatore di baseball. In alcune sequenze interessanti Girolami anticipa la commedia sexy: si pensi alla finestra aperta sul cortile che mostra Ursula Davis in camicia da notte trasparente, mentre i fotografi cercano di immortalarla. Nela prima parte ricordiamo un paio di accenni di musicarello napoletano con alcune canzoni che servono a commuovere il custode partenopeo, ma poi la fanno da padrone fast motion stile comiche, sequenze da torte in faccia, pochade con relativa bagarre, in una commedia molto teatrale e poco divertente.

Ursula Davis, con Gordon Mitchell, in Brenno, il nemico di Roma

Enio Girolami è il solito bello da fotoromanzo che fa innamorare la ragazza di turno, questa volta Pier Anna Quaia, che si fa chiamare Ursula Davis. La comicità è molto convenzionale, blanda, priva di suspense e soprattutto prevedibile, fino a quando non entrano in scena Ciccio Ingrassia, nei panni di un regista cinematografico (Ciccio Barbi), e Franco Franchi (Calogero junior), come giovane attore figlio del produttore. Il tormentone del film si basa sul cognome dell’attore: “Rapisarda”, che Ciccio grida in continuazione, mentre Franco precisa: “Calogero mi chiamo! Calogero junior!”, raddoppiando la “g” da buon siciliano. Alcune sequenze da avanspettacolo che vedono protagonisti Franco e Ciccio sono memorabili. Prima un equivoco a tre con Enio Girolami che scambia Franco vestito da sceicco bianco (citazione dal film di Fellini) per il sultano Akim, promesso sposo della sua bella. Una serie di doppi sensi e battute tipiche la fanno da padrone: “Akim!” “A chi?”, “A schifio finisce!”… I due comici siciliani recitano un altro divertente pezzo teatrale insieme all’elettrodomestico Enzo Andronico (lo sceicco), poi si recano al collegio e vengono presi a randellate dai giornalisti. Ciccio: “Il collegio è meraviglioso. Non ti colpisce?”. Arrivano i colpi di bastone in testa. “Franco (cadendo e con un filo di voce): “Mi ha colpito”. Franco e Ciccio finiscono nel congelatore, escono come zombi di ghiaccio seminando il terrore tra le inservienti e infine si riscaldano sulla stufa. Il lieto fine vede il regista Ciccio Barbi dichiarare che girerà un film sulla storia d’amore tra la ragazza  e il giornalista, perché certe storie piacciono al pubblico. Ultima gag (prevedibile) per Raimondo Vianello, che ricorda il suo passato da giocatore di baseball, tira la pallina e spacca il vetro alla finestra.

Sandra Mondaini, insieme a Franco e Ciccio

Veneri in collegio non è un film incentrato su Franco e Ciccio, che si limitano a una partecipazione speciale, ma Girolami punta sulla comicità della coppia Mondaini - Vianello, per l’occasione non troppo in forma, complice una modesta sceneggiatura. Franco e Ciccio attraversano il momento migliore della loro carriera, basta una presenza nel cast per far salire il numero degli spettatori, per questo Girolami li scrittura, dopo averli diretti pochi mesi prima nella commedia balneare Veneri al sole (1965). Si tratta del film numero 48 interpretato da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, un prodotto datato come comicità e intreccio sentimentale, ma che le smorfie di Franco e l’inventiva di Ciccio rendono ancora oggi sopportabile. La critica stronca il film con l’eccezione di Pino Farinotti che concede due stelle senza motivare, così come Morando Morandini ne assegna una senza parole di commento. Paolo Mereghetti si limita a un sola stella e riporta un giudizio - una tantum - condivisibile: “Una commedia insulsa sulla bella e i paparazzi, con qualche pruderie in più dettata dall’ambiente collegiale, apparentemente inaccessibile. Rieditato l’anno successivo con il titolo 0/10 Veneri in collegio”.  Una curiosità storica: il montaggio è di Enzo Girolami, figlio di Marino, che diventerà il famoso Enzo G. Castellari, regista di punta del nostro cinema di genere.


Marino Girolami (Roma, 1914 - 1994), studia medicina ma non conclude gli studi e si iscrive al Centro Sperimentale Cinematografico. È il capostipite di una generazione di gente di cinema, comincia a lavorare negli anni Quaranta scrivendo il soggetto di Campo de’ Fiori (1943) realizzato da Mario Bonnard. Allievo di Mario Soldati, lo troviamo come aiuto regista in pellicole come Quartieri alti (1945), Le miserie del signor Travet (1946), Eugenia Grandet (1946) e Quel bandito sono io! (1950). Collabora a La strada buia (1949), Il ladro di Venezia (1950) e infine debutta alla regia con la mediocre commedia calcistica Milano miliardaria (1951). Il suo ultimo film è il modesto Giggi il bullo (1982), che fa capire come Girolami abbia percorso tutti i generi del cinema italiano, adattando stile e tecnica al mutare dei gusti del pubblico. Realizza oltre ottanta pellicole in quarant’anni di carriera, mostrando di trovarsi a suo agio nella commedia classica con attori come Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, ma anche nella commedia sexy e nelle pellicole con Alvaro Vitali nei panni di Pierino. Marino Girolami è un artigiano puro, un cineasta senza complicazioni d’autore che ama raccontare storie divertenti e leggere. Il suo cinema è quello popolare, realizzato con attori comici che vengono dall’avanspettacolo e dalla televisione. I suoi attori prediletti, negli anni Sessanta - Settanta, sono Walter Chiari, Claudio Villa, Gino Bramieri, Raimondo Vianello, Franco Franchi e  Ciccio Ingrassia.  Non mancano incursioni nel cinema parodistico (Walter e i suoi cugini, 1961), nel poliziottesco (Roma violenta, 1976) e nell’horror (Zombie Holocaust, 1979). Il regista romano lavora molto con la coppia comica siciliana: La donna degli altri è sempre la più bella (episodio I promessi sposi), Le tardone (episodio Un delitto quasi perfetto) di Marino Girolami, Queste pazze pazze donne (episodio Siciliani a Milano), Veneri al sole (episodio Una domenica a Fregene), Due rringos nel Texas, Franco, Ciccio e le vedove allegre (episodio La nostra signora), Due magnifici fresconi (film di montaggio con sequenze da Queste pazze pazze donne, Le tardone, Veneri al sole) e Don Franco e don Ciccio nell’anno della contestazione.