sabato 27 aprile 2013

I magliari (1959)

di Francesco Rosi

Francesco Rosi (Napoli, 1922)

Regia: Francesco Rosi. Produzione: Vides Cinematografica (Francia), Titanus (Italia). Produttore: Franco Cristaldi. Distribuzione: Titanus. Soggetto: Suso Cecchi D’Amico, Franco Rosi. Sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Giuseppe Patroni Griffi, Franco Rosi. Fotografia: Gianni Di Venanzio. Montaggio: Mario Serandrei. Scenografia: Dietel Bartels. Costumi: Graziella Urbinati. Musica: Piero Piccioni. Interpreti: Alberto Sordi, Renato Salvatori, Belinda Lee, Aldo Bufi Landi, Nino Vingelli, Aldo Giuffré, Nino Di Napoli, Lina Vandal, Joseph Dahmen, Carmine Ippolito, Pasquale Cennamo, Ubaldo Granata, Else Knott, Salvatore Cafiero, Lina Vandal, Antonio La Raina. Durata: 121’. Bianco e Nero. Premi. Nastro d’Argento (1960) - Miglior Fotografia in bianco e nero.


I magliari è un film importante del cinema italiano, una commedia neorealista dai risvolti drammatici che racconta la dura vita degli emigranti in Germania, l’arte di arrangiarsi, il contrasto tra lavoratori onesti e truffatori. Il film è interamente girato in Germania, tra Hannover e Amburgo, fotografato in un livido bianco e nero dal grande Gianni Di Venanzio, ben musicato da Piero Piccioni, che mixa alcuni pezzi d’epoca, e girato senza sbavature da Francesco Rosi. Soggetto e Sceneggiatura sono appassionanti: Suso Cecchi D’Amico e Giuseppe Patroni Griffi scrivono una storia di denuncia sociale, per niente retorica, ricca di elementi sentimentali e comici.


Mario Balducci (Salvatori) è un operaio emigrato ad Hannover, rimasto senza lavoro e deciso a tornare in Italia, che incontra Ferdinando Magliulo detto Totonno (Sordi), un magliaro romano che lavora per la banda di Don Raffaele (Ippolito). Totonno inserisce Mario nel lavoro truffaldino, insegnandoli come si vendono stoffe e tappeti di scarsa qualità ingannando gli acquirenti. Totonno tradisce Don Raffaele, alcuni uomini della banda vanno con lui ad Amburgo, dai coniugi Mayer, che vorrebbero controllare il mercato dei magliari. Non è così facile, perché un gruppo di polacchi rende la vita dura, arrivando persino alla scontro fisico. In questi frangenti sboccia l’amore tra Mario e Paula Mayer (Lee), un’ex prostituta sposata con il boss tedesco, ma il rapporto è destinato a finire perché la donna non vuol tornare a vivere un’esistenza da povera. Totonno rivela tutta la sua incapacità a fare il capo, al punto che il signor Mayer stipula un accordo con Don Raffaele e si libera di lui in malo modo. Totonno torna a ordire piccole truffe in proprio, mentre Mario decide di rientrare in Italia per fare una vita povera ma onesta. Rientrerà solo e affranto, perché la sua donna non è disposta a seguirlo. Memorabile il piano sequenza di Salvatori che alza il bavero al cappotto e si allontana nel grigiore del porto di Amburgo, mentre Belinda Lee scompare in lontananza.


Il personaggio di Mario Balducci doveva essere interpretato da Marcello Mastroianni, ma la produzione optò per Renato Salvatori, dopo il rifiuto del primo a recitare nella pellicola. Alberto Sordi incontrò personalmente i magliari per immedesimarsi nel personaggio. Francesco Rosi afferma: “Sordi aveva un grande cuore ma non voleva dimostrarlo. Faceva di tutto per nasconderlo. Attore di verità, sebbene la sua verità nei personaggi che interpretava diventasse una verità ricostruita. La sua era una recitazione comica che non perdeva mai il contatto con la realtà. Pretesi lui per I magliari e lui fu d’accordissimo a interpretare il personaggio. Passare dai toni drammatici ai toni comici senza perdere il fondo dell’indagine realistica fu un lavoro magnifico. I magliari è un film fotografato da Gianni Di Venanzio in modo splendido. In una sequenza ho chiesto a Sordi di rivolgersi al pubblico direttamente, una piccola invenzione che lui ha interpretato da grandissimo attore e che successivamente molti hanno copiato”.


