domenica 30 settembre 2012

Una visione di Fellini

di Guillermo Cabrera Infante – da Cine o sardina (Santillana, 1997)


Guillermo Cabrera Infante, quando scriveva di cinema si firmava G. Cain (Gibara, 1929 - Londra, 2005)

Una citazione da Del amor si trasformò nel mio primo incontro con il cinema di Federico Fellini e la metamorfosi di Stendhal: La strada è uno specchio che si percorre durante un cammino. La pellicola nacque semplicemente da una visione di Fellini. Un giorno indugiò in una strada e vide allontanarsi un carro in un fascio di luce. Fellini entrò nel bosco e vide accanto al carro una coppia di gitani. Vicini a un fuoco i gitani, un uomo e una donna, mangiavano accovacciati e silenziosi. Finito di mangiare, la donna mise a posto le stoviglie. In tutto quel tempo non avevano detto una parola.

Federico Fellini (Rimini, 1920 - Roma, 1993)

I critici una volta disserro che Fellini era un regista che non aveva niente da dire. Il cinema è proprio l’arte di chi non ha niente da dire. Per questo ha una grande influenza sul romanzo moderno. Cosa ha da dire, per esempio, La corazzata Potemkin? Alcuni marinai russi si rendono conto che le loro razioni, rancide, sanno di formaggio di Lussemburgo e ci sono persino alcuni vermi bianchi. Per protesta si ammutinano e chiedono un menù migliore. La conseguenza della protesta fa sì che altre corazzate, forse rifornite con cibo migliore, restaurano l’ordine zarista a cannonate. Il risultato visibile è che, come narra Borges, tre leoni di marmo soffrono mentre vanno in mille pezzi. Ci sono molti altri esempi illustri, ma perché continuare? Il cinema è composto dalla banalità di altre arti e la maggior parte delle pellicole non si possono raccontare. Proprio questa è la grandezza del cinema americano, dell’espressionismo tedesco e, - perché non dirlo? -, delle pellicole di Fellini, persino quelle basate su testi canonici come Satyricon e Le avventure di Giacomo Casanova.  Otto e mezzo, per esempio, è pura forma e al tempo stesso un’esperienza garrula in un contesto assolutamente visivo. Ma è la miglior pellicola italiana degli ultimi trent’anni. I critici, ancora una volta, condannarono Fellini per aver fatto cinema autobiografico. Ma che cos’è Il cittadino Kane? Fellini seppe ampliare la sua biografia a biografia artistica, con elementi che provengono dalla sua vita e si trasformano in autobiografia.

Fellini sul set de La strada

Narrano che Fellini da piccolo scappò di casa per unirsi a un circo. Quel circo, di sicuro, è il cinema. Come Noè, il cineasta ha popolato la sua arca con diversi animali. Fellini è stato definito un blasfemo (dalla Chiesa), un reazionario (dai comunisti, da Parigi a Mosca), un misogino (dalle femministe) e alcuni maschilisti l’hanno accusato persino di omofobia per la sua versione del Satyricon. Nessuno ha mai detto, invece, che la sua visione cinematografica della vita ha soltanto due rivali: Orson Welles e Alfred Hitchcock. Il cinema moderno sarebbe diverso se non fosse esistito Fellini e la sua raccolta di grottesco visto attraverso una macchina da presa amabile e amorosa. Pellicole così diverse come All that Jazz e Radio Days, per non menzionare un quasi plagio dello stesso Woody Allen, Stardust Memories, o il finale del mediocre Honeymoon in Vegas, sono viste con la visione di Fellini. Bob Fosse morì per tempo, ma non è possibile pensare un Woody Allen senza Fellini. Sarebbe il giudeo errante alla ricerca di Bergman.

Fellini sul set di Casanova

Fellini fu pigro per passione, caricaturista di professione e correttore di bozze. L’ultimo impiego gli permise di dipingere con precisione gli schiavi delle galere del Satyricon. Un bombardamento alleato gli tolse la possibilità di essere soldato del Duce (per forza), ma lo portò in quello stesso anno a sposarsi con Giulietta Masina, attrice. Il raid alleato impedì che Fellini fosse un fascista, come furono tutti i grandi registi del cinema italiano del dopoguerra. Forse è questo il motivo per cui Roberto Rossellini contattò Fellini per scrivere la sceneggiatura di Roma città aperta, pellicola dichiaratamente antifascista. La Roma reale permise a Fellini di entrare nella Roma cinematografica. Il suo cinema, a partire dalla prima pellicola diretta in coppia (con Alberto Lattuada, ndt), Luci del varietà, è personale e passionale, oltre a possiedere un grande gusto per la caricatura.

Federico Fellini e Giulietta Masina

Lo sceicco bianco fu la prima pellicola di Fellini, un omaggio ai fumetti (in italiano nel testo, ndt), il vero cinema popolare dell’epoca anche se le immagini non si muovevano. Erano noti come i comistrippa (da noi fotoromanzi, ndt) una sorta di Corin Tellado (una Liala ispanica, ndt) avant la lettre. Ne Lo sceicco bianco, tra fantasie erotiche, discorsi sociali e sessuali, incontriamo per la prima volta il vero Fellini, il vero vate (in italiano nel testo, ndt). Dopo arrivò, nel 1953, il grande successo commerciale, I vitelloni, il suo memorabile incontro con Alberto Sordi che con un panino in bocca grida a squarciagola: “Lavoratori” e subito dopo emette una pernacchia che si sente ovunque. È un peccato che a causa della sua vanità (Fellini si riteneva un bel ragazzo) Sordi non fu mai il suo alter ego. Ruolo che fu del giovane e affascinante Marcello Mastroianni ne La dolce vita, la pellicola che regalò una frase al secolo e un nome, papparazzo (in italiano nel testo, con l’errore, in realtà è paparazzo, ndt), a una professione: fotografi, giornalisti pettegoli - quello che sarebbe stato il destino di Fellini se non fosse esistito il cinema. 

Marcello Mastroianni

È forse questa la mia pellicola preferita di Fellini? Anche se c’è un Cristo di cemento che lievita grazie a un elicottero e un mambo, Patrizia, che fu come un inno ai seni immensi di Anita Ekberg, La dolce risente del tempo passato e non regge una visione contemporanea. Le sue pellicole che preferisco sono Otto e mezzo, Amarcord (Proust all’italiana) e La nave va, una pellicola che è una visione dell’opera cantata da un rinoceronte. Fellini è l’ultimo dei grandi registi del cinema italiano, forse il più grande, per lo meno il più divertente e diverso. A Fellini dobbiamo rivolgere adesso il saluto di Anna Magnani, quando apre e chiude la porta nera, come nel finale di Roma: “Ciao Federico”. 

