sabato 30 agosto 2014

Ecco lingua d’argento (1976)

di Mauro Ivaldi


Regia: Mauro Ivaldi. Soggetto e Scenografia: Mauro Ivaldi, Guido Leoni. Fotografia: Gino Santini. Montaggio: Carlo Reali. Architetto - Scenografo: Franco Calabresi. Costumi: Silvia Laurenzi. Direttore di Produzione: Giorgio Russo. Musiche: Alberto Baldan Bembo (dirette dall’autore). Edizioni Musicali: Aris Roma. Produzione: Summit Film spa (Roma). Distribuzione: Stefano Film. Durata: 90’. Genere: Commedia erotica. Interpreti: Carmen Villani, Roberto Cenci, Nadia Cassini, Gianfranco D’Angelo, Enzo Andronico, Alì Zaiem.


Mauro Ivaldi (1942 - 1984) è il marito della cantante - attrice Carmen Villani e se ha fatto cinema è stato soltanto per dirigere la moglie in alcune pellicole erotiche girate nel periodo 1974 - 1978. Carmen Villani si esprime al massimo come cantante negli anni Settanta conquistando notorietà per doti canore, grande sensualità e un carattere disinibito. Il primo successo musicale si chiama Bada Caterina e la porta in vetta alla Hit Parade italiana. In televisione lavora come conduttrice di numerosi varietà dell’epoca insieme al duo comico Ric e Gian; in coppia con Pippo Baudo porta avanti Domenica con noi, il varietà della domenica pomeriggio di Rai Uno. A partire dal 1975 cala il successo televisivo e la Villani decide di sfruttare la notorietà interpretando alcune pellicole della nascente commedia sexy. La bionda cantante dalla frangetta sbarazzina trova un posto nel genere come supplente, nel film omonimo e nel sequel apocrifo, alle prese con adolescenti e spasimanti vari. Mauro Ivaldi lavora per la Fotogramma, una casa di produzione di lavori pubblicitari, dirige piccoli filmati pensati per mettere in evidenza un prodotto. Quando la moglie decide di passare al cinema comprende che può fare ben altro sfruttando la sua carica sensuale. 


Il primo film girato da Ivaldi con protagonista la moglie ha un titolo interminabile: Brigitte, Laure, Ursula, Monica, Raquel, Liz, Maria, Claudia e Sofia le chiamo tutte… anima mia (1974), noto come Anima mia. Mauro Ivaldi è marito di Carmen Villani da sei anni, si erano conosciuti quando aveva appena 19 anni e sposati tre anni dopo. Da notare che il Dizionario del Cinema di Italiano del Poppi definisce così Mauro Ivaldi (Milano, 1942): “Marito della cantante e attrice Carmen Villani, l’ha diretta in alcuni film realizzati fra il 1974 e il 1978, tutti non particolarmente significativi”. Il povero Ivaldi viene classificato “marito della cantante e attrice Carmen Villani” e stroncato come regista. 


Ecco lingua d’argento (1976) è il terzo film interpretato da Carmen Villani, dopo il vero e proprio debutto nell’erotico all’italiana per la seducente cantante - a fianco di Barbara Bouchet - ne L’amica di mia madre (1975). Dirige Mauro Ivaldi che scrive e sceneggia un sequel leggermente più audace del film precedente con la collaborazione di Guido Leoni. Il cast è simile. Carmen Villani nei panni di Andrea, bella e disinibita seduttrice del giovanissimo Billy (Roberto Cenci, ma il vero nome è Pace), solo che al posto della Bouchet abbiamo Nadia Cassini (la bionda psicanalista Emmanuelle) in uno dei suoi primi film erotici, ma già in evidenza con il bel posteriore. 


Se il primo film era girato in Colombia, qui siamo in Tunisia, e la fotografia di Gino Santini è la cosa migliore di un’opera sempre indecisa sulla strada da prendere. Confezione scenografica suadente, grandi sequenze nel deserto tra i predoni, corse lungo distese di sabbia, calette marine, dune, case arabe, balli erotici. Non è un film realizzato con pochi mezzi, un turistico - esotico, come dice Marco Giusti, modesto sotto l’aspetto comico per essere una commedia sexy e non troppo spinto per un vero e proprio film erotico. La parte comica è tutta nelle mani di Gianfranco D’Angelo, non troppo in forma, che contende la bella Andrea a Billy, ma deve gestire una fidanzata prorompente come la dottoressa Emmanuelle e una madre invadente. 


Billy è ossessionato dal sesso, soprattutto da Andrea, che vorrebbe portare a letto in ogni modo, ma lei resiste, dandosi arie da donna matura che disdegna le attenzioni del ragazzino. Finiranno insieme, in una bollente sequenza finale che anticipa i titoli di coda, dopo che Billy l’ha tradita con Emmanuelle sotto ipnosi - ma non ricorda - facendo cornuto l’imbranato D’Angelo. Il cult erotico sta nella presenza di due attrici bellissime come Carmen Villani e Nadia Cassini, non ancora lanciata nella commedia sexy e pure lei con i capelli biondi. Il film esce tra mille scandali, più per le promesse mancate e gli ammiccamenti erotici che per il reale contenuto. Il titolo provoca e incuriosisce, inoltre ricordiamo una sequenza onirica con la Villani vestita da kapò tedesco che fuma il sigaro e siede a gambe larghe in posa esplicita. 


Carmen Villani sprizza sensualità da tutti i pori, ma le sequenze più erotico - maliziose sono contenute nella parte iniziale, con la bionda attrice che rimprovera la macchina da presa (quindi lo spettatore) chiedendo - almeno nelle prime scene! - di inquadrare il volto e non le gambe. Molto sexy, perché l’operatore insiste, sfugge lo sguardo intenso della Villani, indaga ancora sotto le gonne, fino a quando l’attrice non concede una rapida sbirciatina ai seni. Il resto della pellicola vede gli assalti erotici di Billy respinti da Andrea, ma la Villani mostra molto durante un quasi riuscito rapporto sessuale nel deserto sotto gli occhi dei predoni e in una lunga parte erotica finale. 


Nadia Cassini, invece, la vediamo completamente nuda, ma meno sensuale della Villani, durante un rapporto sotto ipnosi estorto a Cenci. Il film viene bocciato due volte dalla censura, anche se la versione integrale non è così audace. Carmen Villani è molto brava nel ruolo di Andrea, personaggio noto al pubblico dopo L’amica di mia madre, maliziosa e sensuale, in un gioco erotico ben condotto che finisce per irretire lo spettatore in una serie di si vede - non si vede. Non ci sono docce né serrature dalle quali sbirciare, mancano molti luoghi comuni della commedia sexy, al punto di non poterla classificare come tale. Ecco lingua d’argento è cinema erotico con alcune spruzzatine di comicità grottesca e surreale, impensabile senza la presenza di Carmen Villani. La parte comica delude, le sequenze erotiche sono ben girate: Ivaldi dimostra grande professionalità nel tirare fuori dalla moglie il meglio delle sue qualità interpretative. Recuperatelo.