Francesco Rosi è bravo a mettere il dito nella piaga dell’emigrazione italiana in Germania e a farlo con leggerezza. Ottime le sequenze nelle baracche degli operai, nella pizzeria napoletana, tra compaesani che si ritrovano. Notevole la stigmatizzazione dei due caratteri: Salvatori è l’operaio che vorrebbe guadagnare onestamente il suo denaro, Sordi è il truffatore di piccolo calibro, meschino, senza scrupoli, che vive di espedienti. Le truffe organizzate da Sordi sono la parte comica della pellicola, mentre Salvatori si ritaglia uno spaccato romantico con la collaborazione di Belinda Lee. La bella attrice britannica è una promessa non mantenuta del cinema, perché morirà due anni dopo in un incidente automobilistico in California. Gualtiero Jacopetti (il suo compagno alla guida dell’auto) le dedicherà il film La donna nel mondo (1963).


I magliari è stato restaurato nel 2009 dalla Cineteca del Comune di Bologna e dal Museo Nazionale del Cinema di Torino, per il progetto 100 + 1. Cento film e un paese, l’Italia delle Giornate degli Autori di Venezia. Il laboratorio L’Immagina Ritrovata della Cineteca di Bologna ha lavorato sui negativi originali depositati dalla Titanus, realizzando una versione presentata alla 66a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Versione passata in data 25 aprile 2013 anche su Rai Tre.


Rassegna critica. Paolo Mereghetti (due stelle e mezzo): “Per la sua opera seconda, Rosi riprende i temi de La sfida (la lotta, all’interno di un’organizzazione semi-illegale, tra il vecchio boss e il nuovo arrivato), concedendo però maggior spazio al percorso antitetico dei due protagonisti: il rassegnato Mario, che in extremis capisce come i continui compromessi etici finirebbero per perderlo, e l’amorale Totonno, che nel trionfo della sua arte d’arrangiarsi mette in campo l’egoismo tipico di un’italianità che sopravvive ai limiti della legalità. Strabordante e buffonesco, Sordi sbilancia l’equilibrio del film, catturando la scena con la sua abilità istrionica (indimenticabile il soliloquio conclusivo, quando nasconde a se stesso la sconfitta e si immagina in nuove avventure): ma al contempo vivifica una vicenda  che rischiava di scivolare nel letterario, con Salvatori immigrato buono che si lascia corrompere e la Lee nevrotica donna del miracolo economico, insoddisfatta di pellicce e gioielli”.


Morando Morandini (due stelle e mezzo, la critica; tre stelle, il pubblico): “Francesco Rosi continua, approfondendo, il discorso de La sfida (1958), descrivendo la mafia infiltrata tra gli emigranti. La presenza debordante di Alberto Sordi squilibra il racconto inclinandolo troppo sul versante della commedia”. Pino Farinotti (tre stelle): “In Germania un gruppo di napoletani si mette nel mercato delle stoffe. (…) Tra tanti affari, una storia d’amore tra la bella moglie di Mayer e Mario, giovane operaio. I due, comunque, si lasciano quando Mario decide di abbandonare tutto e tornare in Italia”. Condividiamo quasi totalmente la sintesi di Mereghetti. La presenza di Alberto Sordi salva il film dal farlo diventare un fumettone melodrammatico. Piccolo capolavoro.

Gordiano Lupi

domenica 21 aprile 2013

Lo scopone scientifico (1972)

di Luigi Comencini


Regia: Luigi Comencini. Soggetto e Sceneggiatura. Rodolfo Sonego. Scenografia: Luigi Scaccianoce. Arredamento: Bruno Cesari. Costumi: Bruna Parmesan. Montaggio: Nino Baragli. Fotografia: Giuseppe Ruzzolini. Musiche: Piero Piccioni. Edizioni Musicali: Radiofilmusica spa, Roma. Aiuto Regista: Silla Bettini. Operatore alla Macchina: Elio Polacchi. Direttore di Produzione: Piero Lazzari. Produttore Esecutivo: Fausto Saraceni. Produzione: Dino De Laurentiis, Filmauro. Interpreti: Alberto Sordi, Silvana Mangano, Joseph Cotten, Bette Davis, Mario Carotenuto, Domenico Modugno, Antonella Di Maggio, Daniele Dublino, Luciana Lehar, Franca Scagnetti, Luciano Martana, Aristide Caporale, Alfredo Capri, Goffredo Pistoni, Leonardo Pantaleo, Guido Cerniglia, Emilio Cappuccio, Dante Cecilia, Riccardo Perucchetti, Piero Morgia, Luigi Antonio Guerra, Fabio Garriba, Dalila Di Lazzaro. Colore: Spes di E. Catalucci. Durata: 116’. Premi: David di Donatello ad Alberto Sordi e a Silvana Mangano (migliori attori protagonisti); Nastro d’Argento a Mario Carotenuto (miglior attore non protagonista). Selezionato tra i cento film italiani da salvare.