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

sabato 29 settembre 2012

Polvos magicos/ Lady Lucifera (1980)

di José Ramón Larraz


José Ramón Larraz è un ottimo regista horror, abile nel contaminare pellicole angoscianti e claustrofobiche di torbido erotismo, ma non è l’autore più adatto per realizzare un film comico.


Polvos mágicos (1980), noto in Italia come Lady Lucifera ma quasi introvabile, rappresenta un’eccezione alla sua vasta filmografia. La storia è scritta da Mauro Ivaldi che esporta la moglie Carmen Villani in Spagna per un ciclo di film commissionati dalla televisione iberica. I restanti lavori sono firmati da Ivaldi: Los lios de Estefania (1983), La casada divertida (1983) e Una spia enamorada (1983). Si tratta di commedie classiche mai uscite in Italia, la serie dovrebbe continuare sino ad arrivare a dieci, poi Ivaldi viene chiamato a Los Angeles per girare il primo film americano. Purtroppo la sua morte improvvisa infrange molti sogni e la carriera artistica di Carmen Villani si interrompe. La Villani confessa a Manlio Gomarasca e Davide Pulici che la intervistano per il volume 99 Donne che odia veder pubblicati i fotogrammi erotici dei suoi film, sono immagini da vedere in movimento, collegate al resto della pellicola, fuori dal contesto possono risultare volgari. Il film che più ama è questa pellicola uscita solo in Spagna, che riscuote buoni consensi di pubblico, soprattutto per la presenza del popolare Alfredo Landa.


Polvos mágicos o Lady Lucifera, ho dovuto vederla nella versione originale spagnola, ma è stata una vera delusione. Il tono del film è comico, vorrebbe essere la storia esilarante di una famiglia di diavoli, ma resta un prodotto ibrido che strappa pochi sorrisi. Alfredo Landa (Arturo) è l’interprete principale e il bravo attore spagnolo salva spesso la situazione, ma ha come spalla un modesto Vincenzo Crocitti (Paco) nel ruolo più importante della sua carriera. Carmen Villani (Sulfurina) si spoglia poco o niente, la pellicola non presenta il minimo tasso erotico, se escludiamo qualche accenno lesbico e un paio di rapide nudità, per altro mai integrali. Il resto del cast è buono, soprattutto Elisa Montés (Alterta), ma se la cavano pure Carmen de Lirio, José Maria Caffarel, Carlos Lucena, Eduardo Fajardo, Assumpta Serna, Maria Vico, Trini Alonso e José Nieto. Il problema è la storia, del tutto fuori dalle corde di José Ramón Larraz, magari adatta per Mauro Ivaldi, ma in ogni caso poco solida e mal strutturata. Si tratta di un horror comico sostenuto dalla verve di Alfredo Landa e dagli sguardi stralunati di Vincenzo Crocitti che parte da una situazione surreale.

Vincenzo Crocitti e Alfredo Landa

Carmen Villani è Sulfurina, figlia di un diavolo, destinata a restare per sempre giovane solo se sacrificherà a Satana i suoi mariti. Crocitti e Landa giungono al castello di Sulfurina e si rendono subito conto che qualcosa non va perché ci sono candele nere, teschi che parlano, camere con vista sul cimitero e bare che contengono cadaveri. Crocitti è il finto fidanzato conosciuto a un funerale, ma la Villani vorrebbe sposare Landa, anche se non disdegna attenzioni saffiche e si fa sollazzare da un nano. Niente di troppo spinto, però. Le parti erotiche sono corrette in versione comica e Larraz deve frenare la propensione per il torbido. La commedia è tutta girata in interni, prosegue con cene a base di gatti, mandragola, rospi e altre prelibatezze, si vedono caproni e simboli horror trattati con ironia. Ci sono persino un fantasma gay nascosto nell’armadio che gira per il castello con un cappio al collo e un nano infoiato che si nasconde sotto le gonne delle ragazze.


Larraz utilizza il mestiere di autore horror per realizzare una parodia del genere e in questo può essere considerato un anticipatore di pellicole come Scream (1996) di Wes Craven. Vediamo una bambola che si muove e piange, un teschio che batte i denti e ricompare alla porta pure se lo gettano dalla finestra, un diavolo che puzza di zolfo e vive in una bara. Il servitore Leandro è una sorta di Frankenstein che corre dietro a ogni gonnella e si eccita quando porta fuori una donna. Risulta interessante come buon momento horror la scena della donna impiccata che penzola dal soffitto.


Ottima anche la morte del servitore ripetutamente accoltellato in una scena da slasher ironico, anche se il sangue che sgorga dal collo è molto verosimile. Un omicidio a colpi di martello riporta in primo piano situazioni horror ma ancora una volta messe in parodia e recitate in tono farsesco. Torna l’erotismo quando il nano prepara Carmen Villani alla notte del sabba e le spalma un satanico unguento su tutto il corpo, ma si poteva fare di meglio. José Ramón Larraz confeziona una parodia del sabba satanico che successivamente realizzerà in forma horror - erotica ne I riti sessuali del diavolo (1982). Vediamo i partecipanti bere pozioni magiche, baciare il sedere a un gatto e accendere candele nere mentre le campane chiamano a raccolta. Il regista usa molto mestiere horror per trucchi e colpi di scena, ma anche per le atmosfere del sabba, i momenti cupi e le uccisioni sanguinose. Landa e Crocitti si rendono conto che il castello è popolato da stregoni, trovano un libro che potrebbe risolvere il mistero e interpretano stanche gag come quella della bara che precipita per le scale. Lo spumante che bagna tutti e spruzza il liquido per aria è un’altra trovata vecchia come il mondo che non fa ridere nessuno. Alla fine il libro magico libera tutti dalla maledizione e Carmen Villani può sposare Alfredo Landa, ma il patto satanico si è rotto e la donna si trasforma in uno scheletro. Molto buono l’effetto horror - comico con la Villani che accenna uno strip e subito dopo restano sul letto un cranio consumato e una ciocca di capelli biondi. Landa stringe un patto con il diavolo e resta giovane in eterno, per la meraviglia di Crocitti che quarant’anni dopo lo rivede in piena forma.  


Polvos mágicos è una pochade lenta e prevedibile, poco erotica, sostenuta da una regia piatta e svogliata che si adegua a un soggetto carente. La comicità da farsa e la parodia non fanno per José Ramón Larraz, molto più a suo agio con soggetti erotico - morbosi.  

