domenica 29 marzo 2015

Diario segreto da un carcere femminile (1973)

di Rino De Silvestro



Regia: Rino Di Silvestro. Soggetto: Rino Di Silvestro. Sceneggiatura: Rino Di Silvestro, Angelo Sangermano. Fotografia: Fausto Rossi. Direttore di Produzione: Diego Alchimede. Montaggio: Angelo Curi. Musiche: Franco Bixio. Produttore Esecutivo: Giuliano Anellucci. Riprese Automobilistiche: S. A. C. I. di Sergio Mioni. Scenografie e Costumi: Piervittorio Marchi. Operatore alla Macchina: Gianfranco Turini. Assistente Operatore: Mario Bagnato. Ispettore di Produzione: Arrigo Peri. Segretario di Produzione. Silvano Gentili. Segretaria di Edizione: Marialuce Faccenna. Aiuto Regista: Giuliano Anellucci. Assistente al Montaggio: Maria Pia Appetito. Aiuto Montaggio: Bruno Sgueglia. Fonico: Domenico Dubbini. Microfonista: Benito Alchimede. Fotografo di Scena: Angelo Pennoni. Truccatore: Michele Trimarchi. Parrucchiere: Salvatore Cotroneo. Aiuto Trucco: Ada Morandi. Aiuto Scenografo: Rocco Romano. Sarta: Giuseppina Rossi. Effetti Speciali. Celeste Battistelli. Teatri di Posa: De Paolis Incir (Roma). Rumorista: Luciano Anzellotti. Registrazione Sonora: Westrex Sistem Recording, eseguita presso CDS, con la partecipazione della CD.  Mixage: Romano Pampaloni. Colore: Luciano Vittori. Pellicola: Kodak Eastmancolor. Canzone: Lettera da un carcere femminile di P. Lepore e F. Bixio, cantata da Malia Rocco (IT Dischi Italia Edizioni). Distribuzione: Overseas Film Company. Casa di Produzione: Angry Films. Interpreti: Anita Strindberg, Eva Czemerys, Olga Bisera, Jenny Tamburi, Valeria Fabrizi, Cristina Gaioni, Jane Avril (Maria Pia Luzi), Paola Senatore, Gabriella Giorgelli, Bedy Moratti, Umberto Raho, Massimo Serato, Roger Browne, Annie Edel, Franco Fantasia, Carlo Gentili, Giulio Maculani, Elisa Mainardi, Pino Mattei, Valeria Mongardini, Gianni Pesola, Ada Pometti, Paolo Sceusan, Rosita Torosh.



Slvatore Di Silvestro, detto Rino, nato a Roma il 30 gennaio 1932 e morto il 3 ottobre 2009, comincia dal teatro con lo spettacolo Op bop pop nip, rappresentato al Teatro delle Muse della capitale, per poi passare al cinema. Scrive molte sceneggiature, spesso anonime, e il suo debutto alla regia avviene con il suo titolo migliore: Diario segreto da un carcere femminile (1973), realizzato senza aver fatto precedenti esperienze con la macchina da presa. Dirige altri sette film, meno riusciti del primo, commerciali ma tecnicamente ben fatti: Prostituzione (1974), La lupa mannara (1976), Le deportate della sezione speciale SS (1976), Baby love (1978), Bello di mamma (1979), e Hanna D. - La ragazza del Vondel Park, firmato Alex Berger e - come scrive Roberto Poppi - realizzato in collaborazione con Bruno Mattei. Di Silvestro contestava con veemenza l'apporto di Mattei al film, asserendo di aver fatto tutto da solo. Cleopatra regina d’Egitto (1984) - firmato Cesar Todd - sarebbe stato girato da Camillo Teti, mentre Di Silvestro (a suo dire) averebbe scritto solo la sceneggiatura. Versione dei fatti contestata da un'attrice presente sul set che affermò più o meno: "Me ne scappai dal set perché il regista pretendeva troppo..." (e si riferiva a Di Silvestro).