“Lo scopone scientifico è una favola molto giusta sulla lotta dei deboli contro i potenti”, diceva Luigi Comencini del suo film.  Non aveva tutti i torti. Ed è anche il solito film di Comencini dove i bambini assurgono a protagonisti, pur restando sullo sfondo, come unici depositari della verità. La storia è di Sonego, fido sceneggiatore di Alberto Sordi, che scrive un apologo fiabesco basandosi su un avvenimento reale al quale aveva assistito a Napoli nel 1947. Una miliardaria americana (Davis) e il suo autista (Cotten) da otto anni vengono a Roma, vivono in una villa stupenda e sfogano il vizio del gioco sfidando una coppia di borgatari (Peppino e Antonia) a scopone scientifico. Peppino lo stracciarolo è interpretato da un Sordi in gran forma, così come la popolana Antonia è un’ispirata Silvana Mangano. Il film è perfetto. Non una sbavatura di sceneggiatura. Non un errore di prospettiva. Un piccolo capolavoro. Comencini riprende la vita delle borgate romane nei primi anni Settanta, inquadra volti di bambini che lavorano e non hanno tempo per giocare, ritrae la disperazione della povera gente che sogna il miracolo ma ricade sempre nella polvere. La partita a scopone scientifico con la vecchia signora sarebbe l’occasione della vita, ma i due borgatari arrivano a un passo dal successo, senza riuscire a ottenerlo. Antonia prova a giocare insieme a Righetto il baro (Modugno), un professionista delle carte, ma il risultato non cambia, e Peppino non sa se essere contento o dispiaciuto. La vendetta finale contro la vecchia che si porta via trecentomila lire date in prestito da uno strozzino è consumata da una bambina (Di Maggio), di nome Cleopatra (nomen omen), che alla partenza le regala un dolce avvelenato. Luigi Comencini afferma: “La bambina è l’unica a possedere la verità. Di fatto, ho portato una grande attenzione a questa bambina, e credo che questo si veda... Ha un senso preciso della realtà, vede le cose come sono, non vive nella stessa illusione della sua famiglia e di tutto il tessuto sociale della baraccopoli in cui si trova: illusione che li porta tutti alla follia”.


La trama è semplice ma la storia di contorno è complessa e ben sviluppata, così come è curata in senso neorealistico l’ambientazione romana, anche se la vita di borgata è permeata di realismo fiabesco e l’azione passa dalle catapecchie di periferia al castello della strega. Mario Carotenuto regala un’interpretazione giustamente premiata, è un intellettuale marxista da bar, rispettato dagli ignoranti e consultato in caso di bisogno. Pure la coppia Sordi - Mangano è stratosferica, meritano il David di Donatello, ben calati nella parte dei poveri borgatari con un’immedesimazione totale. Sordi è ancora una volta il mediocre che cerca di cambiare vita, ma viene travolto dagli eventi, anche quando pensa di potercela fare. Intensa l’interpretazione come uomo geloso della moglie, suo unico punto di riferimento, quando si sente male e vorrebbe suicidarsi perché è andata a giocare insieme al vecchio spasimante. Silvana Mangano è la donna di borgata, la popolana coraggiosa che non si arrende. Stupenda la scena finale con Peppino e Antonia che si abbracciano dopo l’ultima sconfitta: “Che c’importa dei soldi, noi ci vogliamo bene!”. Bette Davis è una perfida giocatrice che non comprende le necessità dei poveri, in fondo è una donna sola, senza cuore, con la passione del gioco. Joseph Cotten - per la terza volta in carriera accanto a Bette Davis - è l’amore della sua vita, ridotto a fare l’autista. I cinque figli che lavorano in un’azienda di pompe funebri e contribuiscono al menage familiare rappresentano un’idea surreale e divertente.

Bette Davis

Il film è molto teatrale, girato in interni e nella borgata fangosa, tra casupole in lamiera e baracche, ricorrendo ai primi piani, giocando su sguardi ed espressioni dei protagonisti. L’attenzione al mondo dei bambini è una cifra stilistica di Comencini che qui si tiene alla larga dal cinema impegnato per girare una vera e propria fiaba, un apologo morale. I bambini sono piccoli uomini, consapevoli più dei grandi che per vivere bisogna lavorare e soffrire.

Dalila Di Lazzaro è la bionda infermiera di Bette Davis

Bette Davis, come si legge nel libro Mother Goddam di Whitney Stine (Hawthorn Books, 1974), ricevette il copione quando era in vacanza alle terme di La Costa, California, e accettò la parte con entusiasmo. La sua unica delusione fu che il film venne girato in italiano e restò molto contrariata dal fatto che Sordi - pur parlando bene l’inglese - si rifiutò di dialogare con lei nella sua lingua. Bette Davis dice di averlo soprannominato Alberto Sordido.