Gordiano Lupi

venerdì 28 settembre 2012

I motorizzati (1962)

di Camillo Mastrocinque


Regia: Camillo Mastrocinque. Soggetto e Sceneggiatura: (Franco) Castellano e Pipolo (Giuseppe Moccia). Fotografia: Antonio Macosoli Hernandez. Montaggio: Renato Cinquini. Scenografia e Arredamento: Aurelio Crugnola. Musica. Ennio Morricone (Nazionalmusic). Canzoni: Vigile twist (canta Edoardo Vianello)  e Corri, corri (canta Gianni Morandi). Aiuto Regista: Nino Zanchin. Assistente alla Regia: Tonino Valerii. Operatore alla Macchina. Sandro Mancori. Segretaria di Edizione: Ilde Muscio. Direttore di Produzione: Franco Serino. Produzione Italia - Spagna: Jolly Film (Roma), Tecisa (Madrid). Vignette Titoli di Testa: Attalo. Titoli, Negativi, Effetti Ottici: S.P.E.S. di E, Catalucci. Girato: Stabilimenti Titanus (Farnesina). Interpreti: Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Franca Valeri, Walter Chiari, Alberto Bonucci, Mac Ronay, Aroldo Tieri, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Franca Tamantini, José Louis Lopez Vasquez, Mercedes Alonzo, Gianni Agus, Dolores Palumbo, Luisa Pavese, Gina Rovere, Luigi Bonos, Paola Del Bosco, Mario Brega, Loredana Cappelletti, Peppino De Martino, Franco Giacobini, Mario Pisu, Marcella Rovena.


I motorizzati è un film che risente del tempo passato, ma conserva un sapore fresco e genuino, tipico degli anni Sessanta. Camillo Mastrocinque lo gira in un classico bianco e nero, a tratti pervaso da sfumature gotiche, ma con una fotografia intensa. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Castellano e Pipolo, due veterani della comicità nostrana, che prendono di mira il boom economico e la moda dell’auto per tutti. A livello di curiosità va detto che assistente alla regia è un giovanissimo Tonino Valerii, mentre le musiche - allegre e spensierate - sono niente meno che di Ennio Morricone. I titoli di testa scorrono insieme a una serie di barzellette sulla circolazione stradale, disegnate dal noto umorista Attalo, collaboratore di Domenica del Corriere e Settimana Enigmistica.

La locandina spagnola

Il cast degli interpreti è più che eccellente. Il film è introdotto e guidato dal narratore Alberto Bonucci che rifiuta un’automobile come premio di un concorso, perché è la milionesima auto della provincia di Roma e lui non vuole vivere in mezzo a un traffico congestionato. Bonucci cerca di convincere il pubblico che da pedoni la vita scorre più serena e concede maggiori possibilità di divertimento. Alcuni siparietti sexy esibiscono donne che scendono dalle auto e mostrano le gambe; il binomio donne e motori viene sottolineato da modelle in bikini accanto a macchine di alta cilindrata. Franca Valeri è la classica borghese petulante, moglie insoddisfatta di Aroldo Tieri, vanitosa al punto di far comprare al marito un’auto che non può permettersi, per poi doverla restituire, optando per la classica utilitaria, una Fiat 600. Il primo consumismo è il bersaglio delle battute degli sceneggiatori. Gianni Agus è un eccellente venditore di auto, che fa la cresta sulla doppia vendita all’incauto acquirente, Mario Pisu interpreta un ingegnere che dovrebbe firmare un contratto, ma manda a monte l’affare perché non si fida di uno che gira sopra un’auto troppo costosa. Il vigile imbranato è un bravissimo Mac Ronay, mimo senza pari, che fa ridere senza dire una parola, regola il traffico e affibbia multe a ritmo di twist. Nino Manfredi interpreta uno dei personaggi più riusciti della pellicola, il classico italiano medio innamorato dell’auto, che tratta come una figlia, usandola con cura solo la domenica. Un bel giorno è costretto a farsela sfasciare per combinare un incidente falso con il capo ufficio (Luigi Pavese) e questa cosa lo fa uscire di testa. Finisce per imparare il trucco e vive organizzando truffe alle assicurazioni a bordo di una macchina sportiva che guida in maniera folle. 


Ugo Tognazzi è un automobilista distratto che, dopo aver visto un film horror di Mario Bava (La maschera del demonio con Barbara Steele, citato con le scene finali sul grande schermo), confonde la sua auto con quella di una nobildonna svenuta che ritiene morta. Commedia degli equivoci allo stato puro, con Tognazzi che cerca di liberarsi del presunto cadavere, ma alla fine tutto torna a posto per pura combinazione. Un segmento che cita le atmosfere horror di Mario Bava, tra gatti neri che miagolano, notti piovose, lampi e tuoni. Franco Franchi e Ciccio Ingrassia sono due ladri d’auto, il professore e il deficiente, venuti via da Agrigento perché li conoscevano tutti. “Sopratutto la polizia”, sottolinea Ciccio. Vediamo i nostri eroi trafugare pneumatici a due fidanzati che amoreggiano, quindi rubare l’auto alla coppia Tieri - Valeri fingendosi posteggiatori. Ma Franco non conosce Roma, finisce per riportare l’auto al punto di partenza, dopo aver fatto il giro dell’isolato, riconsegnandola ai padroni. Franco aveva detto: “Conosco Roma come mia madre!”. Alla fine deve confessare: “Che colpa ne ho se sono nato orfano?”. Franca Valeri serve al regista per stigmatizzare il comportamento pericoloso e distratto della donna al volante, secondo i più vieti luoghi comuni. A un certo punto la moglie petulante fa l’autostop e due camionisti la scambiano per una prostituta che vorrebbero pagare duemila lire.

Nino Manfredi e la sua amata auto

Walter Chiari è un imbranato fidanzato che lascia le chiavi dentro l’auto, resta impigliato nel finestrino, viene arrestato come ladro e finisce per passare da pedofilo. Tutto questo grazie a una serie di equivoci che lo portano a fare una pessima figura con i genitori della promessa sposa. Una parte di film che cita a piene mani le comiche del periodo muto e l’avanspettacolo. Nel finale Nino Manfredi investe Alberto Bonucci, con l’auto che quest’ultimo aveva rifiutato, ma si mettono d’accordo per sfruttare la situazione e organizzare una truffa ai danni dell’assicurazione.

Aroldo Tieri e Franca Valeri

I motorizzati è il primo film dopo la motorizzazione vera e propria degli italiani, riflette in forma comica le paure del cittadino medio di fronte a un’invasione di auto per le strade di città che cambiano volto e diventano meno sicure. Sono ben fatte le scene acrobatiche, le parti girate nel traffico e gli incidenti (veri e simulati). Camillo Mastrocinque gira con classe ed esperienza una commedia che si gusta ancora con piacere, nonostante gli anni passati. La morale finale è: meglio a piedi, per non impazzire, ma gli italiani non ascolteranno.


