giovedì 27 giugno 2013

The butterfly room – La stanza delle farfalle (2013)

di Jonathan Zarantonello


Regia: Jonathan Zarantonello. Soggetto: Jonathan Zarantonello (tratto dal suo romanzo Alice dalle 4 alle 5). Sceneggiatura: Paolo Guerrieri, Luigi Sardiello e Jonathan Zarantonello. Casting: Ellary Eddy. Musica: Pivio & Aldo De Scalzi. Montaggio: Clelio Benevento. Scenografia e Costumi: Alessandra Montagna. Fotografia: Luigi Verga. Produttori Esecutivi: Ethan Wiley & Mark Moran. Produttore Associato: Giovanni Di Pasquale. Produttore: Enzo Porcelli. Produzione: Achab Film, Emergency, Exit Pictures in collaborazione con Rai Cinema e Wiseacre Films. Interpreti: Jasmine Jessica Anthony (Dorothy bambina), Barbara Steele (Ann), Joseph H. Johnson Jr. (Chris), Ray Wise (Nick), Ellery Sprayberry (julie), Erica Leerhsen (Claudia), James Karen (Tassidermista), Julia Putnam (Alice), Emma Bering (Monika), Lorin McCraley (Crazy Man), Adrienne King (Rachel), Joe Dante (Taxi Driver), Matthew Glen Johnson (William), Heather Langenkamp (Dorothy), Camille Keaton (Olga), Kirk Diedrich (Large Neighbor), Autumn Wendel (Lauren’s Daughter), P.J. Soles (Lauren), Jennifer Saygan (Farmacista), Paolo Zelati (Taxi Driver), Vito La Morte (Padre di Dorothy), Stephen West, Massi Furlan. Esterni: Los Angeles, Santa Monica, Redondo Beach (USA). 


Finalmente un grande film italiano, tra l’altro girato da un regista indipendente, un giovane autore che fino a oggi mi aveva lasciato piuttosto perplesso. La stanza delle farfalle sarebbe piaciuto a Hitchcock, per il crescendo di tensione e la continua suspense da cui è pervaso, ma anche a Lucio Fulci, per il tema legato ai bambini che non devono crescere (Non si sevizia un paperino). Barbara Steele torna da protagonista in una produzione italiana, dopo aver impersonato la donna - strega del gotico anni Sessanta, essere stata musa felliniana, abile interprete di erotici e thriller inquietanti. Il regista punta molto sulla sua personalità di attrice credibile nei panni di una donna terrificante, che prima tenta di uccidere la figlia per non vederla crescere, quindi mostra una i segni psichici di un rapporto malsano con l’infanzia. La storia è sceneggiata benissimo, procede per salti temporali, narrando tre eventi: la follia scatenata dal tentato infanticidio, l’esecuzione di una vittima conservata come una farfalla nella stanza sacrario e un ultimo tentativo di sottomissione compiuto dalla inquieta megera. Tutto torna, alla fine, tra omicidi efferati (ma non esibiti) e un crescendo di tensione sottolineato da una colonna sonora a base di percussioni e musica sintetica. Barbara Steele è perfida quanto basta, subito in primo piano con una maschera grinzosa segnata dal tempo, mentre assiste terrorizzata alle mestruazioni della figlia in una vasca da bagno. Zarantonello cita Argento a più non posso. Lo specchio nel corridoio stile Clara Calamai in Profondo Rosso, le bambole e i giocattoli per bambini, tutto marginale nell’economia della pellicola. La protagonista viene descritta benissimo, la psicologia di un carattere disturbato è sviscerata nei minimi particolari: la mania per le farfalle, l’amore - odio per i bambini, un malinteso senso morale che la porta a punire ciò che ritiene ingiusto. Barbara Steele spaventa davvero quando impugna mazza e spillone, incute timore e repulsione quando la vediamo uccidere a sangue freddo e insidiare bambini inermi. Il regista raggiunge lo scopo, usa con perizia la tecnica del flashback a ritroso, un montaggio al contrario che scorre rapidamente, già visto in lavori precedenti, ma qui perfezionato.