Riproponendomi di tornare a parlare di un regista interessante come Di Silvestro, affrontiamo il suo straordinario esordio, che sembrava preludere a un miglior utilizzo del talento e a una produzione più vasta e compiuta. Vediamo la trama di Diario segreto da un carcere femminile, noto anche come Diario erotico di un carcere femminile - titolo della riedizione 1982/83 -, un successo internazionale nel campo del women in prison. Si parte con una sequenza scioccante che prevede la perquisizione anale e vaginale di Daniela (Tamburi) compiuta dalla capo sorvegliante (Bisera) che mostra il dito medio incappucciato in un guanto di plastica. Lo spettatore è subito avvisato. Non si tratta di un film adatto ai benpensanti. Il film si caratterizza per una totale commistione di generi, come se fossero due pellicole fuse in una sola storia: un mafia movie (ma anche gangster movie), un poliziottesco caratterizzato da inseguimenti e sparatorie, e un women in prison, un carcerario che rispetta tutte le convenzioni del sottogenere. Diciamo meglio che dette le coordinate per i prodotti futuri, visto che Di Silvestro è l’iniziatore di un minifilone. Qualcuno ha rubato venti chili di eroina che dalla Svizzera dovevano arrivare in Sicilia, ne fa le spese Daniela - fidanzata del corriere ucciso dalla polizia - ignara di tutto ma arrestata e imprigionata. Da qui si dipana una lotta tra cosche mafiose per tornare in possesso della droga, l’indagine poliziesca e soprattutto un film carcerario straordinario. 



Nel Blocco 7 troviamo alcune tra le donne più belle del cinema di genere italiano: Valeria Fabrizi, Olga Bisera, Jenny Tamburi, Paola Senatore, Anita Strindberg, Eva Czemerys… un cast da urlo! Il direttore del carcere è un serioso Massimo Serato, non del tutto cristallino come si scopre alla fine, ma coinvolto nei loschi giri mafiosi. Franco Fantasia, invece, è il commissario di polizia che cerca di risolvere il mistero dell’eroina scomparsa. Tutti suppongono che Daniela sappia dove sia nascosta la droga, per questo gliene fanno passare di tutti i colori, fino a rinchiuderla in cella di segregazione. Morirà avvelenata per aver rivelato poche cose alla Strindberg, figlia di un boss e infiltrata in carcere come confidente della polizia. In galera vediamo il consueto scenario di lesbismo, piccole rivolte sedate dalla polizia, docce nude, sopraffazioni, scene di follia, prevaricazione e una singolare figura di carcerata mafiosa (Czemerys) che pare comandare persino le sorveglianti. Finale tragico per tutti, anche per la Strindberg, che finisce nel burrone a bordo di un’auto, con la macchina da presa che torna a immortalare il carcere con la splendida canzone Lettera da un carcere femminile (Lepore - Bixio), cantata da Malia Rocco, mentre scorrono i titoli di coda.



Diario segreto da un carcere femminile è uno dei migliori film carcerari italiani, superiore al successivo Prigione di donne (1974) di Brunello Rondi, ispirato al lavoro di Di Silvestro ma con troppe ambizioni d’autore per rispettare le convenzioni del genere. Il regista usa molto lo zoom, inserisce movimenti di macchina convulsi durante le risse carcerarie e le sequenze che fanno pensare al cinema verità. Non solo, sceglie un’intensa colonna sonora da mafia movie, realizzata da Franco Bixio, aggiungendo un tocco di musica popolare in romanesco con la canzone della Rocco che sottolinea la solitudine delle carcerate. Grandi scene di inseguimenti nella parte poliziesca, per le vie dei paesi laziali e lungo strade sterrate, incidenti spettacolari, sparatorie credibili, morti orribili in forni crematori e auto che finiscono sulle scogliere. In prigione molto erotismo perverso, dalla capo sorvegliante invaghita delle recluse, passando per docce nude e una Valeria Fabrizi che marca visita per farsi scopare dal medico del carcere. 