Paolo Mereghetti stronca senza riserve. Un sola stella: “Ironia piuttosto facile sul simbolo per eccellenza del benessere nazionale, sceneggiato da Castellano e Pipolo tirando per le lunghe gag di minimo spessore, con piccoli siparietti affidati a Mac Ronay e Franchi e Ingrassia. Si sorride solo con Franca Valeri, moglie aggressiva e fin troppo intraprendente”. Non condividiamo una parola ma riportiamo per completezza critica. Pino Farinotti aumenta la valutazione a due stelle: “Un discreto film comico a episodi basato sui moderni mezzi di trasporto e sui loro guidatori”. I motorizzati, tecnicamente, non è un film a episodi, ma un film contenitore, tenuto insieme da un narratore, che presenta varie situazioni intersecate tra loro e spesso coincidenti. Una tecnica simile viene usata in tempi moderni - anche a livello di citazione della commedia classica - dai fratelli Vanzina. Morando Morandini sta nel mezzo (una stella e mezzo), ma aggiunge che per il pubblico sono tre stelle: “Alcuni dei più popolari attori comici degli anni Sessanta in storielle di spirito facile e innocuo”. A nostro parere ha ragione il pubblico. 

Gordiano Lupi

Per vedere qualche sequenza: http://www.youtube.com/watch?v=how_AuDXXuQ

mercoledì 26 settembre 2012

La commedia sexy di Carmen Villani

Carmen Villani ne L'amica di mia madre

Nata a Ravarino (Modena) il 21 maggio 1944, inizia la sua carriera di cantante nell’orchestra di Fred Buscaglione alla tenera età di 15 anni. Carmen Villani si esprime al massimo come cantante negli anni Settanta conquistando subito una grande notorietà per le sue doti canore ma anche per la sua sensualità e il suo carattere disinibito. Il suo primo successo musicale si chiama “Bada Caterina” e la porta subito in vetta alla Hit Parade italiana. In televisione lavora come conduttrice di numerosi varietà dell’epoca insieme al duo comico Ric e Gian e in coppia con Pippo Baudo porta avanti il varietà della domenica pomeriggio di Rai Uno “Domenica con noi”. La Villani è all’apice della fama come cantante e gira in lungo e largo la penisola arrivando a esibirsi nel 1972 in ben 160 serate musicali. A partire dal 1975 il suo successo televisivo ebbe un declino e contribuì alla decisione della Villani di sfruttare la sua notorietà interpretando diverse pellicole che restano pietre miliari della commedia sexy italiana.

Una giovanissima Carmen Villani

La Villani trova un posto nel genere interpretando una supplente, nel film omonimo e nel sequel apocrifo, sempre alle prese con adolescenti e spasimanti vari. Carmen Villani era moglie del regista Mauro Ivaldi e questa cosa ha favorito il suo passaggio al mondo del cinema, tanto che molti suoi film sono stati girati dal marito. La Villani è sempre stata incuriosita dal mondo del cinema e con il marito ne parlava pure prima di entrarne a far parte, in molte interviste ha affermato di esserne sempre stata affascinata e sedotta. Pare che anche prima di cominciare a recitare spesso si recasse sul set dove il marito lavorava per studiare le riprese e le inquadrature e per vedere come veniva fuori dal niente una storia per immagini. Mauro Ivaldi lavorava per la Fotogramma, una casa di produzione di film pubblicitari, dirigeva piccoli shorts, rapidi filmati per mettere in evidenza un prodotto. Una volta che la moglie decise di passare al cinema però comprese che con lei avrebbe potuto fare ben altro sfruttandone la carica sensuale ed erotica. Carmen Villani aveva già debuttato nel cinema con il film Un uomo da bruciare (1962) dei fratelli Taviani, una produzione importante che vinse il Premio della Critica a Venezia come Opera Prima. La Bluebell era la casa editrice della colonna sonora del film e la Villani incideva per la stessa casa, si trattò di un’operazione commerciale per lanciare la cantante. Nel film lei cantava lo scadente “Un domani per noi”, interpretava se stessa diretta dai Taviani, ma recitava pure in numerose scene.


Nel 1965 risulta anche una sua partecipazione al film di Renzo Russo intitolato Per una valigia piena di donne. La Villani però ha sempre negato e ritiene che il regista è andato a pescare qua e là alcune sue immagini da inserire nel contesto della pellicola. In realtà il film è proprio un collage di situazioni estrapolate dagli spettacoli di tardo avanspettacolo, ci sono alcuni numeri musicali e spogliarelli con Carmen Villani e Ricky Gianko e tra gli interpreti segnaliamo pure Elio Crovetto. Il film è scritto da Russo e dall’umorista Carlo Manzoni. Per rivedere la Villani al cinema dobbiamo attendere il 1973 e nel frattempo la sua carriera di cantante decolla. Passa alla Fonit Cetra, partecipa a quattro Festival di Sanremo, lavora in televisione, fa concerti. La ricordiamo in “La Domenica è un’altra cosa”, “Che domenica amici”, “Canzonissima”, “Senza Rete” e “Un disco per l’estate”.  Al cinema passano alcune sue canzoni nelle colonne sonore, cose come “Bada Caterina”, “Il profeta”, “L’ultimo uomo di Sara”.


