mercoledì 8 agosto 2012

La città gioca d’azzardo (1975)

di Sergio Martino


Regia: Sergio Martino. Soggetto: Ernesto Gastaldi. Sceneggiatura: Ernesto Gastaldi, Sergio Martino. Fotografia: Giancarlo Ferrando. Musiche: Luciano Michelini. Scenografie: Giorgio Bertolini. Produzione: Luciano Martino per Dania Film. Distribuzione. Medusa. Interpreti: Luc Merenda, Dayle Haddon, Corrado Pani, Enrico Maria Salerno, Franco Javarone, Lino Troisi, Bruno Arié, Vittorio Fanfoni, Carlo Alighiero, Tom Felleghi, Salvatore Puntillo, Piero Palermini, Bruno Ukmar, Carlo Gaddi, Loris Pereira Lopez, Giusepe Terranova. 



Iris è un canale del digitale terrestre che spesso riserba gustose sorprese, come La città gioca d’azzardo, scritto dal grande Ernesto Gastaldi, sulla scia di Scerbanenko, ambientato tra una Milano notturna e una Nizza solare, girato con maestria da un ispirato Sergio Martino. Non è facile definire la pellicola, perché è riduttivo inquadrarla nel poliziottesco, così come non è soltanto un noir milanese alla Ferdinando di Leo. Gastaldi e Martino scrivono un plot originale sulla corruzione e il gioco d’azzardo, basato su alcuni personaggi negativi (anche se i protagonisti si redimono), come esige un buon film modello polar. Gli autori rimpiangono la criminalità con un codice d’onore e condannano la nuova delinquenza violenta, ma confezionano anche una bella storia d’amore che passa dalla commedia sentimentale al lacrima movie senza soluzione di continuità. Un film che è pura commistione di generi, lezione imperdibile per aspiranti registi su come si faceva il cinema negli anni Settanta. Interpreti eccellenti: una stupenda Dayle Haddon e tre attori superlativi come Luc Merenda, Corrado Pani ed Enrico Maria Salerno. Luc Merenda è un baro professionista che per amore si mette contro il figlio del boss, rischia la vita, si vendica ma resta ferito per sempre negli affetti personali. Corrado Pani è un inetto e violento criminale, parricida, inconcludente, inutilmente carogna. Enrico Maria Salerno è il criminale del bel tempo andato, legato a un codice cavalleresco, che odia il figlio incapace, ma viene eliminato dal suo rancore. La modella canadese Dayle Haddon - in uno dei suoi ultimi film - è la bella ragazza perduta che scopre l’amore in Luc Merenda, un uomo che dia un senso alla sua vita. Vorrebbe ricominciare, scommettere sul futuro, avere un figlio, costruire un’esistenza normale. Struggente il finale, che non racconto, per chi volesse vedere senza perdere il gusto della sorpresa una perla del cinema popolare italiano. Fotografia stupenda, soprattutto una Nizza da cartolina e il lungomare della Costa Azzurra, ma anche il Lago Maggiore, sfondo della commedia sentimentale. Montaggio rapido, se storicizziamo la pellicola. Sceneggiatura priva di pecche. Bruciamo il Mereghetti, anche se non si bruciano i libri, ma in questo caso il suo giudizio caustico e incompetente grida vendetta: “Spaccato di malavita quasi picaresco, ma del tutto ovvio e prevedibile: e con una svolta melodrammatica poco convincente”. Ve lo meritate il cinema italiano di oggi, signori critici con la puzza sotto il naso, ve li meritate Garrone e Sorrentino!


Gordiano Lupi

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