Buona caratterizzazione dei personaggi: una pazza incendiaria che rischia di mandare a fuoco il carcere (Moratti), la religiosa che tutti chiamano salve regina (Gaioni), la mammasantissima mafiosa (Czemerys), l’algida bellezza misteriosa (Strindberg), l’ingenua Daniela (Tamburi), la napoletana (Fabrizi), l’emiliana (Giorgelli)… Il regista scrive una storia che tende a mettere in evidenza i problemi carcerari con un minimo di attenzione sociale, ma soprattutto affronta le relazioni amorose tra detenute, le piccole gelosie, i rapporti di forza, i clan mafiosi che si creano in un carcere femminile. “La sessualità in carcere è una spinta vitale. Io sono cattolico, ma per me la carne e lo spirito sono la stessa cosa”, dice il regista a Nocturno. Tutto molto credibile, girato con crudo realismo, senza forzature ma soprattutto senza inibizioni e autocensure. Tra le attrici una nota di merito spetta a Jenny Tamburi, ben calata in un ruolo complesso da vittima sacrificale. Brava anche Anita Strindberg come infiltrata che porta con sé un soffio di sensualità nordica, così come Valeria Fabrizi è l’erotismo popolare della napoletana. Il carcere femminile rappresentato da Di Silvestro mette in scena una vera complessità di rapporti e situazioni, le donne imprigionate parlano molti dialetti ed esprimono le diverse abitudini delle terre di origine.



La critica alta non ama il women in prison neppure quando è ben realizzato. Paolo Mereghetti (una stella): “Di Silvestro (anche sceneggiatore) millanta impegno civile e abbozza una goffa sottotrama poliziesca: ma la sequenza dei titoli con le ispezioni anali alle detenute, è tutta un programma. Nudi e lesbo un po’ ovunque, ma di erotismo neanche l’ombra: e certe scelte di cast (la slava Czemerys che fa la sicula) gridano vendetta. All’epoca incassò bene, dando il via a un minifilone sulle carceri femminili”. Non condividiamo una parola. Di Silvestro non millanta proprio niente, non esibisce nudi e lesbismo, ma racconta con realismo e passione una storia ben scritta e sceneggiata senza punti morti. Pino Farinotti concede due stelle ma non motiva, limitandosi a raccontare la trama, definendo drammatico un film che è una vera e propria commistione di generi. Marco Giusti (Stracult): “Salutare film d’esordio del carcerario femminile all’italiana. Opera prima di Rino Di Silvestro con un cast pauroso di stelline anni Settanta capitanato da Jenny Tamburi. Grande il contributo di Eva Czemerys, come mafiosa lesbica”. Stefano Di Marino (Tutte dentro!): “Fantastico. Il finale tragico è quasi scontato, ma il ritmo tiene, la storia ha i necessari sobbalzi, l’accompagnamento musicale e una certa capacità interpretativa delle prigioniere rendono il prodotto appetibile”. Concordiamo. 



Diario segreto da un carcere femminile dà il via a un sottogenere carcerario tutto italiano che sforna film di qualità altalenante. Di Silvestro fa tutto da solo perché la casa di produzione Angry Films (Film arrabbiati) è una sua creatura, messa in piedi con la collaborazione di un amico. Carcere ricostruito con realismo alla De Paolis. Esce in America come Women in Cell Block 7, in Francia si punta sul sesso: La vie sexuelle dans les prisons de femmes e in Germania come Mädchen im Knast. Un film di grande successo internazionale, criticato soltanto da tristi soloni perbenisti di casa nostra.



venerdì 27 marzo 2015

Provocazione - Erotic games (1988)

di Piero Vivarelli



Regia: Piero Vivarelli. Soggetto e Sceneggiatura: Patrizia Rosso, Piero Vivarelli. Costumi: Francesco Panni. Art Director: Patrizia Brandimarte. Fotografia: Alessandro Carlotto. Supervisore alla Fotografia: Roberto Forges Davanzati. Musiche: Roberto Ciotti. Direttore di Produzione: Enzo Samà. Montaggio: Carlo Broglio. Mixage: Franco Bassi. Aiuto Regista: Alessandro Vivarelli. Assistente alla Regia. Patrizia Rosso. Segretario di Produzione: Oliviero Vivarelli. Segretaria di Edizione: Anna Maria Liguori. Assistente Operatore: Emnauele Mazzilli. Capo Elettricista: Luigi Pasqualini. Capo Macchinista: Sergio Fabbriani. Truccatrice: Gloria Granati. Parrucchiera: Regina Usidda. Produttore: Angiolo Stella. Casa di Produzione: Cometa Film srl. Canzoni: Provocation Sweet Paradise, No More Blues - Hot Club, Treat Me Right - Rolls Royce sono tratte dall’album No More Blue di Roberto Ciotti (Time Music - Edizioni Aliante B.M.G. - Ariola Musica). Edizione: Pantheon srl eseguita presso C.D.S.. Effetti Speciali Sonori: C. e G. Movie and Sound. Pellicola: Fuji. Sviluppo e Stampa: Luciano Vittori. Mezzi Tecnici: Arco Due srl. Distribuzione. Cometa Film. Interpreti: Moana Pozzi, Marino Masè, Petra Scharbach, Hula, Alessandro Vivarelli, Oliviero Vivarelli, Piero Vivarelli.