Il tavolo da gioco

Rassegna critica. Paolo Mereghetti (tre stelle): “Una commedia paradossale e amarissima, apologo favolistico sulla forza del denaro ed esplicita metafora sui rapporti tra America e colonie.  Punto di passaggio della commedia all’italiana verso temi più neri e radicali (nonostante un finale di rivolta e fiducia nei ragazzini, affidato a una bambina programmaticamente presa dalla strada, Antonella Di Maggio). Il film dopo un ottimo spunto iniziale tende a frammentarsi in una serie di annotazioni forse un po’ troppo ripetitive: l’intellettuale marxista senza una lira (Carotenuto), il prete attendista (Dublino), il maggiordomo (Somma), ma si regge su un quartetto di attori in grande forma, specie la Mangano che torna alle origini dopo i ruoli regali nei film di Pasolini e Visconti”. Mereghetti fa notare che Dalila Di Lazzaro è la bella infermiera bionda di Bette Davis, anche se non è citata nei titoli di coda. Morando Morandini (quattro stelle, la critica - tre stelle, il pubblico): “Una vetta della commedia italiana, basata sulla dialettica denaro - potere. E la morale è amara: a giocare con i ricchi (con chi tiene il banco) si perde sempre. Non c’è divisione tra buoni (poveri) e cattivi (ricchi): la linea di separazione è segnata dalla classe sociale e dall’obbligata scelta di campo. Film appassionante, interpretabile a vari livelli e recitato da attori infallibili”. Pino Farinotti (tre stelle): “Da una parte il piacere della vecchia miliardaria di dimostrare che la vittoria sarà sempre sua, dall’altra la speranza di una coppia di baraccati che una vincita cambierebbe radicalmente la loro vita. La sottile vendetta sta in un dolce avvelenato…”




Gordiano Lupi

venerdì 19 aprile 2013

Mamma mia, che impressione! (1951)

di Roberto Savarese


Regia: Roberto Savarese. Soggetto: Alberto Sordi. Sceneggiatura: Alberto Sordi, Cesare Zavattini. Fotografia: Carlo Montuori. Montaggio: Eraldo Da Roma. Operatore di Macchina. Goffredo Belisario. Aiuto Regista: Franco Montemurro. Musiche: A.F. Lavagnino, A. Barberis. Direzione Musiche: Carlo Savina. Direttore di Produzione: Nino Misiano. Produttori: Alberto Sordi, Vittorio De Sica per la Produzione Films Comici. Produzione: Ente Nazionale Industrie Cinematografiche, Aurelia Cinematografica. Girato: Titanus (interni), Roma e Ostia (esterni). Interpreti: Alberto Sordi, Giovanna Pala, Carlo Giustini, Frank Colson, Carlo Delle Piane, Fausto Guerzoni, Luigi Pavese, Francesco Rissone, Vinicio Sofia, Riccardo Bertazzolo, Alberto Damario, Franco Randisi, Marco Tulli, Aldo Trifiletti. Visto censura n.9677 del 21/03/1951. Durata: 98’. Bianco e Nero.


Mamma mia, che impressione! viene girato nel 1950 ed è il primo film con Alberto Sordi protagonista assoluto. Il soggetto è dello stesso Sordi, che scrive la sceneggiatura insieme a Cesare Zavattini e lo produce grazie a Vittorio De Sica. L’idea della pellicola prende le mosse dal successo radiofonico del personaggio ideato da Sordi, il compagnuccio della parrocchietta, una surreale via di mezzo tra i protagonisti del cinema muto e la comicità dei caratteristi. La casa di produzione è la PFC (Produzione Film Comici), che dura lo spazio di un film, visto lo scarso successo riportato al botteghino. Il regista è il poco noto Roberto Savarese, ma Alberto Sordi ha sempre detto che Vittorio De Sica ha lavorato alle riprese e si potrebbe definire coregista. Roberto Poppi, nel Dizionario dei Registi Italiani, afferma che “Mamma mia, che impressione! è diretto anonimamente da Vittorio De Sica”. A suo parere Savarese - regista su commissione, dialoghista e direttore di doppiaggio - si sarebbe limitato a firmarlo.


Alberto (Sordi) è un giovane scout della parrocchietta di Don Isidoro (Colson), carattere impossibile, viziato, fastidioso, chiacchierone, sempre intento a scocciare il prossimo e a fare scherzi di pessimo giusto. Alberto è innamorato di Margherita (Pala) ma è così sciocco e timido che non riesce a confessare il suo sentimento. Tra l’altro ha un atletico rivale come Arturo (Giustini), più maturo e concreto, che riscuote maggior successo con la ragazza. Alberto vorrebbe comprare un presepe e regalarlo a Don Isidoro, ma per farlo dovrebbe vincere una maratona che lo vede contrapposto al più dotato Arturo. La sua partecipazione alla gara occupa gran parte del film che assume i connotati di una comica. Il finale è in bagarre, come da comica che si rispetti.