Un film claustrofobico, girato quasi tutto in interni, più thriller angosciante e pellicola drammatica che horror, ma è inutile classificare, visto che ci troviamo di fronte a un lavoro riuscito. Si resta incollati allo schermo sino alla parola fine e - anche se a volte la sceneggiatura è prevedibile - tutto è realizzato con la massima cura e il rispetto per lo spettatore. Barbara Steele è una strega moderna, un orco al femminile, una serial killer psicopatica, una Barbablù in gonnella che nella stanza proibita nasconde un orrendo segreto. Il finale è angosciante, anche se  il regista - per fortuna! - evita facili effettacci da torture porn stile horror nordamericano che hanno stancato tutti. Il crescendo di follia della protagonista è descritto con tante immagini e poche parole, catapultando lo spettatore in un delirio senza fine. La fotografia nitida, il montaggio serrato, l’uso appropriato della soggettiva e la recitazione ottima (persino i bambini!) fanno de La stanza delle farfalle un prodotto interessante, uno dei migliori film italiani visti negli ultimi anni. Purtroppo esce a fine stagione, in pochissime copie e non saranno in molti a vederlo.

Il Trailer:

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=0BzpQlyadmQ

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

sabato 22 giugno 2013

Tutta colpa della musica (2011)

di Ricky Tognazzi


Regia: Ricky Tognazzi. Soggetto: Simona Izzo, Leonardo Marini. Sceneggiatura: Simona Izzo, Leonardo Marini, Ricky Tognazzi. Fotografia: Fabio Cianchetti. Montaggio: Lorenzo Peluso. Musica: Carlo Siliotto. Scenografia: Mariangela Capuano. Costumi: Germana Melodia. Casting: Marita D’Elia. Produzione: Attilio De Razza. Produttore Esecutivo: Tore Sansonetti. Interpreti: Stefania Sandrelli, Marco Messeri, Ricky Tognazzi, Elena Sofia Ricci, Rosalba Pippa (Arisa), Monica Scattini, Diego Casale,  Grazia Cesarini Sforza, Ronny Morena Pellerani, Raffaele Pisu, Debora Villa, Maria Pia Aricò, Gianluca Belardi, Andrea Beltramo, Nicola Sorrenti, Daniele Formica. Commedia. Durata: 98’. Italia, 2011. Prima: 9 settembre 2011. 

Un film delicato e struggente, come ce ne vorrebbero molti nel triste panorama del cinema italiano contemporaneo. Commedia sofisticata all’americana, più che commedia all’italiana, dal tono dolceamaro, a tratti disincantato e fatalista, con una fotografia ocra, color foglie morte, che caratterizza l’intera pellicola. Ricky Tognazzi racconta la storia di Giuseppe (Messeri), un quasi pensionato, a disagio in una famiglia di Testimoni di Geova e molto legato alla timida figlia Chiara (Pippa), che si scopre di nuovo innamorato quando incontra Elisa (Sandrelli). Nappo (Tognazzi) è l’amico di Giuseppe sin dai tempi della scuola, farfallone, sempre a caccia di donne, sino al punto di farsi spennare da una giovanissima rumena. In realtà Nappo ama solo Patrizia (Ricci), la vecchia compagna che non l’abbandona mai, nonostante i suoi comportamenti molto sopra le righe. Il problema è che Nappo capisce troppo tardi che Patria era la donna della sua vita. In questo intreccio di storie d’amore la musica funge da collante, perché rapporti e conflitti sbocciano all’interno di un coro che intona melodie classiche.  
La storia è ben raccontata, la sceneggiatura tiene, anche se manca un po’ di profondità psicologica in alcuni personaggi e il finale è un po’ troppo retorico. Ottima la fotografia flou di Cianchetti e la musica struggente e sentimentale di Siliotto, entrambe conferiscono il giusto tono alla pellicola.
Il messaggio del regista non è solo che l’amore non ha età, ma anche che certi legami di amicizia e di affetto possono durare per tutta la vita. Molto ottimista, perché ritiene che anche nei soggetti peggiori, in fondo, possa esserci del buono. Nappo si ravvede in punto di morte ed è l’emblema di questa filosofia.  Molto ben raccontato il legame tra Giuseppe e Nappo, compagni di scuola, persone completamente diverse, ma unite nella passione e nel dolore. Messeri e Tognazzi sono straordinari nel tratteggiare un sessantenne pacato e un uomo maturo incapace di invecchiare. Elena Sofia Ricci è molto brava a dare vita a una donna innamorata ma delusa da un uomo che non la merita. Arisa (Rosalba Pippa) - timida figlia di Giuseppe - è una discreta ragazzina che scopre l’amore, ma è molto più brava nei panni di cantante che come attrice. Stefania Sandrelli è straordinaria come sempre, dà vita a una donna sconvolta dalla malattia del marito che per una notte cede alle tentazioni dell’amore. Tra i personaggi di contorno citiamo Raffele Pisu - riscoperto da Sorrentino ne Le conseguenze dell’amore - nei panni di un anziano cantante e Daniele Formica (il film è dedicato a lui), nella sua ultima apparizione prima di morire. Una pellicola che nel finale strappa persino qualche lacrima, senza cadere nel sentimentalismo. Il cinema italiano ha bisogno di buone storie, semplici, oneste, raccontate in maniera comprensibile. Tutta colpa della musica è senza dubbio una di queste.

