martedì 4 marzo 2014

Uccelli d’Italia (1985)

di Ciro Ippolito


Regia: Ciro Ippolito. Soggetto e Sceneggiatura: Ciro Ippolito, Daniele Pace. Fotografia: Giuseppe Berardini. Montaggio: Carlo e Sandro Broglio. Costumi: Valeria Valenza. Aiuto Regista: Gianfranco Pasquetto. Musiche: Gaetano (Totò) Savio e Village Peaple. Produttore: Ciro Ippolito per Lux International. Interpreti: Alfredo Cerruti, Daniele Pace, Giancarlo Bigazzi, Gaetano (Totò) Savio, Annie Belle, Stefano Abbati, Marisa Laurito, Giancarlo Magalli, Gianfranco Principi, Carmine Sorrentino, Tiziana Foschi, Nicola Fumo, Giorgio Penna.


Ricordo un tempo in cui l’umorismo surreale degli Squallor era molto popolare. Ogni nuovo disco era un evento. Al punto che nel 1984, sull’onda di un successo musicale, Ciro Ippolito girò Arrapaho (1984), assurda storia di una rivalità tra tribù indiane con intermezzi pubblicitari e battutacce a base di riferimenti sessuali. Rammento di aver visto al cinema quel capolavoro del trash, così come ho comprato il dvd quando è stato disponibile sul mercato, anche per rivedere la bellezza prorompente di Tinì Cansino, lanciata da Drive In. Ecco, se Arrapaho presenta ancora qualche motivo per essere ricorcato (una storia originale), Uccelli d’Italia è consigliabile solo per un collezionista molto appassionato.  


Parodia di Uccelli di rovo, almeno nelle intenzioni, ma in realtà collage di varie parodie, comincia con una colonna sonora intitolata A chi lo do stasera che fa il verso a Nadia Cassini quando cantava A chi la do stasera. Il biglietto da visita sono battute tipo: “Perché non mi ami? Io ti amo anche se con te potrebbe venire Zeffirelli”, dice una donna a un giovane prete. E lui risponde con gesti eloquenti e sospiri che mimano l’atto sessuale. Si prosegue con un generale Custer che galoppa sopra un cavallo a dondolo e con la moglie di uno sceneggiatore (Bigazzi) che non vuole avere più niente a che fare con lui se continuerà a scrivere per gli Squallor. Affondo trash con la canzone parlata Non mi tira più e con un assurdo funerale dove la moglie si lamenta perché l’assicurazione non pagherà: il marito è passato con il rosso. “E adesso a me chi me chiava?”, conclude. Interrogativo esistenziale.  


  
Il film è tutto così: battute e musica demenziale anni Ottanta. Intermezzi pubblicitari che ironizzano sulle prime TV commerciali (Italia Uno) e su film come Visitors. Canzoni come A chi e Maramao perché sei morto inserite in una trama inesistente. Due gay brasiliani che piangono vorrebbero fare satira sulla telenovela Anche i ricchi piangono, trasformata per l’occasione in Anche i ricchioni piangono. L’operazione più trash della storia vede un paziente con il pene piccolo al quale viene applicata una protesi a forma di fungo. Si fa satira sul poliziottesco con un bandito barricato in un supermercato con Giancarlo Magalli inviato speciale. Il finale è il segmento migliore, perché presenta una parodia della della vita di Gesù e del tradimento di Giuda. Vediamo il ristorante Al traditore dove si mangia con trenta denari mentre Gesù viene definito un giovanotto con la maglia del Lanerossi Vicenza. La moltiplicazione dei pani e dei pesci manda su tutte le furie i negozianti perché Gesù regala il cibo e mette in crisi i loro affari. Finale supertrash con i soldati che sbarcano e si dirigono verso altre battaglie. La voce di Alfredo Cerruti, in napoletano, manda tutti affanculo. Altri tempi, certo. Si potevano girare film come questo. Forse era un bene. Per parafrasare una canzone del gruppo rock demenziale interprete di questa cosa che non può essere definita cinema: “Era meglio quando c’erano gli Squallor”.

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