Il primo film girato da protagonista ha un titolo interminabile: Brigitte, Laure, Ursula, Monica, Raquel, Liz, Maria, Claudia e Sofia le chiamo tutte… anima mia (1973) che per semplicità chiameremo Anima mia. Mauro Ivaldi era già marito di Carmen Villani da sei anni, si erano conosciuti quando lei aveva appena 19 anni e si erano sposati tre anni dopo. Da notare che il Dizionario del Cinema di Italiano del Poppi definisce così Mauro Ivaldi (Milano, 1942): “marito della cantante e attrice Carmen Villani, l’ha diretta in alcuni film realizzati fra il 1974 e il 1978, tutti non particolarmente significativi”. Il povero Ivaldi viene classificato come “marito della cantante e attrice Carmen Villani” e stroncato di brutto come regista. La Villani veniva dal successo discografico di “Come stai” (cantata a Sanremo insieme a Domenico Modugno e davvero una bella canzone) e non vedeva sbocchi a lei congeniali nel mondo della canzone. Ivaldi, dopo tanta pubblicità, doveva girare per la Tregar il suo primo film che si avvaleva di una sceneggiatura di Castellano e Pipolo. Era una buona occasione. Da notare che nel cast tecnico c’è pure Aristide Massaccesi come direttore della fotografia, le musiche sono di Fanco Pisano, il montaggio di Alessandro Lucidi e le scenografie di Claudio Cinini. Tra gli interpreti spicca Orazio Orlando nel ruolo del playboy protagonista con una donna in ogni porto. La Villani è la futura sposa di Orlando e subisce l’assalto delle fidanzate del futuro marito che la vogliono dissuadere dall’insano gesto. Il film è una sorta di giallo sexy perché a un certo punto la Villani e Orlando vengono coinvolti in una serie di attentati che hanno come unico scopo quello di impedire le nozze. La parte erotica in ogni caso è molto soft e il film si può definire una commedia brillante di impostazione giallo - rosa che spesso sconfina nella pochade. In ogni caso vinse il Premio Totò come miglior commedia dell’anno. Carmen Villani canta pure “Anima mia”, il successo di quel periodo dei Cugini di campagna e in realtà doveva limitarsi a fare quello, poi pare che a cast completato non c’erano più soldi per prendere un’attrice protagonista e lei si prestò per fare un favore al marito che era al debutto. Tra gli altri interpreti ricordiamo: Mario Adorf, Pamela Tiffin, Edmonda Aldini, Gigi Ballista, Monica Monet, Elena Veronese, Angela Covello e Anna Zinneman. Il cast era composto di donne bellissime, più o meno famose, come curiosità c’è da dire che Martine Zeldman era fidanzata con il nipote di Paul Getty ed era il periodo che il ragazzo venne rapito e gli fu mozzato un orecchio per convincere il ricco zio a pagare il riscatto. 

Carmen Villani ne La supplente va in città

L’amica di mia madre (1975) è il secondo film diretta dal marito su soggetto di Mario Di Nardo (che lo produce insieme a Gino Bognani per West Coast) e sceneggiatura di Giorgio Cristallini, Nino Fiore e dello stesso Ivaldi. La fotografia è di Gino Santini, il montaggio di Carlo Reali, le musiche sono di Alberto Baldan Bembo e le scenografie di Giorgio Postiglione. Distribuzione: Stefano Film. Si tratta del vero e proprio esordio nell’erotico all’italiana per la seducente cantante che recita a fianco di Barbara Bouchet ma vince il confronto alla grande. Carmen è la bella e disinibita Andrea che fa innamorare Roberto Cenci sempre indeciso se farsi lei o la Bouchet. Cenci (che adesso fa il regista per Mediaset) sarà una costante di questo tipo di pellicola e anche quando lui mancherà fisicamente tornerà il suo personaggio del ragazzino imbranato a caccia di avventure e di iniziazioni sessuali. Il film è girato in Columbia e ha una bella location esotica, pure se non è certo un capolavoro, né come storia né come umorismo. Tra l’altro promette molto di più di quanto mantiene perché sia la Bouchet che la Villani mostrano poco o niente. Il personaggio di Carmen Villani è quello di una donna libera che si comporta un po’ da maschiaccio ma che sprizza sensualità da tutti i pori. La Villani lo rende a dovere per mezzo di una recitazione sopra le righe e fa di Roberto Cenci il capro espiatorio di tutte le sue esagerazioni. Barbara Bouchet è la vera protagonista e interpreta l’amica parigina che svezza il ragazzo e poi se ne torna in Francia lasciandolo di nuovo nelle mani di Andrea. 


Ecco lingua d’argento (1976) è un sequel leggermente più spinto de L’amica di mia madre ed è sempre diretto da Ivaldi che per la sceneggiatura si avvale della collaborazione di Guido Leoni. La fotografia è di Gino Santini, il montaggio di Carlo Reali, le scenografie di Franco Calabrese e le musiche di Alberto Baldan Bembo. Produce la Summit Cinematografica e distribuisce Stefano Film. Gli interpreti sono quasi gli stessi del film prcedente, con la Villani nei panni di Andrea e Roberto Cenci (il suo vero nome è Pace) che interpreta Billy, solo che al posto della Bouchet troviamo Nadia Cassini (la bionda psicanalista Emmanuelle) in uno dei suoi primi erotici e come solito mette in mostra la sua parte migliore. Da segnalare pure la presenza di Gianfranco D’Angelo ed Enzo Andronico. Giusti lo definisce un turistico - esotico e in parte è vero per una ben riuscita ambientazione tunisina (ma si vuol far credere che siamo in Colombia), ma in realtà si tratta del solito film erotico all’italiana neppure troppo divertente. Carmen Villani è la fidanzata di Roberto Cenci che se la fa con Nadia Cassini, lei diventa gelosa e torna a riprendersi il ragazzo. Niente di speciale, davvero. Il cult sta solo nella presenza di due donne splendide come la Villani e la Cassini (in un’inedita veste bionda). Il film al tempo scandalizzò parecchio, più per quel che prometteva che per il suo reale contenuto. Il titolo è ammiccante al punto giusto e incuriosisce, poi c’è una sequenza onirica con la Villani vestita da kapò tedesco che fuma il sigaro e se ne sta seduta a gambe larghe in una posa abbastanza spinta. L’unica scena davvero erotica è la prima sequenza del film con la Villani che guarda intensamente la macchina da presa e chiede di inquadrarle il volto invece delle gambe. Per tutto il resto della pellicola invece ci sono solo innocenti scene comico - erotiche. Nonostante tutto venne bocciato due volte dalla censura e pensare che visto oggi pare un film per ragazzini. La Villani interpreta ancora Andrea, lo stesso personaggio vincente de L’amica di mia madre e lo fa con la malizia di sempre, una sua caratteristica di attrice che sprizza sensualità pure se resta vestita. 


Un anno prima la Villani aveva interpretato La supplente (1975), diretta da Guido Leoni che collabora per soggetto e sceneggiatura con Sandro Leoni, la fotografia è di Romolo Garroni, le musiche addirittura di Renato Rascel, il montaggio di Angelo Curi, le scenografie di Luciano Vincenti. Produce la Summit e distribuisce la Euro International Film. Carmen Villani è la professoressa Loredana Cataluzzi e accanto a lei recitano: Dayle Haddon, Eligio Zamara, Gloria Pindemonte e Ilona Staller (che si fa chiamare Elena Mercury) Carlo Giuffrè, Gastone Pescucci, Giusi Raspani Dandolo e molti altri caratteristi. Il film non è molto spinto, soprattutto la Villani si spoglia davvero poco e lascia il compito alle più disinibite Dayle Haddon, Ilona Staller e Gloria Pindemonte. La storia è abbastanza semplice e vede la giovane supplente Carmen Villani prendere il posto della vecchia professoressa Scipioni e attizzare l’interesse erotico di professori e studenti. Inutile dire che questo ruolo di supplente super sexy è costruito su Carmen Villani a imitazione de L’insegnate con Edwige Fenech ed è pure debitrice degli intrighi erotici de La liceale con Gloria Guida. La presenza di Carlo Giuffrè rende la commedia a tratti piacevole e divertente, il bravo comico napoletano è un aitante professore di ginnastica che se la fa con la supplente ma poi cede il passo di fronte al più giovane Stefano (Eligio Zamara). Dayle Haddon nei panni della sorella della supplente va oltre i limiti del consentito e fa vedere tutto quello che la Villani tiene nascosto. Il film fu un successo, pure perché la commedia erotica di ambientazione scolastica andava alla grande ed è inutile fare i moralisti adesso, quel genere di film era proprio ciò che piaceva ai giovani degli anni Settanta. 