Gordiano Lupi

giovedì 20 giugno 2013

My name is Tanino (2002)

di Paolo Virzì


Regia: Paolo Virzì. Soggetto: Paolo Virzì. Sceneggiatura. Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì. Produzione: Mario e Vittorio Cecchi Gori. Casting: Lisa Parasym. Suono in Presa Diretta: Mario Iaquone. Costumi: Alex Reda. Scenografia: Ian Brock, Sonia Peng. Montaggio: Jacopo Quadri. Fotografia: Arnaldo Catinari. Musiche: Carlo Virzì. Canzoni: Cello Song (Nick Drake), La descrizione di un attimo (Tiromancino), That’s Amore (Warren/ Brooks), You Make Mee Feel So Young (Gordon/ Mirow), You Won’t See Me Cry (Sinclair/ Falsia), Moonlight Kisses (Ron Goodwin), Va’ Pensiero Sull’Ali Dorate - dal Nabucco (Giuseppe Verdi). Organizzatore Generale: Giovanni Lovatelli. Aiuto Regia: Rocco Gismondi, Francesco Pavolini, Marco Limberti. Direttori di Produzione: James Power, Vincenzo Testa, Carlo Carpentieri. Operatore alla Macchina: Michael Carella. Interpreti: Corrado Fortuna, Rachel McAdams, Jessica De Marco, Frank Crudele, Barry Flatman, Lori Iallier, Don Francks, Mary Lons, Robert Bockstael, Daniele Bouffard, Beau Starr, Marina Orsini, Salvo Compagno, Licinia Lentini, Mimmo Mignemi, Domenico Starnone, Frank Falcone, Genio Carbone, Jerry Sprio, Roy Meleca, Neville Edwards, Benedetto Raneli, Paride Benassai, Faro Como, Frank Alonzi, Craig Lund, Meredith Ostrom, Giovanna Criscuolo, Stefania Biandeburgo, Caterina Romano, Benedetta Di Chiara, Luca Michele Cirasola, Sascia Ugenti, Antonio Palumbo, Giuseppe Sollecito, Rodolfo Statte, Johnie Chase, Rothaford Gray, Gerry Salsberg, Francesco Sineri, Ilke Hinger, Luba Schiller, Julian Grant, Eric McNabb, Alexander Chapman, Giorgio Catalano, Ornella Giusto, Irene Lopez Kuchilan, John Suresh, Peter Marino, Carmela Albero, Anna Starnino, Pietro Giammanco, Francesco Confalone, Gaspare Magaddino, Barbara Bacci, Giovanni Cipolla. 


Paolo Virzì afferma: “My name is Tanino è il mio film più stupido, ma forse anche il più lieto. Non è un romanzo di formazione perché il protagonista non cresce, anzi, tutte le volte che è sul punto di capire qualcosa della sua vita sviene oppure si dimentica”.  (Accardo - Acerbo “My name is Virzì”, pag. 113).
A parte quel che dice il regista, la sola definizione che ci viene a mente a proposito di questo lavoro di Virzì è proprio storia di formazione, vicissitudini di un ragazzo che tenta di scoprire l’America. Valzerino americano è il racconto - scritto dal regista nel 2000 - dal quale Virzì, Bruni e Piccolo estrapolano la sceneggiatura di My name is Tanino. Le suggestioni sono nobili - Proust, Celati, Mark Twain - i risultati inferiori, anche se la storia tiene e il film risulta invecchiato bene. I nostri autori raccontano le avventure eroicomiche di Tanino Mandolia (Fortuna), figlio di una parrucchiera siciliana(Lentini), che prima parte per Roma con l’ambizione di fare il regista, poi opta per gli States alla ricerca del primo amore (McAdams). Un altro motivo di fuga, meno nobile, è quello di sottrarsi agli obblighi di leva. In America conosce un sacco di amici e parenti siciliani che si danno un gran da fare per il suo futuro, anche se lui non gradisce. Ne succedono di tutti i colori: la ragazza è fidanzata, la famiglia borghese che accoglie Tanino non è perfetta come sembra, il ragazzo conosce un’orrenda italoamericana che i parenti siciliani vorrebbero fargli sposare, ma lui fugge, incontra un regista in disgrazia che ammira da sempre e assiste alla sua morte, infine viene sbattuto in galera…In mezzo a tanti eventi paradossali ci sono gli svenimenti di Tanino, incapace di affrontare la vita e i problemi, sempre confuso e inadeguato. Alla fine viene rimpatriato in Italia e decide di scrivere un film su quello che gli è accaduto, anche se non l’ha ancora capito bene.