Piero Vivarelli gira una pellicola indefinibile, un mix di softcore e thriller come soltanto negli anni Ottanta era possibile concepire. Marino Masè si trova coinvolto in un cast da cinema porno con tre attrici di Diva Futura come Moana Pozzi, Hula e Petra Scharbach. A dire al vero sembra poco a suo agio, ma fa quel che può in un ruolo molto spinto, per lui piuttosto insolito. La storia si racconta in poche righe, perché se togliamo le lunghe parti erotiche (ai limiti del porno) il soggetto è davvero ai minimi termini. Masè è Roberto, professore tuttologo (discetta di filosofia, storia, matematica, scienze...), al quale la matrigna Vanessa (Pozzi) affida le due figliastre Vivi (Hula) e Kikki (Petra), dopo la morte del marito. 



Non è per amore che Vanessa, interessata solo a sesso e denaro, si occupa delle ragazzine, ma glielo impone una clausola del testamento, se vuole godere il capitale lasciato dal marito. Il professore è una vecchia fiamma della bella matrigna, infatti - nel tempo libero - la coppia riprende un interessante discorso erotico interrotto alcuni anni prima. Le due ragazzine sono lolite provocanti, lesbicheggiano e insidiano il professore, cercando di portarlo nei loro letti. Va da sé che ci riescono, tra masturbazioni, pose provocanti, atteggiamenti tratti da Lolita di Kubrick, parole dolci e sguardi ammiccanti. 



I giochi erotici adolescenziali raggiungono il culmine della depravazione quando le ragazzine chiudono la matrigna nella sauna e la lasciano morire asfissiata. La polizia indaga e conclude che si è trattato solo di un tragico incidente. Pure il gioco erotico con il professore finisce nel sangue, l’uomo muore soffocato, ricoperto di miele e piume fatte uscire da numerosi cuscini. Il dialogo tra i poliziotti fa capire che Vivi e Kikki sono due pericolose psicopatiche uscite da un ospedale psichiatrico. Il regista compie un salto temporale e riporta lo spettatore all’inizio della storia, spiegando come tutto è cominciato. Un finale strano, abbastanza incompiuto, piatto e senza suspense come il resto del film.



Piero Vivarelli (Siena, 1927 – Roma, 2010) gira il suo ultimo film italiano, perché La rumbera (1999) - che ho visto in lingua originale - è cinema cubano a tutti gli effetti, prodotto da ICAIC. Vivarelli, infatti, è il solo italiano ad aver avuto la tessera del Partito Comunista Cubano, oltre ad aver vissuto lunghi periodi della sua vita sull’isola caraibica. Regista, paroliere, brillante sceneggiatore, si ricorda per Il dio serpente (1970) - con il lancio di Nadia Cassini e la conferma della moglie Beryl Cunningham - ma anche per Satanik (1967), Il decamerone nero (1974) e per un documentario su Enrico Berlinguer (1984).



La critica non si occupa molto di Provocazione. Paolo Mereghetti (una stella): “Vivarelli si adatta a un progetto soft-core che coinvolge tre attrici della scuderia di Riccardo Schicchi. Qualche tocco parodico non compensa la cagneria dell’insieme. Nessun successo all’epoca”. Marco Giusti (Stracult): “Thriller porno che segna il primo sconfinamento di Moana nel soft d’autore”. Intendiamoci: è un soft o è un porno? Noi lo sappiamo che è un film erotico, ma il critico romano non sembra avere le idee chiare. Prosegue Giusti: “Marino Masè è ormai inadeguato come stallone, ma le ragazze, soprattutto Moana e Petra, quando sono nude non sono affatto male”. Bel giudizio tecnico…