Mamma mia che impressione! è il refrain che Alberto pronuncia di fronte alle situazioni più disparate, quasi un intercalare. Il film diverte, ma rientra nella comicità tradizionale, senza presentare un minimo di originalità. Alberto Sordi recita una parte che conosce a memoria da petulante imbranato, perfetta per la radio ma davvero poco cinematografica. Il compagnuccio della parrocchietta non si presta a imbastire una vera e propria commedia, ma regala momenti farseschi basati sulla personalità del protagonista.


Gian Luigi Rondi scrive su Il Tempo del 8 aprile 1951: “Con questa melensaggeria, elemento principale della sua psicologia, il nostro giovanotto condisce ogni azione della sua giornata, e il pubblico, nonostante alla fine rischi di stancarsi per l’insistenza di certi toni troppo facilmente farseschi, trova nei suoi gesti dinoccolati e nelle sue assurde peripezie liete e immediate occasioni di riso. Il motivo più autentico del suo spasso, però va ricercato nell’interpretazione di Alberto Sordi cui è stato affidato l’incarico di portare sullo schermo gli argomenti, i modi, l’umorismo di una sua nota caratterizzazione radiofonica, quella dei Compagnucci della Parrocchietta, che pur perdendo vitalità, di freschezza e di arguzia nel passaggio tra radio e cinema, è parsa raccogliere gli stessi applausi e gli stessi divertiti consensi. Dal nostro, avremmo preferito dal regista e da Zavattini, De Sica e Sordi, sceneggiatori una maggiore severità di gusto e una più intelligente scelta di trovate comiche…”.


Rondi non ha tutti i torti. Il personaggio interpretato da Sordi è caricaturale, eccessivo, attaccabrighe, ciarliero, iperattivo, indisponente e antipatico. Una vera e propria macchietta che infastidisce tutti, persino lo spettatore. A tratti ricorda protagonisti del muto come Ridolini, Buster Keaton e Charlot, ma con una personalità ben distinta. La pellicola presenta uno stile insolito, una sorta di neorealismo rosa, comico - farsesco, permeata di una vena surreale tipica di Zavattini. Sordi è straordinario nel suo essere fastidioso e petulante, sembra un personaggio da cartone animato quando distrugge la casa di un acquirente mentre tenta di vendere antifurti. La sua assurda storia d’amore con Margherita ricorda quella di Paperino che litiga con Gastone per il cuore di Paperina. La giornata al mare è spassosa, tra la lite con un bambino per il castello di sabbia e le mutandine perdute in mare che lo costringono a passare la giornata in acqua. Tra i compagnucci della parrocchietta riconosciamo un giovanissimo Carlo Delle Piane. Luigi Pavese è il divertente starter che si lascia andare a una salace battuta politica. Divertente anche la parte in parrocchia con Alberto che stona l’alleluia, il prete che vorrebbe comprare un costoso presepe e l’orgoglio di Alberto come scout, ancora definiti italianamente esploratori. In pratica un film a episodi, uniti dall’esile collante del personaggio surreale che sostiene l’intera costruzione con molte gag sopra le righe. La pellicola finisce come è iniziata, secondo un andamento circolare molto fumettistico, con Alberto che si burla di un netturbino.
Rassegna critica. Paolo Mereghetti (due stelle): “Da un soggetto di Sordi, una commediola esile esile, che punta tutto sulla verve del non ancora noto protagonista che qui riprende il personaggio radiofonico del boy scout e dei compagnucci della parrocchietta”. Morando Morandini (due stelle, sia per la critica che per il pubblico): “Un filmetto un po’ melenso ma interessante come specchio della Roma postbellica”. Pino Farinotti (due stelle): “Un film discreto in cui Sordi la fa da padrone”. 