Lettomania di Vincenzo Rigo è un pessimo film del 1976, anno di grazia per la Villani che interpreta ben tre pellicole. Rigo è un regista dimenticato della storia del cinema, un documentarista che ha diretto solo tre film a soggetto e ben due vedono protagonista Carmen  Villani. Livio Musso dà una mano per la sceneggiatura, la fotografia è di Gino Santini, il montaggio di Giancarlo Venarucci, le scenografie di Franco Gambarana e le musiche di Franco Campanino. Produce R. R. International  e distribuisce Stefano Film. Carmen Villani recita accanto a Harry Reems, Alberto Squillante, Pietro Tordi, Armando Celso, Rossana Callegari e molti altri caratteristi minori. Harry Reems veniva dall’hard d’autore e aveva interpretato niente meno che Gola profonda e Il diavolo in Miss Jones. Qui gli si chiede di recitare al fianco della bella e disinibita Carmen Villani ma il film non decolla mai e rimane né carne e né pesce. Il tipo di film e la fotografia utilizzata fanno pensare a un hard che non è mai tale, ci sono scene di sesso abbastanza spinte soprattutto nel finale e pare che in alcune abbiano inserito una controfigura al posto della Villani. Tra l’altro la Villani pensava che il film si intitolasse Lei e non Lettomania e che avrebbe dovuto limitarsi a girare qualche scena nei panni della moglie di uno scrittore. 

Passi furtivi in una notte boia (1976) in un primo tempo si doveva intitolare Zelmaide e lo dirige ancora Vincenzo Rigo. Non è una pellicola erotica e nel cast ci sono attori come Walter Chiari, Carlo Delle Piane, Pippo Santonastaso, Gianni Cavina e  Carlo Croccolo. Tratto dal romanzo “Zelmaide, un colpo in tre atti” di Giorgio Santi è un buon film scritto da Massimo Franciosa e Mario Garriba. Rigo fa pure il montaggio e confeziona un lavoro dignitoso ma poco visto. Il tenore è quello della commedia rosa dove la Villani non si spoglia quasi mai ma recita a dovere. La storia racconta le gesta di una banda di incensurati che tenta di fare un colpo alla banca del paese. 


La signora ha fatto il pieno (1977) di Juan Bosch segna un ritorno all’erotico per la bella starlet. Il film è scritto e sceneggiato da Fabio Pittorru e Sergio Ricci, la fotografia è di Gino Santini, il montaggio di Teresa Rojo e le musiche sono di Stelvio Cipriani. La produzione è italo - spagnola e la versione iberica titola con uno stupendo Es pecado…pero me gusta.  La trama racconta del proprietario di una casa farmaceutica che spaccia una mignotta (Carmen Villani) per sua moglie e tenta di corrompere l’onorevole Cralo Giuffrè per ottenere l’approvazione di un farmaco. Accanto alla Villani nei panni di Lola recitano gli ottimi Carlo Giuffrè  e Aldo Maccione. Tra gli spagnoli: José Antonio Ceinos, Esperanza Roy e Fedra Llorente. Insolita partecipazione come interprete di Gino Santini, direttore della fotografia di quasi tutti i film della Villani. La bella attrice sostiene che lui era la sua difesa e che sapeva sempre con quale luce fotografarla. Al tempo stesso ha voluto quasi sempre lo stesso truccatore che era Duilio Giustini e senza di lui si sentiva spaesata. 


Grazie tante e arrivederci (1978) vede di nuovo il marito Mauro Ivaldi alle prese con la moglie su soggetto di Enzo Milioni e Angelo Fenelli, la fotografia è di Gino Santini, il montaggio di Carlo Reali, le musiche di Alberto Baldan Bembo e le scenografie di Giorgio Desideri. Produce Tanit Cinematografica. Accanto alla Villani recitano Mario Scarpetta, Memmo Carotenuto, Gianfranco D’Angelo, Vittorio Caprioli, Franca Valeri, Gigi Bonos e molti altri caratteristi. Si tratta di una commedia erotica davvero poco spinta. Marco Giusti su “Stracult” racconta di una scena tagliata con i marinai che facevano vedere gli uccelli, ma non si sa quanto sia realtà o leggenda. Carmen Villani innamora il seminarista Mario Scarpetta e gli fa abbandonare i voti: la storia è tutta qui. Pare strano che nel cast non ci sia Lino Banfi perché il film è girato tutto dalle sue parti (come molti altri film del periodo), tra Martinafranca, Trani, Brindisi e Alberobello. Vittorio Caprioli e Franca Valeri risollevano con la loro classe un lavoro poco più che mediocre. Da notare che questo film in un primo tempo doveva essere prodotto da Sergio Leone, lo ha detto la stessa Carmen Villani a David Pulici e Manlio Gomarasca che la intervistarono per “99 Donne”. Il periodo d’oro dell’erotico all’italiana stava finendo e molte case di produzione chiudevano i battenti, non restava che affidarsi all’estero o produrre in proprio. Cominciavano i tempi duri per il cinema italiano.