giovedì 28 agosto 2014

Pierino la peste alla riscossa (1982)

di Umberto Lenzi


Regia: Umberto Lenzi. Soggetto: Dardano Sacchetti. Sceneggiatura: Dardano Sacchetti, Giorgio Mariuzzo. Fotografia: Guglielmo Mancori. Colore: Telecolor. Scenografia e Costumi: Massimo Lentini. Montaggio: Gianfranco Amicucci. Direttore di Produzione: Lillo Vannini. Produttore: Fabrizio De Angelis. Case di Produzione: Fulvia Film srl, Flora Film srl (Roma). Aiuto Regista: Massimo Manasse. Operatore alla Macchina: Mario Sbrenna. Trucco: Rosario Prestopino. Fotografo di Scena: Marcello Laurenti. Musiche: Walter Rizzati. Edizioni Musicali: Deaf.  Canzone: Pierino la peste, cantano Giorgio Ariani e Lella Fabrizi (Dischi Beat). Interni: De Paolis (Roma). Esterni: Roma. Girato in presa diretta. Negativi: Eastmancolor. Sviluppo e Stampa: Telecolor. Interpreti: Giorgio Ariani, Jenny Tamburi, Didi Perego, Lucia Cassini, Elena (Lella) Fabrizi, Ugo Fangareggi, Giacomo Rizzo, Enzo Robutti, Renzo Montagnani, Mario Brega, Adriana Facchetti, Angelo Botti, Tiziana Fibbi, Enzo Andronico, Tiberio Murgia, Alfredo Adami, Franca Scagnetti, Luigi Leoni, Giuseppe Terranova, Valerio Isidori, Ennio Antonelli, Fulvio Mingozzi, Serena Grandi.



Pierino la peste alla riscossa (1982) è un film atipico per Umberto Lenzi, come lo è per Dardano Sacchetti che scrive un soggetto comico raschiando il barile delle barzellette più triviali. Sacchetti è autore conosciuto per poliziottesco, horror, thriller e cinema d’azione di vario tipo. Pure per lui questa incursione nel sottogenere pierinesco è dovuta a motivi squisitamente alimentari. La sceneggiatura è sempre di Sacchetti che viene coadiuvato dal diligente Giorgio Mariuzzo, mentre le scenografie sono di Massimo Lentini. Questo collage di barzellette è montato in maniera rapida e decorosa da Gianfranco Amicucci e la fotografia porta la firma di Guglielmo Mancori. La musica divertente, ai limiti del trash, è di Walter Rizzati che s’inventa una mitica sigla di testa cantata da Giorgio Ariani e da Lella Fabrizi. La pellicola è prodotta da Fabrizio De Angelis per la Fulvia Film e la Flora Film. Il film è classificabile come un Pierino apocrifo per la mancanza di Alvaro Vitali, attore simbolo della serie inaugurata nel 1981 da Pierino contro tutti di Marino Girolami. Il Pierino di Alvaro Vitali inventa il barzelletta movie che spopola per un paio d’anni nel cinema italiano. Michela Miti è la giovane supplente che cita la commedia sexy quando mostra le gambe e interpreta brevi sequenze di nudo. Il successo della serie produce una genia di falsi pierini, alcuni pessimi come Pierino il fichissimo di Alessandro Metz (1981), sceneggiato da Sacchetti e interpretato da Maurizio Esposito, altri inguardabili come Pierino aiutante messo comunale… praticamente spione di Mario Bianchi (1981). Il tremendo (in tutti i sensi) Pierino di turno si chiama Tony Raggetti, i suoi siparietti comici sono irritanti e si alternano a sequenze piccanti interpretate da Laura Gemser. 



Tra i molti Pierini apocrifi Pierino la peste alla riscossa è il migliore, perché girato con maggiore professionalità e interpretato da attori di buon livello. La trovata più esilarante è la canzone che accompagna i titoli di testa che scorrono sopra una sorta di fumetto con protagonista Ariani - Pierino. Walter Rizzati è bravo a comporre una marcetta trash con Giorgio Ariani che canta: “Pierino la peste che genio che testa/ le studio le invento le fo/ se vedo un reattore che va fuori di pista/ Pierino, io forse lo so./ Son proprio un tesoro/ è pieno di pepe quel vino che beve papà/ ho messo il carburo nell’acqua del water/ la nonna così scoppierà…” E la nonna (la mitica sora Lella) risponde: “Ahi, ahi, ahi!/ Pierino tutto questo non si fa/ prendi pe’ fondelli questa nostra società/ Ahi, ahi, ahi!/ Pierino non lo devi dire più/ che chi fa casino al mondo non sei solo tu…”. Il motivetto di Pierino la peste accompagna lo spettatore per tutta la durata del film ed è la colonna dei momenti più comici. 



La pellicola si sviluppa grazie a una serie di barzellette collegate tra loro dal filo conduttore delle avventure scolastiche di Pierino. Ricordiamo alcuni momenti comici di buon livello, come i siparietti nella farmacia gestita dal babbo di Pierino (invece del ristorante della serie ufficiale) e le divertenti incursioni di Renzo Montagnani nei panni di un pazzo scatenato. La cosa incomprensibile è la toscanità di un Pierino come Giorgio Ariani, che vive a Roma, ha due genitori romani (Mario Brega e Didi Perego) e una nonna romanissima come Lella Fabrizi. Il film è così assurdo e ai limiti del trash che certe cose non sono importanti, anche perché lo spettatore attende solo il momento comico e la battutaccia per ridere a quattro ganasce. Cito qualche perla raccolta nel florilegio di barzellette saccheggiate da Dardano Sacchetti. Il babbo di Pierino scorreggia e il figlio propone un silenziatore per il culo. Pierino alla nonna: “Ma se non scopi, non fumi, non bevi, che festeggi a fa’?”. 



Pierino con una candela da chiesa in mano che consegna a un ragazzo in moto: “Accenditelo al culo così diventi super jet”. Pierino: “Io vo a gas” (e scorreggia). Un vigile lo ferma e dice: “Bollo!”. Pierino: “Beato lei. Io sto’ a  morì dal freddo”. Barista (la spalla per antonomasia Enzo Andronico): “Voglio vedere lo scontrino!”. Pierino prende due modellini di auto e li picchia insieme. Pierino sugli omosessuali: “Un ricchione è un dirottatore di uccelli” e poi rivolto al bidello che si chiama Orazio: “I Curiazi sono quelli che cacano e non sono mai sazi”. E ancora: “T’ho fatto venire un cappuccino”. Alle sue parole segue l’ingresso a scuola di un frate. A parte le barzellette, sono divertenti i momenti scolastici dove Giacomo Rizzo è il professore soprannominato cammello che i ragazzi prendono di mira con scherzi atroci. Pierino recita “San Martino” del Carducci grazie a un registratore, incolla la sedia del professore, cambia la cassetta per far recitare a un amico una serie di offese e via di questo passo. La bruttissima direttrice è interpretata dalla spiritosa Adriana Facchetti che ogni tanto irrompe nell’aula dove Pierino imperversa. Pierino: “Professore, secondo me lei ha 36 anni”. Rizzo: “Bravo Pierino. Come fai a saperlo?”. Pierino: “Ho un cugino che ha 18 anni ed è mezzo stronzo”. 