Gordiano Lupi

lunedì 8 aprile 2013

Dracula (2012)

di Dario Argento


Regia: Dario Argento. Soggetto e Sceneggiatura: Dario Argento, Enrique Cerezo, Antonio Tentori, Stefano Piani (liberamente ispirato al romanzo di Bram Stoker). Fotografia: Luciano Tovoli. Effetti Speciali di Trucco: Apocalypsis. Ideazione e Supervisione Effetti Speciali: Sergio Stivaletti. Musiche: Claudio Simonetti (Kiss me Dracula, testo di Silvia Specchio, eseguita da Simonetti Project). Production Designer: Antonello Geleng. Scenografie: Claudio Cosentino. Costumi: Monica Celeste. Montaggio Stereo: Daniele Campelli, Marshall Harvey. Effetti Visivi: Rebelalliance International, Video Masterwork Film. Supervisione effetti: John Attard. Stereografia: Jean Antoine Delille, DBW Communication. Supervisione alla Produzione e Post Produzione: Barbara Di Girolamo. Organizzazione Generale: Massimo Paolucci. Produttori Esecutivi: Roberto Di Girolamo, Gianni Paolucci, Enrique Cerezo. Produzione: Multimedia Film Production, Enrique Cerezo P.C. (co-produzione italo-spagnola). Direttore di Produzione: Mauro Cagnina, Carlos Bernases. Aiuto Regista: Leopoldo Pescatore. Maestro D’Armi: Ottaviano Dell’Acqua. Interpreti: Thomas Kretschmann (Dracula), Marta Gastini (Mina), Asia Argento (Lucy), Unax Ugalde (Jonathan), Miriam Giovanelli (Tanja), Rutger Hauer (Van Helsing), Mariacristina Heller (Jarmila), Augusto Zucchi (Andrej Kisslinger), Franco Guido Ravera (Prete), Francesco Rossini (Tenente Delbruck), Giovanni Franzoni (Reinfield), Giuseppe Loconsole (Zoran), Riccardo Cicogna (Janek), Christian Burruano (Milos), Eugenio Allegri (Oste), Niccola Baldoni (Fabbro), Alma Noce (Marika), Luca Fonte, Marco Mancia, Toni Pandolfo, Simona Romagnoli.


Note e Premi: Selezione Ufficiale 65° Festival di Cannes. Film riconosciuto d’interesse culturale, realizzato con il contributo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali Direzione Generale per il Cinema. Opera Realizzata con il sostegno della Regione Lazio - Fondo Regionale per il Cinema e l’Audiovisivo. Realizzato grazie al Contributo della Legge 244/2007. Sostegno della Film Commission Torino Piemonte.


Esterni: provincia di Biella (Candelo, Cossato, Chiaverano). Interni: Castello di Montalto Dora (Ivrea) di Augusta Fioruzzi.  Sponsor: Acqua Lauretana e Sony.


Dracula 3D delude le attese e si aggiudica il posto più basso della cinematografia di Dario Argento. Non si tratta neppure del primo esperimento di horror italiano in tre dimensioni, perché si fa bruciare sul tempo da Paura 3D (2012) dei fratelli Manetti, ancora più scarso, ma almeno girato in economia. Dario Argento dispone di mezzi notevoli per girare Dracula 3D ma svolge il compito in maniera scolastica, senza passione e genialità.


Dracula 3D viene girato nel 2011 nelle campagne di Biella, una finta scenografia che ricorda la Transilvania. Il regista romano si occupa di vampiri per la prima volta, dopo aver recitato un cammeo in Amore all’ultimo morso (1992) di John Landis, pure se in quel film non interpreta un revenant. La pellicola, scritta e sceneggiata da Antonio Tentori e dal fumettista Stefano Piani, ripercorre la storia originale di Bram Stoker, concedendosi poche divagazioni. A tratti vengono inserite suggestioni prelevate da Carmilla di Le Fanu, mentre il tono generale della storia è da fumetto horror anni Settanta, con molti elementi erotici.

Dario Argento e il produttore spagnolo Enrique Cerezo (presidente dell’Atletico Madrid) collaborano alla scrittura senza essere troppo invadenti. Il film viene presentato al Los Angeles Film Market e alla 65° edizione del Festival di Cannes, mentre esce in Italia nel gennaio 2012. C’è persino un sito dedicato: www.dracula3d.it, ricco di notizie, backstage e interviste. Trovate la sinossi del film dalla prima scena all’ultima. Riassumiamola in breve. La storia entra subito nel vivo con il massacro di una ragazza (Tanja) da parte di una misteriosa entità, dopo un amplesso con il giovane amante, ma è soltanto il primo di una lunga serie di omicidi.


Il nucleo centrale della vicenda si svolge al castello di Dracula, dove il libraio Jonathan Harker viene invitato per sistemare la biblioteca del conte. La giovane Tanja (diventata amante del vampiro) minaccia di morderlo sul collo, ma è Dracula che lo vampirizza e lo rinchiude nelle segrete del castello. Alcuni popolani e un tenente dell’esercito vorrebbero ucciderlo, ma il servo di Dracula lo difende e compie una strage efferata a base di teste mozzate. Lucy (Asia Argento) subisce il fascino di Dracula e si ammala di vampirismo, con suggestioni prelevate dal Carmilla di Le Fanu, proprio mentre arriva Mina (la moglie del bibliotecario), che cercherà di risolvere la situazione.