Bravissimo Corrado Fortuna, attore esordiente non professionista scoperto da Carlo Virzì (autore di splendide musiche), inventato protagonista da un Paolo Virzì capace di far recitare chiunque. Il film viene girato tra Trapani, Palermo, New York, Toronto, costa abbastanza, ma non moltissimo, il problema è che l’impero Cecchi Gori sta scricchiolando e la produzione si blocca ripetutamente. My name is Tanino viene girato proprio in mezzo alle beghe giudiziarie di Vittorio Cecchi Gori e per un certo periodo di tempo corre il rischio di non uscire. Per ultimare la pellicola, il regista spende il meno possibile, modifica il finale ed elimina una scena complessa ambientata nel porto di New York. Il film finisce sotto sequestro a causa del fallimento del produttore ed esce solo il 30 maggio del 2003, a fine stagione. Incassa poco, nonostante la distribuzione Medusa, supera appena un milione di euro. Negli Stati Uniti è un trionfo, anche se la distribuzione è indipendente.


My name is Tanino è raccontato con il consueto stile narrativo della voce fuori campo, con azzeccati riferimenti politici, accuse alla globalizzazione e ottime parti oniriche. Virzì cita persino Miracolo a Milano di De Sica e Zavattini immortalando il volo surreale del protagonista che ripercorre la sua infanzia. Realistico e in linea con i tempi - pur con toni comici - il rapporto tra Tanino e il compagno politicizzato, un vero reduce del passato. Licinia Lentini proviene dalla commedia sexy e il suo ruolo ammicca a un blando erotismo, come madre di Tanino e amante di un personaggio che il figlio non sopporta. Lo scrittore Domenico Starnone è il professore di Storia del cinema che vorrebbe aiutare Tanino ma non ottiene nessuna risposta sufficiente. Tanino sviene, scappa dalla realtà, vola verso il passato, rivede la madre, il padre ucciso dalla mafia, vorrebbe sapere tante cose che non ha avuto tempo di chiedere. Le parti oniriche e i flashback sono la cosa migliore di un film dal tono dolce e romantico, stile commedia sofisticata nella parte americana, molto commedia all’italiana nei momenti di raccordo. Virzì critica la famiglia borghese statunitense, la facciata rispettabile che nasconde i problemi, fa capire che dietro l’apparenza si nascondono tradimenti e pulsioni distruttrici. Gli italoamericani vengono trattati da mafiosi e maneggioni e anche se il taglio è grottesco il regista coglie spesso nel segno. Alcune sequenze sembrano prelevate da un noir americano, un poliziesco rapido che fotografa le strade di New York in maniera essenziale. L’incontro con Chinasky (Franks), il regista in disgrazia che Tanino venera come un maestro è un momento molto poetico che termina con la morte del mito, in tutti i sensi. Un film non del tutto riuscito, ma che si rivede volentieri, spaccato di una società che cambia, ritratto di un personaggio inadeguato alla vita, incapace di affrontarla.

Rassegna critica. Pino Farinotti concede tre stelle: “Virzì fa viaggiare il suo personaggio dentro paesaggi da film, accompagnato dalla macchina da presa, come se, nel raccontare la vicenda di Tanino fosse riuscito a non mettere mai piede fuori dal cinema”. Molto meno entusiasta Morando Morandini che assegna una stella e mezzo senza sprecare un briciolo di motivazione. Paolo Mereghetti arriva a due stelle: “Virzì aggiorna divertito una vecchia formula (l’italiano all’estero), facendo precipitare il suo antieroe in un mondo ancora più provinciale di quello che si è lasciato alle spalle. Nell’affollarsi di personaggi, si ritrovano pregi e difetti della commedia all’italiana di una volta: capacità di osservazione, talento per il bozzetto satirico, indugio caricaturale, tendenza a smussare gli angoli. Ma Virzì sa anche rappresentare in modo non acritico una certa disponibilità cialtrona, emblematica di una generazione”. Il critico milanese è convincente nella puntuale analisi critica. Resta da dire - a parziale scusante del regista - che i guai produttivi comportano tagli, rapidità di esecuzione nella parte finale e contenimento dei costi per riuscire a terminare la pellicola. Tutto sommato My name is Tanino è una storia ben raccontata.  
Gordiano Lupi