L’anello matrimoniale (1979) sempre di Mauro Ivaldi vede il marito di Carmen Villani nella doppia veste di regista e produttore accanto alla José Frade spagnola. Ivaldi per risparmiare cura anche le scenografie. La sceneggiatura è del regista con la collaborazione di Augusto Caminito, la fotografia di Manuel Merino, il montaggio di Carlo Reale e le musiche sono di Roberto Soffici. Il cast vede la Villani accanto a Ray Lovelock, Amparo Munoz (una stupenda ex Miss Mondo), Manuel Sierra ed Enzo Cannavale. Sempre di commedia erotica molto soft si tratta, ma questa volta ci sono delle sterzate verso il drammatico e secondo Manlio Gomarasca si tratta di una delle migliori interpretazioni di Carmen Villani. Pure secondo me il film è ottimo, ben recitato, erotico quanto basta, ma pure in grado di raccontare una bella storia d’amore tra moglie e marito dopo una scappatella coniugale conclusa con il ritorno a casa.  Carmen è innamoratissima del marito (Lovelock) ma perde la testa per un vicino di casa (Manuel Sierra) e - con il consenso del coniuge al quale dice semrpe tuta la verità - va a letto con lui e mette su una storia basata solo sul sesso. Questa sorta di Ultimo tango a Parigi al contrario non può durare e alla fine la donna si accorge che l’amante è un pozzo di diefetti, mentre il suo unico vero amore resta il marito. La moglie insoddisfata di Manuel Sierra è la stupenda quanto inespressiva Amparo Munoz, che si spoglia in una torrida scena di sesso, ma che perde alla grande il confronto con la più sensuale Carmen Villani. Il film è passato di recente sul canale satellitare Happy Channel e devo dire ancora resiste alll’usura del tempo. La Villani si mostra molto nuda in diverse scene piccanti e disnibite, forse questo è uno dei film più sexy della sua carriera. Il film ottenne diverse critiche positive, soprattutto perché si tratta di una garbata presa in giro di usi e costumi sessuali del momento storico. Poi ci sono le belle musiche di Roberto Soffici che valorizzavano il lavoro. Un film da riscoprire e rivalutare. 


La supplente va in città (1980) è diretto da Vittorio De Sisti che tenta la carta di bissare il vecchio successo de La supplente, ma non ci riesce. Lo spettatore si sente preso in giro perché il titolo non c’entra niente con la storia e serve soltanto a evocare nell’immaginario collettivo il vecchio film di Guido Leoni che andò molto bene. Non per niente gli spagnoli lo intitolarono De craida a señora che era più pertinente, pure perché la storia è tratta dalla commedia Da serva a padrona. Il soggetto è di Domenico Calandruccio e Roberto Natale, mentre alla sceneggiatura hanno collaborato anche Vittorio De Sisti, Jaime Comas e Paolo Mercuri. La fotografia è di Raul Perez Cubero, le musiche sono di Stelvio Cipriani, il montaggio di Anita Cacciolati e Vittorio De Sisti e le scenografie di Jaime Perez Cubero. Produzione italo - spagnola. Come abbiamo già detto si tratta di un finto sequel de La supplente, ma in realtà è la storia della Villani che arriva a Roma e si vendica con il fidanzato che l’ha violentata, poi si fa assumere come cameriera in una famiglia e si impone soprattutto come amante di tutti. Alla fine diventa la padrona di casa. Il film è scadente ed è l’ultima esperienza di Carmen Villani nel cinema italiano, un mesto canto del cigno per un’attrice bella e maliziosa che sapeva pure recitare ma che ha avuto la sfortuna di rimanere imbrigliata in un cliché da simbolo erotico che non le apparteneva.  


Dopo questo film Carmen Villani ha girato quattro pellicole per la televisione spagnola: Lady Lucifera (1980) di José Larraz, Los lios de Estefania (1983) di Mauro Ivaldi, La casada divertida (1983) di Mauro Ivaldi e Una spia enamorada (1983) sempre di Mauro Ivaldi. Si tratta di commedie classiche mai uscite in Italia e la serie doveva continuare sino ad arrivare a dieci, poi Ivaldi venne chiamato a Los Angeles dove avrebbe dovuto girare il suo primo film americano. Purtroppo la sua morte improvvisa ha infranto molti sogni e anche la carriera artistica di Carmen Villani si è interrotta. 


La Villani ha detto a Manlio Gomarasca e Davide Pulici che l’hanno intervistata per “99 Donne” che odia veder pubblicati i fotogrammi erotici dei suoi film, sono immagini da vedere in movimento e collegate al resto della pellicola, fuori dal contesto possono risultare volgari anche cose che non lo sono. Il suo film che più ama invece è una pellicola per noi introvabile, uscita solo in Spagna ma fece un grande incasso: Lady Lucifera, storia esilarante di una famiglia di diavoli. Non ha mai avuto nessun imbarazzo a farsi dirigere da suo marito in scene di sesso, si trattava pur sempre di finzione e i suoi film non erano certo così spinti come spesso i titoli e i cartelloni pubblicitari volevano far apparire. L’immagine di Carmen Villani resta nel nostro immaginario di ragazzini come quella di Andrea vestita da kapò nazista con un provocante sigaro in bocca che schizza fuori dalle locandine di Ecco lingua d’argento.

Carmen, sexy supplente

Non è assolutamente vero come pensano molti che la filmografia della Villani si distingue dalla produzione di genere dell’epoca perché l’erotismo è molto meno blando rispetto alle pellicole girate dalla Fenech, dalla Guida e dalle altre attrici della commedia sexy. Sono soltanto i titoli e le leggende messe in giro ad arte che lo fanno pensare, pure se è vero che le pellicole Lingua d’argento e La signora ha fatto il pieno ebbero parecchi problemi con la censura dell’epoca. Ma in realtà viste con l’occhio dello spettatore del 2004 sono pellicole innocue. Carmen Villani era di sicuro l’attrice più ruspante del filone, la meno costruita e non era affatto vero che la sua recitazione era inespressiva come dicevano i detrattori. La Villani incarnò il modello perfetto della ragazza schietta, frizzante, genuina e ironica che non si scandalizzava di nessuna situazione erotica o morbosa.


FILMOGRAFIA DI CARMEN VILLANI

Un uomo da bruciare di Paolo e Vittorio Taviani (1963)
Per una valigia piena di donne di Renzo Russo (1965)
Anima mia di Mauro Ivaldi (1973)
L’amica di mia madre di Mauro Ivaldi (1974)
La supplente di Guido Leoni (1975)
Ecco lingua d’argento di Mauro Ivaldi (1976)
Lettomania di Vincenzo Rigo (1976)
Passi furtivi in una notte buia di Vincenzo Rigo (1976)
La signora ha fatto il pieno di Juan Bosch (1977)
Grazie tante e arrivederci di Mauro Ivaldi (1977)
L’anello matrimoniale di Mauro Ivaldi (1978)
La supplente va in città di Vittorio De Sisti (1979)
Lady Lucifera di José Larraz (1980)
Los lios de Estefania di Mauro Ivaldi (1983)
La casada divertida di Mauro Ivaldi (1983)
Una spia enamorada di Mauro Ivaldi (1983)