Van Helsing, immancabile, salva Mina da un’infausta sorte, libera il mondo dalla minaccia di Dracula, ma nella sequenza finale ci rendiamo conto che il vampiro non è stato debellato. Inutile raccontare la trama in dettaglio, perché è Dracula di Bram Stoker, con poche variazioni sul tema. Citiamo le poche cose originali. Dracula prende forma di diversi animali, non è mai un pipistrello, lo vediamo materializzarsi come civetta, assumere forma di scarafaggi, mosche, lupi e infine una gigantesca mantide.


La fotografia di Tovoli è stupenda, ricorda il gotico di Bava e Freda per i colori accesi, mentre le scenografie computerizzate di Geleng sono riuscite a dovere. Grandi effetti speciali di Stivaletti che cura le trasformazioni di Dracula e le numerose parti splatter e gore. Argento cita Fulci (forse il merito è di Tentori, grande cinefilo) con una sequenza macabra che mostra un occhio infilzato da un chiodo. Fa una certa impressione vedere come Argento, nella fase calante della sua carriera, si avvicini sempre di più allo stile di registi come Lucio Fulci, anche se un tempo aveva detto: “Fulci? Quando esagera mi diverte”. Adesso è lui a esagerare, ma lo fa fuori tempo massimo. Dario Argento si è trasformato in un Lucio Fulci privo di genialità, pare un giovane epigono del maestro, intento a rincorrere modelli estremi di modesti autori contemporanei. Inoltre notiamo insolite parti erotiche, non verosimili, recitate male, ma  Miriam Giovanelli è molto bella, quindi risulta accettabile. Le scene splatter sono il sale della pellicola, intense ed efficaci, così come il regista ricrea una bella atmosfera d’epoca e molte suggestioni da horror classico. Bravo anche Claudio Simonetti, alle prese con una colonna sonora sinfonica, che compone nota dopo nota languide suggestioni vampiriche. Il problema di fondo è la poca originalità, una sceneggiatura fumettistica, prevedibile, che fa intuire allo spettatore l’intero sviluppo della vicenda, sequenza dopo sequenza. I dialoghi sono pochi, ed è un bene, perché quando gli attori parlano non dicono battute epocali, anche se la recitazione è a livelli superiori rispetto alla media dei film di Argento.


Il montaggio è poco serrato, la storia procede lentamente, a ritmi soporiferi, il povero spettatore viene risvegliato soltanto dagli effetti speciali e dalle parti macabro - violente. L’azione è priva di tensione narrativa, colpevole una regia distratta, monocorde, sostanzialmente disinteressata al film. Citazione di Phenomena (1985) quando un nugolo di mosche preme a una vetrata, spalancandola e penetrando nella stanza. Questa volta tutto è costruito al computer, non artigianalmente con i fondi di caffè, ma il ricordo torna ai bei tempi in cui Dario Argento aveva idee geniali. Thomas Kretschmann (La sindrome di Stendhal) è il conte Dracula, lo spagnolo Unax Ugalde è Jonathan Harker, Marta Gastini è un’affascinante vampira (21 anni, alessandrina, giovane promessa vista in televisione ne I Borgia), Asia Argento è la torbida Lucy, Rutger Hauer è Van Helsing (in mancanza di Peter Cushing). Un Dracula in salsa splatter, con la novità del 3D, dotato di un finale che cita i duelli del cinema western e zeppo di riferimenti al gotico. Un film che se l’avesse girato un esordiente con pochi euro sarebbe ottimo, ma da un fuoriclasse come Dario Argento - oltre tutto dotato di un buon budget - ci aspettavamo ben altro.


Argento afferma: “Il mio Dracula è diverso da quello di Coppola. Dracula è il principe delle tenebre, il maestro delle follie sanguinarie, il massimo dell’orrore. Ho amato tutti i film su Dracula che sono stati prodotti, dai tempi del muto sino a oggi, e proprio per questo ho voluto fare una cosa originale, sanguinaria ma pure sentimentale. Il mio Dracula ama, non si limita a odiare”. Il film è ambientato nei Carpazi, anche se la Transilvania è stata ricostruita nei boschi di Biella, in un castello del 1300 perfettamente conservato. Dario Argento afferma di aver optato per Biella non per motivi di budget, ma “perché i luoghi storici del sanguinario Vlad Tepes, sono ormai troppo turistici e sfruttati, quindi privi dell’energia malefica necessaria”. Dracula 3D è un piccolo kolossal prodotto da Multimedia Film Production (Roma), Enrique Cerezo P.C. (Madrid) e Les Films de l’Astre (Parigi). Niente più Medusa. I produttori sono gli italiani Roberto Di Girolamo e Gianni Paolucci. 