Un’affascinante Jenny Tamburi è la professoressa Bonazzi che i ragazzini spiano al bagno grazie a un periscopio artigianale. Lenzi inserisce una breve parentesi di commedia sexy con la Tamburi che si fa ammirare seminuda indossando solo mutande di pizzo e giarrettiere. Jenny Tamburi (alias Luciana Tamburini) vince alla grande il confronto con la Michela Miti della serie originale, anche perché è un’attrice vera che sa ricoprire ogni ruolo. Jenny Tamburi è morta nel 2006, a soli 53 anni, dopo una lunga malattia, va ricordata per interpretazioni come Liquirizia di Samperi,  Peccati di famiglia, La seduzione e molti altri film erotico - soft. Jenny Tamburi non ha mai rinnegato il suo passato di attrice sexy, anzi ne andava (giustamente) orgogliosa. Negli ultimi anni della sua vita aveva aperto una scuola di recitazione e lavorava come direttrice di casting per Rai e Mediaset. Il film prosegue tra battute e battutacce spesso inserite nella trama per allungare il brodo, come quando Pierino incontra tre cinesi e assistiamo a una serie di dialoghi idioti a base di Cionfurgoncin, Urinasumuri e Cacapocochifapocomoto



In farmacia ricordiamo i numeri di Enzo Robutti, un cliente cavallo che nitrisce e porta scarpe ferrate, al punto che Mario Brega lo autorizza a cacare per strada. Pierino filosofeggia sui rutti come “scorregge che prendono l’ascensore” e cura una signora malata di aerofagia mettendo ogni cosa al suo posto. Lucia Cassini è la cameriera di casa fidanzata con un carabiniere stupido che dà il via a una serie di barzellette sull’Arma. Serena Grandi riveste un ruolo modesto come cameriera nel bar di Enzo Andronico, ma non mostra niente. Giorgio Ariani è attore dalla comicità rozza e genuina, ma rende di più nel cabaret che al cinema dove soffre la lunga distanza. Le trovate comiche sono spesso ridicole e risapute. Il test della lumaca per scoprire se una persona ha le corna, la vernice fresca e la maglia di lana, le barzellette sugli animali allo zoo e via dicendo. Da citare una serie di doppi sensi triviali legati all’equivoco tra uccello e tema. Tamburi: “Ho visto quello di tutti ma non il tuo”. “Quello di Carletti era un po’ moscio…”. Quando la Tamburi afferma che vuole vederlo assolutamente, Pierino ha i pantaloni calati, ma soltanto allora comprende che si tratta del compito di italiano. Allo zoo si ricalca la battuta di Nando Cicero e il doppio senso tra fica e foca quando una signora cade ed esclama: “Che cozzo!”. Ma cade a gambe larghe e fa vedere le mutande, quindi Pierino risponde: “Che foca!”. Arriva il fidanzato e lui subito indica la foca dello zoo per salvarsi dalla reazione dell’uomo. 



Allo zoo assistiamo agli amoreggiamenti tra Rizzo e la Tamburi che non trovano il modo di stare da soli e Pierino li interrompe a colpi di cacca in faccia al professore. A questo punto entra in scena Renzo Montagnani, che alza il tasso comico del film con una parte da ispettore scolastico che si complimenta con Pierino pure se dice una serie di idiozie. Quando arrivano gli infermieri in classe si scopre che è solo un pazzo in fuga dal manicomio. La pellicola presenta anche una parte sexy comica con la Tamburi e Rizzo che amoreggiano nel bagno dei professori. Non si vede molto, ma la Tamburi è brava e sensuale quando sgambetta tra le braccia dell’amante, mostrando le gambe velate da calze trasparenti e slip bianchi. Pierino toglie la luce, trova il modo di far finire la brutta direttrice tra le braccia di Rizzo, quindi fa entrare di nuovo la Tamburi. La scena sexy diventa farsa con il povero Rizzo preso a ceffoni dalle due donne. Un altro cammeo di Montagnani lo vediamo al ristorante dove interpreta il presidente dell’ordine dei farmacisti e promette al padre di Pierino altre farmacie. 



Montagnani balla con la cameriera, recita la poesia triviale meglio puzzar di merda che di povero, prende in giro tutti e infine arrivano gli infermieri per portarlo in manicomio insieme al babbo di Pierino, pure lui preso per pazzo. L’ultimo cammeo di Montagnani è nei panni del Ministro della Pubblica Istruzione che tra lo stupore generale premia Pierino come bambino dell’anno. Pierino riconosce il pazzo e dice: “Vorrei che tu fossi il mio babbo”. Invitato a fare un discorso, Pierino emette una sonora pernacchia e conclude la storia come una perfetta pochade



Fast motion, cartoni animati, comiche, un po’ di commedia sexy (buco della chiave, periscopio, foro nel muro), barzellette scolastiche, ironia sui carabinieri (Ugo Fangareggi), la ricetta è la stessa di sempre per comporre un film con protagonista Pierino. Mereghetti è molto caustico: “Serie di barzellette su Pierino, interpretato da un imbarazzante Ariani. Squallido tentativo di agganciarsi al successo dei già mediocri film di Girolami con Vitali”. Farinotti afferma: “Non c’è storia, soltanto una raffica di gag: il film è un sottoprodotto del filone pierinesco lanciato da Vitali, qui assente, mai rimpianta star della risata a sfondo gastrointestinalsessuale”. Non condivido il rigore critico con cui si affrontano film come questi, che pure hanno caratterizzato un periodo storico non solo del cinema ma anche del costume italiano. Se cerchiamo la storia in un barzelletta movie vuol dire che non abbiamo compreso la funzione catartica e liberatoria di certe pellicole. I film della serie pierinesca, originali o apocrifi che siano, vivono soprattutto per la volgarità, anarchia e inosservanza degli schemi cinematografici. Sono pellicole politicamente scorrette, irriverenti e assurde, ma rappresentano un sano e sboccato divertimento che il pubblico in quel preciso momento storico chiedeva al cinema. Pierino la peste alla riscossa è il migliore tra i pierini apocrifi, perché gode di un cast di attori eccellente e anche il protagonista Ariani presenta una sua buffa originalità. Mario Brega, Didi Perego, Lella Fabrizi, Jenny Tamburi, Giacomo Rizzo ed Enzo Robutti contribuiscono a elevare la qualità del film. Nessuno si aspetti di vedere un capolavoro, ma all’interno del barzelletta movie questo film di Lenzi (girato per motivi alimentari) ha una sua dignità.