Gordiano Lupi

domenica 23 settembre 2012

La ragazza del vagone letto (1979)

di Ferdinando Baldi


Regia: Ferdinando Baldi. Soggetto e Sceneggiatura. Luigi Montefiori. Scenografia: Gastone Carsetti. Montaggio: Alessandro Lucidi. Fotografia. Giuseppe Aquari. Costumi: Alberto Verso. Abiti Maschili: Enzo Ceci. Operatore alla Macchina: Luigi Filippo Carta. Musica: Marcello Giombini. Aiuto Regista: Giampiero Mele. Organizzazione: Armando Todaro. Produzione: Coop. Rinascita Cinematografica. Addetto alla produzione: Vincenzo Testa. Interpreti: Silvia Dionisio, Paul Werner (Pochath), Zora Kerowa, Gianluigi Chirizzi, Carlo De Mejo, Giancarlo Maestri, Fausto Lombardi, Gino Milli, Antonino Maimone, Roberto Caporali, Gianfranca Dionisi, Rita Livesi, Gianfilippo Carcano, Andrea Scotti, Cesare Galli, Fiammetta Flamini (per la prima volta sullo schermo), Venantino Venantini (partecipazione straordinaria). Girato interni: Stabilimenti R.P.A. Elios (Roma). Technicolor.

Silvia Dionisio e Gianluigi Chirizzi

Ferdinando Baldi (1927) è un laureato in lettere che lascia l’insegnamento ed entra nel cinema a soli venticinque anni grazie al produttore Tiziano Longo che gli fa girare Il prezzo dell’onore (1952). Baldi si specializza nel genere storico - mitologico, realizza buoni prodotti western e gira pellicole di produzione statunitense. Nel campo della commedia sexy ricordiamo L’inquilina del piano di sopra (1977), interpretato da Lino Toffolo, Silvia Dionisio e Pippo Franco, e La compagna di viaggio (1980), prodotto commerciale costruito sulle grazie di Annamaria Rizzoli, con la presenza delle  dive porno Moana Pozzi e Marina Frajese, salvato da Gastone Moschin.

Un intenso primo piano di Silvia Dionisio

Ferdinando Baldi gira La ragazza del vagone letto (1979) in contemporanea a La compagna di viaggio, ma il tono della prima pellicola è completamente diverso. Si tratta di un thriller erotico violento, stile rape & revenge, scritto da Luigi Montefiori, citando a piene mani L’ultimo treno della notte (1975) di Aldo Lado, ispirato ad Arancia meccanica (1971) di Stanley Kubrick e L’ultima casa a sinistra (1972) di Wes Craven, in sintonia con le atmosfere cupe e misogine de La casa sperduta nel parco (1980) di Ruggero Deodato.

Fiammetta Flamini, cantante e attrice scomparsa

Silvia Dionisio è Giulia, la ragazza del vagone letto, una prostituta in combutta con il capotreno che viaggia per affari e concede una parte dei guadagni al corrotto ferroviere. Werner (Pochath), De Mejo e Lombardi sono tre balordi che infastidiscono la Dionisio alla cabina telefonica della stazione, salgono sul treno, si impadroniscono del vagone letto e scatenano una perversa atmosfera di terrore. Zora Kerowa è la moglie disinibita e fedifraga di Venantini che si lascia possedere dai balordi. La cantante Fiammetta Flamini è la ragazzina deflorata consensualmente da De Mejo che finisce per innamorarsi del violentatore. Gianluigi Chirizzi è Pierre, un detenuto politico che viaggia ammanettato con un poliziotto, in definitiva il personaggio migliore della comitiva, che risolve la spiacevole situazione uccidendo i tre balordi.

Fiammetta Flamini e Carlo De Mejo in una torrida scena erotica

La ragazza del vagone letto non è un buon film. Recitato male dai tre protagonisti negativi (troppo sopra le righe), girato con riprese sghembe, montato in maniera lenta e compassata, con una fotografia troppo oscura, infarcito di dialoghi improbabili e situazioni fastidiose. Resta un film di culto per il grado di trasgressione che raggiunge, per la misoginia delle situazioni e per i torridi momenti erotici. Va vista la versione uncut, perché la visione di un simile film privato dei momenti caldi è del tutto inutile. Zora Kerowa si abbandona a un prolungato rapporto nel bagno del treno, prima con De Mejo, poi con Lombardi, che rasenta sequenze da cinema hard. Silvia Dionisio si concede alla macchina da presa senza veli in numerose sequenze, ma soprattutto in situazioni morbose che la vedono concedersi ai tre balordi mentre il regista riprende i rapporti nei minimi particolari. Infine anche Fiammetta Flamini - scomparsa sia come attrice che come cantante - si concede un lungo rapporto erotico con Carlo De Mejo ai limiti del porno.

Zora Kerowa e Carlo De Mejo

Ferdinando Baldi gira un film privo di personaggi positivi, ma li rende simili a macchiette fumettistiche - con tutto il rispetto per i fumetti, inserendo politici corrotti e pornografi, balordi a caccia d’avventure, puttane vittime di padri violenti che avrebbero voluto farsi suore (sic!), mariti cornuti, padri che desiderano le figlie, mogli disinibite e ragazzine vittime della sindrome di Stoccolma. Voyeuristico e misogino come pochi, oggetto di curiosità morbosa da parte di molti appassionati del cinema bis.

Il DVD tedesco

Paolo Mereghetti concede una sola stella: “Il copione di Montefiori rubacchia da capisaldi del filone cosiddetto rape & revenge e riunisce uno squallido campionario d’umanità, dal politico erotomane al padre che desidera la figlia adolescente. Meno truculento dei modelli, e spesso ridicolo per via della recitazione esagitata dei tre cattivoni: ma con una sgradevole  vena voyeuristica e misogina, tra generosi nudi e stupri in cui la vittima finisce per apprezzare”. Marco Giusti non ha visto il film, forse l’ha scorso velocemente, perché parla di “tre brutti ceffi muniti di pistola che si scatenano in treno e cercano di farsi la Dionisio”. Non è solo questo, nonostante la modesta sceneggiatura. Non condividiamo neppure la definizione di “Horror-train” erotico, perché il film è soltanto un thriller claustrofobico, molto spinto sul lato erotico, che incarna tutte le caratteristiche del rape & revenge, dove la vendetta a nome di tutti - pure delle donne consenzienti - è compiuta dal detenuto politico che si libera dalle manette.

Un bel primo piano di Silvia Dionisio

Uscito in Francia come Terreur Express e in Germania come Horrorsex in Nachtexpress. Frase di lancio: “Il treno viaggia sicuro nella notte…all’interno si scatena la violenza, l’oscenità, il crimine…”. Solo per amanti del morboso.

Un altra edizione tedesca

Per vedere il film completo e uncut (sperando che non lo rimuovano):



Gordiano Lupi