Provocazione - Erotic games è un giallo erotico, un blando thriller psicologico, così sbilanciato sul versante erotico da sembrare un porno tagliato. Girato su pellicola con buone intuizioni fotografiche, discrete panoramiche marine e un lungo piano sequenza iniziale, tra le scogliere e le strade assolate di Carloforte, Isola di San Pietro, sud ovest della Sardegna. Molti testi parlano di Favignana (Trapani), ma è il fotografo di scena Paolo Concas - da noi avvicinato - a confermare che  siamo in Sardegna. “Bellissimi ricordi col carissimo Stella e l’amico Carlotto, il mio primo lavoro come fotografo di scena”, conclude. Recitato piuttosto male da un Marino Masè del tutto fuori ruolo come professore erotomane e da tre “non attrici” come Pozzi, Hula e Petra, tutto sommato spontanee nei loro ruoli trasgressivi. Lo spettatore attende le scene erotiche che sono molto spinte, sia i rapporti omosessuali tra Hula e Petra come le sequenze hot interpretate da Masè e Pozzi. Tra tutte citiamo un rapporto sulla scogliera spiato dalle ragazzine voyeur, ben realizzato da un punto di vista registico e fotografico. Il tema della lolita provocante è ben sfruttato con citazioni da Kubrick, L’angelo azzurro e Nove settimane e mezzo, mentre il professore si destreggia tra Schopenauer e Leopardi. Hula orina davanti al mare e subito dopo masturba l’uomo, Petra allarga le gambe mentre lui spiega filosofia e mostra il seno mentre si lecca le labbra con la lingua vogliosa. Balli spinti, strip a tempo di Joe Cocker, tutto prelude alla morte della matrigna, pericoloso ostacolo da eliminare per soddisfare turpi voglie. 



La parte finale è ancora più estrema, dal funerale con le ragazzine in minigonna nera, al caviale leccato sul seno di Petra, per finire con il professore cosparso di miele e piume. I giochi erotici avrebbero giustificato un porno con la trama, ma Vivarelli si accontenta di un erotico spinto e riesce a coinvolgere un attore normale come Masè in una sceneggiatura davvero assurda. Vivarelli scrive e sceneggia con Patrizia Rosso, compare in un breve cammeo come avvocato. Presenta il film per ottenere il visto censura addirittura come Provocazione di Piero Vivarelli. Alla faccia dell’umiltà. Frase di lancio: “Stasera, svestitissima, per una provocazione in più, allo spettacolo delle ore 22.30, interverrà Moana Pozzi”. Un film che si può perdere, chiaro, ma un prodotto curioso, utile per capire un periodo storico del nostro cinema erotico. 

martedì 24 marzo 2015

Il romanzo di un giovane povero (1974)

di Cesare Canevari


Regia: Cesare Canevari. Soggetto: Cesare Canevari, libera riduzione cinematografica del romanzo omonimo di Octave Feuillet. Sceneggiatura e Dialoghi: Luigi Cozzi, Daniele Del Giudice, Alberto Penna, Cesare Canevari. Montaggio: Raffaele Modugno. Fotografia: Claudio Catozzo. Musiche: Gianfranco Reverberi. Edizioni Musicali: Tickle srl. Interpreti: Raffaele Curi, Maria Pia Giancaro, Sandro Quasimodo, Anna Zinnemann, Maria Pia Arcangeli, Tata Samar, Peter Lucas, Richard Harrison, Erna Schurer, Michela Cancemi, Enrico Marazzi, Franco Potron, Luigi Antonio Guerra, Alessandro Perella.

La versione di Ettore Scola

Il romanzo di un giovane povero (1858) è uno dei romanzi d’appendice più popolari e sfruttati di Octave Feuillet (1821 - 1890), lo scrittore francese che ha dato il nome a un genere: il feuilleton. Almeno quattro le versioni cinematografiche: la prima francese (1936) di Abel Gance, la seconda italiana di Guido Brignone (1942), fedele al romanzo ma molto teatrale con Nazzari e Boratto; la terza ancora italiana, nel 1974, di Canevari, forse la migliore di Ettore Scola (1995), con Sordi e Ferrari, ma poco fedele all’originale. La versione di Canevari - sceneggiata da Cozzi, Del Giudice e Penna - è molto fedele al tono del romanzo d’appendice ottocentesco, sentimentale e romantico, ricco di personaggi monodimensionali, fumettistici, privi di sfaccettature. La storia è nota. Un giovane marchese decaduto diventa amministratore di una nobile e ricca famiglia, s’innamora della bella figlia dei padroni di casa, promessa sposa a un turpe individuo, finisce per sposarla dopo aver affrontato tutte le prove imposte dalla struttura del feuilleton.