Per vedere il trailer:


Gordiano Lupi

venerdì 5 aprile 2013

Il comune senso del pudore (1976)

di Alberto Sordi


Regia: Alberto Sordi. Soggetto e Sceneggiatura: Rodolfo Sonego, Alberto Sordi. Produttore: Fausto Saraceni. Fotografia: Luigi Kuveiller, Giseppe Ruzzolini. Montaggio: Tatiana Casini Morigi. Musiche: Piero Piccioni. Scenografia: Francesco Bronzi, Piero Poletto, Luciano Puccini. Costumi: Bruna Parmesan. Interpreti: Alberto Sordi, Cochi Ponzoni, Florinda Bolkan, Claudia Cardinale, Philippe Noiret, Rossana Di Lorenzo, Silvia Dionisio, Giò Stajano, Renzo Marignano, Giacomo Furia, Dagmar Lassander, Pino Colizzi, Ugo Gregoretti, Giulio Cesare Castello, Marina Cicogna, Gisella Hahn, Horst Weinert, Manfred Freyberger, David Warberck, Franca Scagnetti, Jimmy il Fenomeno, Enrico Marciani, Macha Magall. 


Alberto Sordi scrive e sceneggia insieme al fido Rodolfo Sonego uno dei suoi migliori film da regista per stigmatizzare il cambiamento del comune senso del pudore. L’Italia cattolica e bacchettona sta segnando il passo, editoria e cinema sono sempre più caratterizzate da contenuti erotici: il cittadino medio - rappresentato da Sordi -  non accetta senza imbarazzo la nuova libertà sessuale. Il primo episodio è il più riuscito, anche perché è interpretato da un Sordi in gran forma che esprime con la sola forza dello sguardo la filosofia dell’italiano medio. Il regista recupera i personaggi che aveva ideato per l’episodio La camera del film collettivo Le coppie (1970): l’operaio Giacinto Colonna e la moglie Erminia, che nella vecchia pellicola celebravano il decimo anniversario di nozze in un albergo di lusso della Costa Smeralda. Nel nuovo film, Giacinto (Sordi) festeggia le nozze d’argento e acconsente ad andare al cinema con la moglie (De Lorenzo), ma trova solo pellicole non adatte al gusto di uno spettatore medio. Si va dall’horror truculento de Il marchese a un esplicito O ti spogli o ti denuncio, passando per Sai che cosa faceva Stalin alle donne?, per finire con Il romanzo di una novizia, che non è una storia romantica ma un feuilleton spinto, un tonaca movie intriso di erotismo.


La coppia esce scandalizzata dal cinema di periferia, frequentato da guardoni e da giovanotti in compagnia di ragazze. Il cinema non è più un divertimento per una coppia di mezza età, ormai la pornografia dilaga, sembra dire il moralista Sordi. Il secondo episodio racconta la storia di un intellettuale di provincia (Ponzoni) che diventa direttore di una rivista pornografica, ma finisce in galera convinto di lottare per il progresso.


Il terzo episodio vede un pretore moralista (Colizzi) che combatte le pubblicazioni per adulti e una moglie (Cardinale) attratta dalle riviste pornografiche. Il quarto episodio racconta le vicissitudini di un’attrice (Lassander) che viene convinta a interpretare scene scabrose per portare a termine un film. Alcuni esperti di cinema come Gegoretti, Callari, Doletti e Cicogna fanno in modo che si spogli senza troppi problemi.


Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Sordi si misura in quattro episodi comico - grotteschi sul ruolo del sesso nella società consumista. Si ride anche di gusto ma gli intenti critici dichiarati sono ampiamente disattesi dalla superficialità con cui vengono affrontati”. Pino Farinotti concede tre stelle e ritiene che il discorso sul tema pornografia sia centrato a dovere. Morando Morandini (due stelle la critica - tre stelle il pubblico): “Questo settimo film da regista di Alberto Sordi si basa sulla tanto discussa dizione degli articoli 828 e 829 del Codice Penale italiano sulle offese al pudore e sul concetto di osceno. Divertente l’ultimo episodio, grazie alla bravura di Noiret, azzeccata la storia del magistrato”. La nostra opinione è che sia un film da due stelle, perché si ride, ma la commedia scade in farsa, inoltre Sordi regista è del tutto privo di profondità. Il suo sguardo sul mondo è da italiano medio, la sua morale da uomo comune, la sua filosofia da bar Sport. Un grande attore non sempre è un regista imprescindibile.

Per vedere alcune sequenze:

Gordiano Lupi