domenica 24 agosto 2014

Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975)

di Pier Paolo Pasolini


Regia: Pier Paolo Pasolini. Soggetto e Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Collaborazione alla Sceneggiatura: Sergio Citti. Aiuto Regista: Umberto Angelucci. Assistente alla Regia: Fiorella Infascelli. Fotografia: Tonino Delli Colli. Montaggio: Nino Baragli. Edizione: Enzo Ocone. Assistenti Montaggio: Ugo De Rossi, Alfredo Menchini. Segretaria Edizione: Beatrice Banfi. Fotografo di Scena: Deborah Beer. Effetti e Rumori;: Luciano Anzellotti. Operatori alla Macchina: Carlo Tafani, Emilio Bestetti. Aiuto Operatore: Sandro Battaglia. Scenografia: Dante Ferretti. Costumi: Danilo Donati. Trucco: Alfredo Tiberi. Direttore di Produzione: Antonio Girasante. Organizzatore Generale: Alberto De Stefanis. Produttore: Alberto Grimaldi. Case di Produzione: Pea - Produzioni Europee Associate s.p.a. (Roma), Les Productions Artistes Associés s.a. (Parigi). Consulenza Musicale: Ennio Morricone. Pianoforte: Arnaldo Graziosi. Edizioni Musicali: Eureka. Teatri di Posa: Cinecittà. Interpreti: Paolo Bonacelli, Umberto P. Quintavalle, Giorgio Cataldi, Aldo Valletti (Signori). Caterina Boratto, Helene Surgere, Elsa De Giorgi, Sonia Saviange (Narrattrici). Sergio Fascetti, Antonio Orlando, Franco Merli, Lamberto Book, Bruno Musso, Claudio Cicchetti, Umberto Chessari, Gaspare di Jenno (Vittime maschi). Giuliana Melis, Graziella Aniceto, Dorit Henke, Benedetta Gaetani, Faridah Malik, Renata Moar, Antinisca Nemour, Olga Andreis (Vittime femmine). Tatiana Mogilansky, Giuliana Orlandi, Susanna Radaelli, Liana Acquaviva (Figlie). Rinaldo Missaglia, Guido Galletti, Giuseppe Patruno, Efisio Etzi (Militi). Claudio Troccoli, Maurizio Valaguzza, Fabrizio Menichini, Ezio Manni (Collaborazionisti). Paola Pieracci, Anna Maria Dossena, Ines Pellegrini, Carla Terlizzi, Anna Recchimuzzi (Ruffiane e Serve). Bibliografia e Testi citati nel film: Roland Barthes “Sade, Fourier, Loyola”; Maurice Blanchot “Lautreamont et Sade”; Simon De Beauvoir “Faut – Il bruler Sade”; Pierre Klossowski “Sade mon procaina. Le philosophe scélérat”; Philippe Sollers “L’écriture et l’exsperience des limites”.


Salò o le 120 giornate di Sodoma è il film più controverso e complesso di Pasolini. Esce postumo ma completo, nel 1975, dopo che il poeta aveva scritto l’abiura alla Trilogia della vita e un duro discorso contro il potere che implicava il rifiuto del passato inteso come “un mucchio di insignificanti e ironiche rovine”. Nella sua abiura, Pasolini non rinnegava l’erotismo giocoso e ilare contenuto in Decameron, Il fiore delle Mille e una notte e I racconti di Canterbury, ma affermava che non era più tempo di scrivere e girare  simili opere. È fin troppo facile dire che Salò è un film contro il potere e che a Pasolini la realtà storica interessa in funzione simbolica, per fare un discorso alternativo alla società contemporanea basata sul consumo, massificante e colpevole di annullare le identità. Il regista prende Le 120 giornate di Sodoma del Marchese De Sade - uno dei filosofi più aborriti e incompresi della storia -, recupera la trama a base di torture e sopraffazioni per ambientare l’azione in un castello, ai tempi della Repubblica di Salò, mentre il fascismo si dibatte tra velenosi colpi di coda. I protagonisti negativi - sgradevoli e ributtanti - sono quattro signori che decretano la cattura di nove ragazzi e nove ragazze per svolgere il ruolo di vittime predestinate. 


I soggetti prescelti vengono radunati in un castello nel corso di un atroce Antinferno, quindi si aprono i tre gironi (manie, merda e sangue) che compongono l’ossatura del film e vedono alcune narratrici intrattenere i signori che danno sfogo a una serie di depravazioni sessuali sulle vittime, condite di eccessi e torture. Pasolini non era mai stato così cupo e tragico, del tutto senza speranza, perché - a parte poche sequenze d’amore e rapidi sprazzi sentimentali - nel film tutto è orrore eccessivo e sconvolgente. I quattro sgradevoli protagonisti privi di morale conducono il gioco, mentre una pianista suona pezzi classici che accompagnano il racconto di storie lussuriose. Molti nudi, soprattutto maschili, sequenze ributtanti che si faticano a vedere (tutto il girone della merda), torture ed eccidi ripresi nei particolari come se fosse un film di pura exploitation


Molti critici hanno voluto vedere Salò - insieme a Salon Kitty e Il portiere di notte - come la pellicola che ha contribuito a far nascere il sottogenere del nazi-erotico. Salò è ben altra cosa che una raccolta di torture e di eccessi fine a se stessa, ma possiamo dire che i film del sottogenere nazi hanno imitato alcune sequenze estreme esibite nel campionario pasoliniano. A nostro parere il vero film che fa nascere il nazi-erotico è Salon Kitty di Tinto Brass, molto più vicino come trama e motivazioni a tale genere di cinematografia. Salò presenta molto sesso ma tutto è privo di erotismo, al contrario della Trilogia della vita il sesso è cupo, tragico, imposto, le vittime piangono, soffrono e subiscono violenze carnali. “Non c’è nulla di più contagioso del male”, fa dire Pasolini a un torturatore. “Noi vorremmo ucciderti mille volte fino ai limiti dell’eternità, se l’eternità potesse avere dei limiti”, aggiunge il cupo personaggio, citando De Sade.


Il film procede tra lezioni di depravazione, masturbazioni, suicidi e dichiarazioni politiche che giustificano la violenza esibita: “I fascisti sono i veri anarchici. La sola anarchia è quella del potere”. Un finto matrimonio vede un corteo nuziale composto da ragazzi nudi ma la consumazione viene impedita per far posto alle voglie dei signori, prive di ogni sentimento. “Senza spargimento di sangue non si dà perdono”, diranno, giocando sulla citazione confusa tra Baudelaire e Nietsche. Molto cupa la sequenza in cui ragazzi e ragazze sono condotti come cani al guinzaglio a mangiare in ciotole maleodoranti mentre una vittima viene ferita alla bocca per colpa di chiodi nascosti nella polenta da un aguzzino. Tristezza infinita nei volti dei ragazzi, lacrime e sangue, in una totale assenza d’amore. 


Il girone della merda è terribile e dissacrante, coprofagia esibita senza freni, ragazzi costretti a cibarsi di escrementi in sequenze oltremodo disturbanti. “Niente deve andare perduto”, affermano i persecutori. Un orribile matrimonio tra un signore e un ragazzo vestito da sposa prelude a un disgustoso pranzo a base di escrementi che si conclude con un bacio tra due bocche sporche di merda. “Il limite dell’amore è quello di avere bisogno di complici”, dirà un altro signore dopo essersi fatto orinare in faccia. Il concorso di bellezza tra ragazzi e ragazze elegge il miglior deretano del gruppo mentre gli aguzzini filosofeggiano: “Il gesto sodomitico accetta le norme sociali per infrangerle”, aggiungendo che il piacere del carnefice è simile ma è più difficile reiterarlo. Il girone del sangue è un eccesso continuo, aperto da un rapporto omosessuale esplicito e una vera erezione di un ragazzo, ma anche dai continui tradimenti delle vittime che si denunciano a vicenda per tentare di salvarsi la vita. Tutto inutile. I destini sono già decisi. 