I due protagonisti Curi e Giancaro

I limiti della versione canevariana sono l’estrema povertà del contesto e la recitazione non eccelsa degli interpreti, soprattutto i due protagonisti Raffaele Curi e Maria Pia Giancaro. Richard Harrison è un credibile notaio, che nel finale si prende la soddisfazione di scazzottare il perfido promesso sposo e di strappare il contratto di matrimonio. Brava anche Erna Schurer. Cesare Canevari (Milano, 1927 - 2012) non amava il film, era più legato al genere erotico (Io, Emmanuelle, 1969, con Erika Blanc; La principessa nuda, 1975, con Ajita Wilson), al western violento (Matalo!, 1970) e al nazi erotico (L’ultima orgia del Terzo Reich, 1976). Vero che la sua cosa migliore resta il western Matalo!, una perla all’interno di una produzione modesta, ma qualcosa di buono troviamo anche ne Il romanzo di un giovane povero, prima di tutto una colonna sonora intensa e suadente, eseguita al piano, che imperversa per ogni sequenza, curata da Gianfranco Reverberi. Non male anche la fotografia pastello della campagna nordica che vorrebbe riprodurre la periferia di Parigi, anche se siamo soltanto in alta Lombardia. I dialoghi sono impostati e altisonanti, ma forse l’effetto feuilleton è ricercato, per restare fedeli il più possibile al testo originale. Canevari è un virtuoso dello zoom che usa a sproposito, oserei dire non se ne stacca mai, risultando eccessivo anche per il periodo storico. Il film è raccontato da una voce fuori campo che riproduce le pagine di diario del protagonista, molte soggettive, tanti primissimi piani e particolari degli occhi. La macchina da presa vaga da una sequenza all’altra alla ricerca di un’impossibile stabilità. 

Raffaele Curi

Alcune parti comiche smussano l’intensità della love story e si alternano alla lotta drammatica tra buono e cattivo per la conquista della bella, interrompendo le varie peripezie prima del trionfo dell’amore. Lieto fine assicurato e matrimonio sventato con un colpo di scena imprevedibile. Muore soltanto la serva, disperata per essere stata violentata dal perfido promesso sposo. Un romanzone d’appendice lontano dai gusti contemporanei che può trovare estimatori soltanto tra i consumatori di telenovelas brasiliane. La critica omette e distrugge. Per Mereghetti e Morandini esistono solo Scola, Gance e Brignone; Farinotti vede sesso dove c’è soltanto amore sdolcinato e concede due stelle; Giusti afferma che tra Canevari e Scola la differenza è poca (almeno per questo tipo di film). Onestamente se ne può fare a meno. Meglio rivedere Matalo!.




mercoledì 18 marzo 2015

Per ricordare Luciano Ercoli

Per ricordare un artigiano del nostro cinema di genere che ci ha lasciati proprio in questi giorni, un regista, produttore e sceneggiatore d’altri tempi: Luciano Ercoli. Un nome che al grande pubblico non dirà niente. Si firmava spesso André Colbert e aveva sposato l’affascinante Nieves Navarro, pure lei solita a usare uno pseudonimo: Susan Scott. Ricordiamolo rivedendo il suo primo film, un giallo intrigante con protagonista la moglie. 