Un gesto politico (il pugno chiuso) di un ragazzo scoperto ad amoreggiare con la serva (Ines Pellegrini) prelude alla sua uccisione e dà il via alle macabre esecuzioni dei colpevoli. Un altro simbolo era stato esibito in apertura, quando un ragazzino veniva giustiziato a Marzabotto, sede di uno storico eccidio nazifascista. “Dio, Dio, perché ci hai abbandonato!”, grida una ragazza insieme ai prigionieri legati in un mastello pieno di escrementi. I signori osservano torture ed esecuzioni seduti alla finestra, alternandosi nel ruolo di esecutori, con un binocolo, mentre si eccitano con i loro ragazzi preferiti. Nel frattempo assistiamo al suicidio della pianista, che fino a quel momento aveva soltanto suonato, senza interferire e senza dire una parola.


L’orrore ha superato il livello di guardia. Nelle torture finali il cinema di exploitation contamina la poetica pasoliniana, tra lingue tagliate, impiccagioni, vulve squartate, membri divelti, castrazioni, marchiature a fuoco, teste mozzate, stupri, coiti anali, assurdi balletti davanti ai morti. Nel finale c’è chi ha visto una luce di speranza (Italo Calvino, Corriere della Sera, 30/11/1975), perché due collaborazionisti accendono la radio, si chiedono il nome della ragazza e cominciano a danzare. In mezzo a tanta tragedia assistiamo a una rapida esibizione di normalità, una parziale uscita dagli inferi, un gesto che fa presagire a un cambiamento. Interpretazione opposta - più condivisibile alla luce dell’intera pellicola - di Adelio Ferrero (Il cinema di Pier Paolo Pasolini, Marsilio, 1994), che vede nel gesto dei due militari soltanto il segno dell’abitudine e dell’accettazione di uno status quo, di come si possa dimenticare l’orrore solo chiudendo la finestra e pensando ad altro.


Salò è un film teatrale, girato quasi tutto in interni - se escludiamo i notevoli piani sequenza iniziali e le scene finali a base di torture - dal tono poetico durante le narrazioni erotiche che contrasta con le terribili sequenze di morte, violenza e stupro. Molte citazioni filosofico - letterarie, metafore politiche per condannare non solo il fascismo, ma ogni tipo di potere, che impone modelli preconfezionati e spersonalizzanti. Scenografie accurate di Dante Ferretti, fotografia ocra e anticata di Tonino Delli Colli, scrittura colta di Pasolini e Citti, effetti truculenti disturbanti al punto giusto. 


Salò è un film che si presta a molteplici letture, persino all’ipotesi che il suo autore fosse arrivato al punto di rifiutare la vita e se ne chiamasse fuori con un tragico testamento culturale. Non crediamo che sia il modo corretto d’interpretare la pellicola, vero e proprio atto di accusa contro il potere, contro l’arroganza amorale di chi comanda, impone regole e non lascia vie di scampo. Pasolini usa un testo estremo di De Sade per contrastare un modello economico consumista e globalizzante che da sempre rifiuta, ma lo fa con energia vitale e con passione politica, senza rinunciare alla lotta. Il poeta esprime tutta la sua contrarietà a modelli di omologazione sociale che comportano un genocidio culturale e persino un esproprio della naturalezza di volti e corpi. 


Pasolini esprime una dolorosa e irritata separazione dal presente con un’operazione poetica radicale, estremista e sconvolgente. Si tratta di una poesia disillusa e sgraziata, autodistruttiva, scandalosa e scandalizzante, insostenibile e disturbante. Non c’è traccia di lirismo consolatorio, né di lusinghe estetizzanti, solo squallore, dolorosa sottomissione e abissi infernali che si aprono. Salò è un Decameron decadente e privo di speranza dettato dai racconti erotici delle narratrici - puttane. I signori rappresentano l’abiezione senza limiti, la loro cultura si abbevera a Baudelaire, Proust, Nietsche, Huysmans, ma si eccitano solo con pornografia, sesso e sangue. Salò si presenta come un macabro apologo dell’impotenza al potere, una metafora del sadismo di Stato, una trasgressione ridotta a riti, infarcita di rabbia antiborghese. 


Si nota un’ispirazione e una contaminazione di modelli cinematografico - teatrali cari a Buñuel, Brecht e Jancso. Le vittime sono strumenti e oggetti di piaceri abominevoli, alcuni assuefatti, altri tristemente conniventi; esprimono volti indifesi e sgomenti, corpi umiliati e offesi, stuprati, devastati, torturati, abbattuti. Pasolini racconta una storia cupa, senza speranza, claustrofobica, efferata, amorale, angosciosa e angosciante. Un film violentemente traumatico che si propone di rompere anche con lo spettatore, sconvolgendolo con immagini insostenibili. Una fosca lettura profetica del presente, piuttosto che un’accusa sulle atrocità del passato. Un’opera interessante, da studiare senza pregiudizi, ma da far vedere solo a un pubblico preparato. 


martedì 19 agosto 2014

Pierino torna a scuola (1990)

di Mariano Laurenti


Regia: Mariano Laurenti. Soggetto: Carmine De Benedittis. Fotografia: Silvio Fraschetti. Operatore alla Macchina: Carlo Aquari. Fotografo di Scena: Rosetta Messori. Montaggio: Carlo Broglio. Sceneggiatura: Mariano Laurenti, Alvaro Vitali, Carmine De Benedittis. Scenografia: Amedeo Mellone.  Trucco: Carla Catanzaro. Costumi: Giovanna Russo. Effetti Speciali: Luigi Tota, Davide dell’Ariccia. Musiche: Berto Pisano. Edizioni Musicali: Clitumno (Roma). Produttore e Direttore di Produzione: Carmine De Benedittis. Aiuto Regista: Luigina Lovari. Assistente alla Regia: Alessandro Laurenti. Negativo: Agfa. Sviluppo e Stampa: Telecolor. Doppiaggio, Sincronizzazione, Mixage: Cinecittà. Titoli: Moviecam 2000. Interpreti: Alvaro Vitali, Nadia Bengala, Elena Fabrizi, Bruno Minniti, Alfonso Tomas, Giulio Massimini, Daniela Di Bitonto, Franco Caracciolo, Giovanna Mainardi, Gabriella Barbuti, Malisa Longo, Carmine Farago, Cinzia Scalzi, Daniele Gigli, Mauro Vestri, Irena Kos, Paola Centanni, Graziella Mastellari, Simone Trabalza, Fabio Piccioni, Salvatore Bugnatelli, Mario De Martino, Ombretta Ariosto, Luigi De Filippis, Riccardo Calleri, Elettra Romani, Giovanni Febraro, Italo Piattelli, Tania Contino, Marco Calleri, Jummy il Fenomeno (Luigi Origine Soffiano).


Mariano Laurenti è stato uno dei più importanti artigiani della comicità italiana, soprattutto della commedia sexy, ma il cinema di genere nel 1990 sta esalando gli ultimi respiri. Il regista romano tenta di rivitalizzare il barzelletta - movie condito di scurrilità e un minimo di commedia sexy con Pierino torna a scuola. Il personaggio è di culto, ma siamo fuori tempo massimo, dopo due titoli della serie ufficiale e quattro apocrifi, senza contare il film televisivi e le troppe imitazioni. Alvaro Vitali non è più affiancato da Michela Miti, ma da Nadia Bengala, fresca Miss Italia, ma attrice modesta e poco sensuale. Elena Fabrizi (la sora Lella) prende il posto di Riccardo Billi e Pierino si trova a dover fare i conti con una nonna. La sorella di Aldo Fabrizi aveva già interpretato la nonna del monello in Pierino la peste alla riscossa (1982) di Umberto Lenzi, apocrifo con il toscano Giorgio Ariani. 


Bruno Minniti è il padre di Pierino al posto di Enzo Liberti e non è la stessa cosa. La nota più lieta del cast è costituita dal caratterista Alfonso Tomas, che interpreta un cameriere pieno di tic nervosi ricalcando il ruolo ricoperto in Vieni avanti cretino (1982) di Luciano Salce. Franco Caracciolo è l’effeminato fidanzato della sorella di Pierino candidato a subire scherzi feroci. Malisa Longo è la cassiera del bar dove Pierino va a fare colazione e a raccontare storielle scurrili del tipo: “Cos’è quella cosa che quando entra è dura e quando esce è moscia?”. Pierino si risponde subito: “Il biscotto! Cosa avevi capito? Proprio vero, sei come il gatto nella credenza, quel che fa lo pensa!”. 


C’è persino Jimmy il Fenomeno che vorrebbe vendere gli uccellini alla Bengala. Il film è privo di trama. Pierino lavora in un canile, ma ruba il cibo in scatola invece di darlo ai cani; decide che è meglio tornare a scuola, non tanto per far contenta la nonna, quanto per evitare di essere impiegato come lepre umana che incita a correre i cani. La parte scolastica è la migliore, tra scherzi feroci alla professoressa, messa fuori gioco per far arrivare la supplente, e risposte assurde durante le interrogazioni. “Fazzi… Fazzi… e mo’ so cazzi!”, è il motto di Pierino contro la professoressa brutta ed esigente. Invece la supplente (Bengala) si chiama Rizzi, nome che è tutto un programma: “Rizzi… Rizzi… tu m’addrizzi!”. 


La scuola viene alternata ad altri ambienti che propongono situazioni da barzelletta: il ristorante del padre, la parrucchiera, il ristorante cinese, la farmacia, la strada… Puro cinema barzelletta, montaggio di scenette scollegate, al ritmo della vecchia colonna sonora di Berto Pisano, con Pierino che spesso conclude: “Col fischio o senza?”, intonando la caratteristica ristata. Vitali partecipa alla sceneggiatura e si nota dal livello di battute molto sopra le righe: “C’ho un’idea grandiosa! C’ho il cervello che mi scorreggia!”; “Giulio Cesare, il popolo chiede sesterzi! No, vado dritto!”; rivolto a un marocchino: “E il cammello dove l’hai lasciato?”; la maestra. “Oggi sono molto rigida!”, Pierino: “E io no?”; “Quando siedono sul vaso sono tutti uguali!” (mostrando un mini cesso); “La festa dei froci dura tre giorni! So’ talmente tanti…”. 


La parte sexy è inesistente, perché Nadia Bengala si limita a mostrare le gambe fasciate da calze nere dietro la cattedra e non bastano poche sequenze di caratteriste minori per definire il film una commedia erotica. Citiamo la scenetta del fidanzato siculo che va dalla ragazza con la madre mentre Pierino con una scusa scuce la gonna alla ragazza e la mostra seminuda. Vediamo la moglie di un capitano di marina che fa l’amore nel parco con il marito mentre i carabinieri vogliono arrestarla perché è la quinta volta che la beccano con una persona diversa. Infine c’è la cameriera del ristorante che mostra il lato b e tutti - Pierino e padre compresi - fanno a gara per tastarlo. Troppo poco. La pellicola è un barzelletta - movie corretto con un minimo di comicità grottesca, alcune sequenze accelerate stile comiche del muto e momenti surreali da cartone animato. 


Cinema nel cinema con Laurenti che cita una vecchia gag presa da Totò sexy (1963) di Mario Amendola, con il regista che insegna all’attore come si bacia, ma lo fa per approfittare della situazione. Comicità politica quando Pierino se la prende con il Partito Socialista e fa capire che per entrare alla Rai bisogna presentarsi con il garofano. Finale scolastico con Pierino che non viene promosso, nonostante una commissione bendisposta, perché risponde alle domande con una serie di sciocchezze. A casa l’attende la cartolina precetto (erano i tempi della leva obbligatoria!) e il capitano di marina che vive nel condominio lo prende sotto la sua protezione. Il regista lascia aperta la possibilità di girare un Pierino militare che è rimasto nella lista delle cattive intenzioni per colpa (o merito) dell’insuccesso commerciale dell’operazione. 


In compenso il produttore De Benedittis contatta Claudio Fragasso e l’attore Flavio Bucci per girare un Pierino Stecchino (1992), mai distribuito. Pierino torna a scuola è un film sconclusionato che ha perso tutta la freschezza e la dissacrante volgarità del Pierino contro tutti (1981) di Marino Girolami. Laurenti inserisce tante barzellette risapute e soltanto Elena Fabrizi (la sora Lella) diverte nei panni della nonna di Pierino. Vitali prova a scatenarsi con battutacce rivolte alla Bengala, ma non basta. Tutto ha il sapore del tempo passato. E non è passato invano…

venerdì 15 agosto 2014

Pierino medico della S.A.U.B. (1981)

di Giuliano Carnimeo


Regia: Giuliano Carnimeo. Soggetto: Ugo Tucci. Sceneggiatura: Gianni Capone, Giorgio Mariuzzo. Fotografia: Federico Zanni. Colore: Telecolor spa. Montaggio: Pierluigi Leonardi. Temi Musicali: General Music. Scenografia: Giacomo Calò Carducci. Aiuto Regista. Goffredo Unger. Operatore alla Macchina: Giovanni Maddaleni. Costumi: Luciana Marinucci. Trucco: Silvana Petri. Fotografo di Scena: Francesco Narducci. Produttori: Ugo Tucci, Camillo Teti. Realizzazione: Camillo Teti. Casa di Produzione: Uti Produzioni Associate. Teatri di Posa. I.N.C.I.R. - De Paolis. Interpreti: Alvaro Vitali, Mario Carotenuto, Serena Bennato, Mario Feliciani, Giuseppe Ferrara, Anna Campori, Angelo Pellegrino, Francesco De Rosa, Giusi Valeri, Fernando Cerulli, Carolina Palermo, Enzo Garinei, Gianni Ciardo, Salvatore Iacono, Leonardo Cassio, Luisa Amorosi, Ennio Antonelli, Ester Carloni, Aide Aste, Franco Caracciolo, Mario De Vico.


Giuliano Carnimeo gira uno dei migliori Pierini apocrifi con Pierino medico della S.A.U.B. (1981), in pratica Il medico della mutua (1968) di Luigi Zampa, interpretato da Alberto Sordi, rivisto e corretto in versione Alvaro Vitali. La pellicola è un falso Pierino che dice le cose migliori come parodia farsesca della famosa commedia tratta dal romanzo di Giuseppe D’Agata. Doppio ruolo per Alvaro Vitali, sia il dottor Alvaro Gasperoni (ai tempi della scuola chiamato Pierino) che Pippetto, nipotino terribile, il vero e proprio Pierino della situazione. Vitali è il dottor Gasperoni, medico laureato ad Addis Abeba che ha trovato posto come assistente del primario in un ospedale romano grazie alle raccomandazioni del padre (Carotenuto). 