Le foto proibite di una signora per bene (1970)
di Luciano Ercoli

Le foto proibite di una signora per bene è un thriller erotico ricco di elementi onirici e psichedelici, sceneggiato alla perfezione da Ernesto Gastaldi, girato con mano solida da Luciano Ercoli (Roma, 19 ottobre 1929 - 15 marzo 2015) e accompagnato dalla suggestiva colonna sonora di Ennio Morricone. La storia è basata su un insolito triangolo che compone la lista dei sospettati, ma regista e autori sono capaci di tenere alta la tensione narrativa fino all’ultima sequenza. Lo spettatore viene catapultato in un giallo hitchcockiano nel quale il colpevole potrebbe essere sia una moglie resa folle dalla depressione che vede ombre inesistenti, l’amica gelosa mangiatrice di uomini e persino un marito assassino a caccia di risarcimenti assicurativi. Un film moderno, invecchiato benissimo, che si guarda con piacere e che sarebbe interessante girare di nuovo con strumenti narrativi più espliciti, arricchendo la parte erotica. Dagmar Lassander è una stupenda moglie frustrata, irretita da un affascinante persecutore con cui instaura un rapporto sadomasochista, approfondito dalla scrittura filmica. Nieves Navarro è un’amica disinibita, spesso seminuda, donna moderna che anticipa i tempi della rivoluzione femminista. Pier Paolo Capponi è diligente in una parte ingrata da marito in crisi economica e affettiva. Non rivelo il finale perché il giallo è talmente ben fatto e il meccanismo della suspense è così ben strutturato che rovinerei il piacere della visione a chi decidesse di compare il dvd uscito negli Stati Uniti nel 2006, oppure di acquistare il film in rete. Un giallo erotico come non se ne fanno più, con il marchio italiano ben impresso nelle sequenze oniriche, negli intensi flashback morbosi e in numerose parti a rischio censura. Un film dal tono cupo, angosciante, a tratti perverso, persino claustrofobico, assolutamente da recuperare. L’introspezione psicologica è approfondita, soprattutto Dagmar Lassander fornisce un’interpretazione credibile di una donna controversa, affascinata dal suo stolker ma ancora innamorata del marito. Brava anche Nieves Navarro, stupenda in numerose sequenze hot e del tutto a suo agio in una parte non facile, visto il periodo oscurantista. La colonna sonora suadente di un Ennio Morricone - ancora non troppo famoso - prende per mano lo spettatore e lo fa precipitare in un crescendo di perversione e orrore. Cercatelo. Ne vale la pena. 



Luciano Ercoli è al primo film da regista, ma l’esperienza non gli manca perché frequenta il mondo del cinema dai primi anni Cinquanta come assistente e aiuto, successivamente produttore di western e film di buon successo popolare. Nieves Navarro è sua moglie ed è stato lui a lanciarla nel cinema italiano, mentre lo pseudonimo di Susan Scott è un'invenzione di Fernando di Leo. Usa molto lo zoom e inserisce alcune sequenze psichedeliche, ma sono mode dei tempi che - se storicizzate - si possono perdonare. La giovane critica considera molto Ercoli, autore di alcune opere giudicate “interessanti” da Roberto Poppi come La morte cammina con i tacchi alti (1971) e Troppo rischio per un uomo solo (1973). Ernesto Gastaldi, sceneggiatore del film, ci ha confidato: “Velasco è stato un grande sceneggiatore, ma in questo film la produzione spagnola ha usato il suo nome solo per motivi di coproduzione, non l’ho mai incontrato. Ercoli è una persona onesta, ha debuttato alla regia con questo mio script, se l’è cavata abbastanza bene ma s’è perso il legame sottile e perverso che doveva legare la vittima al suo carnefice; anche la scelta dell’attore non è stata quella che avrei fatto io”.


Luciano Ercoli con la moglie Nieves Navarro

Regia: Luciano Ercoli. Soggetto e Sceneggiatura: Ernesto Gastaldi, Mahnaén Velasco. Musica: Ennio Morricone. Fotografia: Alejandro Ulloa. Montaggio: Luciano Ercoli. Costumi: Gloria Cardi. Uscito in DVD USA (2006). Produzione: Italia/ Spagna. Produttori: Luciano Ercoli, José Frade, Alberto Pugliese. Case di Produzione: Produzioni Cinematografiche Mediterranee. Trebol Films C.C.. Genere: Thriller erotico. Durata: 93’. Colore. Interpreti: Dagmar Lassander (Minou), Nieves Navarro (Susan Scott) (Dominique), Pier Paolo Capponi (Pierre), Simon Andreu, Osvaldo Genazzani, Salvador Huguet.

sabato 14 marzo 2015

Per conoscere Luigi Scattini


Luigi Scattini (Torino, 17 maggio 1927 - Roma, 12 luglio 2010) si laurea in Giurisprudenza nei primi anni Cinquanta, non esercita alcun tipo di professione legale, ma si impiega come giornalista nelle redazioni dei settimanali Gente e Oggi. Il cinema è la forma d’arte che più l’appassiona, da un punto di vista teorico e pratico, impara il mestiere frequentando la bottega di Pietro Francisci e il set di Attila (1953), come assistente alla regia.