Mitico il telegramma con cui si apre il film: Laurea consequita Stop. Arivo aeroporto Roma ore 9 Stop Pierino. (Gli errori sono fondamentali per capire il grado di cultura del neo medico). Mario Gasperoni e famiglia, ingrosso carni, è la scritta che campeggia sul pulmino di famiglia, per far capire che i genitori di Pierino provengono da una stirpe di macellai. “Nessuno ti dovrà più chiamare Pierino, ma dottor Alvaro Gasparoni!” esclama il padre, consapevole che il pezzo di carta non conta niente ma le raccomandazioni politico - mafiose possono aiutare. Pierino ha preso la licenza elementare a Roma, quella media a Frosinone, la ginnasiale a Catanzaro, la liceale a Canicattì e la laurea in medicina ad Addis Abeba. 


Un curriculum scarso, ma basta una lettera della P2 (la famosa loggia massonica guidata da Licio Gelli) per farlo assumere in ospedale. La storia entra nel vivo quando Alvaro conquista il posto da primo assistente nel reparto del professor Tambroni, dopo aver sgominato la concorrenza di tre assistenti. “Il valore di un medico si misura dal numero dei suoi pazienti!”, esclama il primario, ricalcando analoga affermazione di D’Agata ne Il medico della mutua, ripresa da Zampa nel film omonimo. Alvaro fa ricoverare familiari, amici e conoscenti, persino una coppia di parenti baresi in viaggio di nozze che deve ancora consumare il matrimonio. Gianni Ciardo è la variabile negativa della pellicola perché la sua interpretazione da pugliese infoiato è davvero irritante. L’avventura di Alvaro come medico termina con un’ispezione ministeriale che lo fa licenziare da ogni struttura pubblica italiana. Il padre non si dà per vinto, decide di aprire una clinica privata chiamata Addis Abeba, ma di farsi curare dal figlio non ci pensa proprio.


Pino Ferrara è il dottor Ardito che presta il fianco alle battutacce di Vitali: “L’ha stabilito Ardito? Te lo dico io dove te lo devi mette’ er dito!”. Il film è un susseguirsi di scenette comico - ospedaliere, gag rapide che fanno da contorno a una storia abbastanza lineare. La pellicola parte come parodia de Il medico della mutua, prosegue come commedia sexy e finisce come barzelletta movie. Un minimo di critica sociale: le raccomandazioni per lavorare, la laurea che non vale niente, le promozioni facili, i posti letto in ospedale al miglior offerente, la corruzione e l’impreparazione delle strutture sanitarie. Commedia sexy surreale in alcune sequenze: Vitali che spia uno strip da una finestra aperta mentre ordina trasfusioni a non finire, ma anche una paziente disponibile e le gag con l’infermiera prima di operare contribuiscono ad alzare il tasso erotico. Molta fast motion da cartone animato, un clima da torte in faccia e da comica del muto che ben si addice all’umorismo fisico di Vitali. 


Sabrina Siani secondo alcuni (Marco Giusti, Wikipedia…) farebbe parte del cast nei panni di un’infermiera: non l’abbiamo vista e non risulta citata nei titoli di coda. L’elemento sexy è costituito da Serena Bennato (Domenica), moglie fedifraga e ninfomane di un paziente con tendenze suicide. Vediamo la Bennato quasi completamente nuda in alcune occasioni, soprattutto quando il medico sviene durante una visita. Vitali non può esimersi dalle battute di grana grossa che caratterizzano il personaggio, ma ama questo film che definisce “il più vero”. 


Girato quasi per intero tra gli studi De Paolis e l’ospedale romano Sant’Eugenio. Colonna sonora riciclata e scopiazzata da quella di Piccioni per Il medico della mutua: La marcia di Esculapio. Si racconta che uno spettatore di Taranto denunciò la produzione per truffa, visto che aveva pagato per assistere a un film della serie Pierino e non c’erano molte barzellette. In realtà le barzellette non mancano, specie nel finale, sia per merito del medico incapace che grazie alla verve di Pippetto. Alvaro Vitali si scatena, duetta persino con se stesso per regalare al pubblico la differenza tra ignoranza idraulica (non capire un tubo) e ignoranza sessuale (non capire un cazzo). Ultima commedia sexy di Carnimeo. Da rivedere.

mercoledì 13 agosto 2014

Pierino colpisce ancora (1982)

di Marino Girolami


Regia: Marino Girolami. Soggetto: Gianfranco Clerici, Vincenzo Mannino. Sceneggiatura: Gianfranco Clerici, Vincenzo Mannino, Marino Girolami. Montaggio: Alberto Moriani. Fotografia: Federico Zanni. Scenografia: Vincenzo Morozzi. Costumi: Silvana Scandariato. Direttore di Produzione: Cecilia Bigazzi. Produzione: Filmes International, Dania Film, Medusa Distribuzione. Distribuzione: Medusa. Aiuto Regista: Romano Scandariato. Fotografo di Scena: Francesco Narducci. Musica: Berto Pisano. Edizioni Musicali: Clitumno. Canzone: Col fischio o senza - di Mannino, Clerici, Pisano - è cantata da Alvaro Vitali (Dischi Fontana, Polygram Dischi spa). Interni: In. Ci. R. - De Paolis. Esterni: Roma. Negativi: Eastmancolor. Colore: Telecolor. Sincronizzazione: N.C. - S.A.S.. Effetti Sonori;: Cineaudio. Titoli e Truke: Penta Studio. Interpreti: Alvaro Vitali, Michela Miti, Enzo Robutti, Toni Ucci, Sophia Lombardo, Nicoletta Piersanti, Gianfranco Barra, Walter Piretti, Gianluca Simonetti, Diana Dei, Enzo Liberti, Riccardo Billi, Renato Cecchetto, Serena Grandi, Stefania Di Giandomenico, Francesca D’Adda, Franca Mantelli, Rina Mascetti, Salvatore Baccaro, Leonardo Cassio, Roberto Ceccacci, Alejandro Dakar, Vulsino Adami, Renato Merlino, Roberto Proietti, Salvatore Jacono, Giorgio White, Cleofe Del Cile, Son Vo Hong, Sergio Tardioli, Rosa Ferraiolo, Oreste Rotundo, Vinicio Diamanti, Marcello Fusco, Maria D’Alessandro.


Marino Girolami, l’inventore di Pierino, realizza nel 1982 Pierino colpisce ancora, sulla scia del successo del film capostipite. La squadra dei collaboratori tecnici non cambia. Produce e distribuisce Medusa. Il cast degli attori è quasi identico, soprattutto per i ruoli principali, ma non è la stessa cosa del primo Pierino, anche perché il mercato è saturo e le barzellette sono state riciclate in tutte le salse. Il sequel originale non arriva nelle sale prima dei sequel apocrifi, anche se Alvaro Vitali afferma nei trailer che lui è l’unico vero e inimitabile Pierino. Aggiunge che gli altri fratelli sono tutti figli de… e accompagna l’affermazione con la caratteristica risata come quando domanda se deve andare in un posto col fischio o senza…La trama è una scusa per dare il via a una serie di barzellette. Pierino è sempre più pestifero, il padre lo manda prima in collegio, poi gli trova qualche lavoro. Niente da fare. La sola vocazione di Pierino è combinare guai.


“Ammazza quanto so’ bello! So’ meglio de’ prima!”, afferma Vitali nella prima sequenza, specchiandosi in una vetrina, proprio per sottolineare che è tornato il vero e inimitabile (ma sin troppo imitato) Pierino. Per contrapposizione vediamo Salvatore Baccaro - orribile autista di autobus - che Pierino vorrebbe mandare al giardino zoologico per portargli le noccioline. Il film procede sulla falsariga del primo, a metà strada tra il barzelletta movie e la commedia sexy, con divagazioni a base di fast-motion, comicità slapstck, torte in faccia e sequenze da cartone animato. 


Abbiamo pure un abbozzo di trama. Pierino bocciato dopo un farsesco esame finale durante il quale rivediamo per poche sequenze il grande Riccardo Billi (nonno di Pierino) che con la radio trasmittente suggerisce il tema su Garibaldi. Purtroppo le frequenze della polizia giocano un brutto tiro al nostro monello. Ricordiamo trovate comico - scolastiche come “Alfonso, non fa’ lo stronzo!” (rivolto al bidello), la prostituta greca che si chiama Mikateladogratis, Pierino che deve trovare il perimetro di un triangolo e lo cerca tra le gambe della professoressa, il racconto dell’Iliade alla moda trucida e l’esame con Pierino espulso che risponde: “Col fischio o senza?”. Il comico - scolastico si accompagna ad alcune scenette al ristorante del padre (Liberti) con un presunto cannibale tra gli avventori, un calzolaio che risuola le scarpe con le bistecche e l’urlo del coyote del nonno quando gli chiede da quanto tempo non fa l’amore. Interessante da un punto di vista comico la parte in collegio, ma ancora di più gli scherzi di Pierino a bordo del treno, soprattutto la lezione sulle scorregge, chiamate per nome, secondo il rumore prodotto: Alfonso (quella più silenziosa), Pasquale (quella che si rischia di farsela addosso) e Roberto Bracco (la più soddisfacente, dopo aver mangiato pasta e fagioli). Non manca la dimostrazione pratica che Pierino definisce una scorreggia d’artista.


Toni Ucci (novità rispetto al primo film) è il custode del collegio, innamorato della figlia del direttore, che invece stravede per Pierino. Enzo Robutti è il direttore, ruolo che interpreta con la sua efficace mimica grottesca e che replicherà in Gian Burrasca (1982) di Pier Francesco Pingitore, sempre interpretato da Alvaro Vitali. Pierino ritrova la sexy professoressa Rizzi (Michela Miti) e non manca di guardarle le cosce sotto la cattedra, replicando identica sequenza del primo film. Oronzo è il compagno secchione che Pierino prende subito in antipatia: “So’ Pierino, so’ gagliardo e so’ carino!/ Tu te’ chiami Oronzo che fa’ rima co’…”. 


Battutacce scolastiche abbastanza volgari: Pierino porta in classe una sega per ricordare la canzone Solitudine, omaggia la professoressa di banana e albicocche (ma la Rizzi non è da meno perché afferma: “La banana tre la devi mettere al…”), manda a qual paese un medico che afferma di aver ucciso tre leoni con un colpo solo, dice di avere il pisello come un bambino di tre anni, informa un compagno che va bene strizzarsi il pene ma non bisogna farci la treccia,  accende una candela con un fiammifero e una scorreggia… Pierino affronta il compagno secchione in un divertente incontro di pugilato, dove Robutti fa l’arbitro e Ucci è il secondo, ne busca parecchie ma alla fine getta fuori dal ring il saputello arrogante. Parte sexy imprevista: Michela Miti cade dalla sedia e dimena le gambe mostrando mutandine ridottissime con Pierino che non vuol saperne di alzarsi e pur di vedere lo spettacolo rischia di perdere l’incontro. Molta fast-motion, comicità slapstick, sequenze girate a velocità accelerata e situazioni pugilistiche che sembrano desunte dai fumetti di Popeye. 


Una parte onirica del tutto avulsa dal contesto mostra un sogno di Pierino per raccontare la barzelletta volgarissima dell’uccello insaziabile. La commedia sexy ritorna a far capolino quando Pierino spia un sensuale strip di Michela Miti dal buco della serratura, mentre la bella attrice resta a seno nudo dopo essersi tolta babydoll e lingerie di pizzo. Non ci sono docce, ma la citazione del sexy all’italiana è servita su un piatto d’argento anche quando la Rizzi entra in classe e viene ripresa dal basso per mostrare le gambe nude. Pierino prima di fuggire dal collegio impartisce lezioni d’amore alla bruttissima figlia del direttore, quindi incontra una pattuglia di carabinieri e non può fare a meno di raccontare un paio di barzellette sulla Benemerita. 


Il ritorno a Roma è sceneggiato come un barzelletta movie a tema lavorativo, alcune gag sono indovinate, altre meno. Tra tutte si ricorda il padre che per farsi la cameriera (Serena Grandi) in santa pace offre mille lire a Pierino per ogni bicicletta che vede, ma non sa che sta passando il Giro d’Italia. “A’ papa’, cara te costa sta’ pomiciata!”, ride Pierino con la caratteristica espressione. Il finale vede Pierino correre per una strada di Roma dopo aver combinato l’ennesimo guaio ai danni di un datore di lavoro.


Marino Girolami difende un genere che ha inventato e afferma: “Girerò altri Pierini, se me lo chiederanno, lo farò fino all’esaurimento…”. Il genere inflaziona il mercato e si esaurisce nel giro di pochi mesi, al punto che Girolami abbandona il progetto cinematografico per riversarlo su una sit - com televisiva di poco successo. Giggi il bullo (1982) è il canto del cigno di un grande artigiano come Girolami che cerca di lanciare Alvaro Vitali in un ruolo da protagonista con una storia dotata di un minimo di trama. La pellicola, scritta e sceneggiata dal regista insieme a Carlo Veo, non va oltre il tentativo di raccontare le avventure di un buffo teppista di periferia. Battute risapute, dialetto trucido alla Tomas Milian, cazzotti e furberie, rappresentano il sale di una farsa sguaiata e poco comica che delude tutti. Fotografia di Federico Zanni, montaggio di Alberto Moriani, musiche di Paolo Rustichelli, aiuto regista Romano Scandariato. Producono Dania e Medusa (che distribuisce). Interpreti: Alvaro Vitali, Adriana Russo, Cinzia De Carolis, Marcello Furgiuele e Susanna Fassetta. Un film che non riscuote nessun successo e che conclude male l’onesta carriera da artigiano di Marino Girolami. Il personaggio di Pierino tona al cinema grazie a Mariano Laurenti con Pierino torna a scuola (1990), vero e proprio canto del cigno del sottogenere, remake tardivo che vede l’ex miss Italia Nadia Bengala al posto di Michela Miti, la sora Lella invece del nonno Riccardo Billi e Giulio Massimini per Enzo Liberti. Citiamo anche un introvabile Pierino Stecchino, girato nel 1992 da Claudio Fragasso, che riscuote una fredda accoglienza da parte del pubblico. Alvaro Vitali prende in giro Roberto Benigni e ironizza su Johnny Stecchino, ma non coglie nel segno. Lo rivedrei volentieri.