Luigi Scattini si dedica alla produzione di tre documentari, il primo di tipo industriale, gli altri due artistici: Immagini in cantiere (1953), Donatello (1955) e La città di Donizetti (1955). Nel 1962 il suo lavoro di non fiction La via del carbone viene presentato agli Oscar come miglior documentario.


Luigi Scattini si avvicina alla fiction, cominciando dal mondo movie, un genere ibrido tra realtà e finzione. Alessandro Blasetti è il precursore di una moda documentaristica che cerca di mostrare in maniera scientifica e distaccata il rapporto sessuale in tutte le sue implicazioni. Europa di notte (1959) rappresenta un passo in avanti rispetto al documentario anni Cinquanta che evitava con cura ogni aspetto salace e morboso. La pellicola è molto castigata, ma per la nostra Italia moralista e bacchettona è un vero scandalo e di conseguenza un grande incasso al botteghino. Molti registi italiani inseguono il successo di Europa di notte e cominciano a girare documentari che presentano riferimenti sessuali. Il tema è sempre lo stesso: si parte da scene vere, se ne aggiungono altre dichiaratamente false e si costruisce una pellicola con valenza erotica. Il mondo movie è un genere portato al successo da Gualtiero Jacopetti che fa scalpore con Mondo cane (1962), Mondo cane 2 (1963), La donna nel mondo (1963), Africa addio (1966) e Addio zio Tom (1972).


Il primo film da regista di Luigi Scattini, girato insieme a Mino Loy, è proprio il mondo movie erotico Sexy magico (1963) che tratta temi consueti: sesso, riferimenti a usanze regionali, abitudini e vizi erotici degli italiani. Il secondo film - il primo girato in totale autonomia - è L’amore primitivo (1964), un lavoro originale, a metà strada tra film a soggetto e documentario. Scattini è anche soggettista e autore del commento che accompagna le immagini. Jayne Mansfield è una bella antropologa spiata da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia mentre visiona un reportage sui costumi sessuali dei popoli primitivi. Franco Franchi e Ciccio Ingrassia si confrontano con il mondo movie, sono la cornice comica di un documentario sull’amore primitivo e interpretano un lavoro ricco di elementi sexy.


Il secondo film di Scattini è Due marines e un generale, ancora una volta interpretato da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, ma soprattutto dal grande Buster Keaton. Una pellicola comica che è un unicum in una produzione caratterizzata da documentario ed esotico - erotico. Non è la sua miglior pellicola, Scattini non è il regista più adatto per una farsa che cita il periodo d’oro del muto. Scattini, in ogni caso, studia a fondo le caratteristiche di Franchi e Ingrassia per adeguarle al genio di Buster Keaton (1895 - 1996). Il film resta di culto, anche se Roberto Provenzano lo definisce “squalificante” per il grande comico statunitense.


Luigi Scattini torna a girare pellicole a lui più congeniali con Duello nel mondo (1966) - firmato Arthur Scott - e La sfinge d’oro (1967), che la critica considera i suoi film migliori.


Duello nel mondo è un lavoro drammatico a tinte gialle con un finale a sorpresa degno del miglior thriller spionistico. Scattini racconta la storia di un investigatore che indaga sulle misteriose morti dei nuovi assicurati di una grande compagnia. Il protagonista si mette sulle tracce dei cadaveri, si difende da una misteriosa organizzazione che vorrebbe eliminarlo e insieme alla figlia di una delle vittime scopre un’incredibile verità. Protagonisti: Bernard Blier, Dominique Boschero, Richard Harrison, Sherill Morgan e Giacomo Rossi Stuart. La sfinge d’oro narra le avventure di un archeologo americano che per amore della scienza cerca la tomba del faraone Aposis ma è insidiato da colleghi privi di scrupoli. Un film turistico - avventuroso, girato tra Luxor e il Canale di Suez, che racconta la difficoltosa salvezza dell’archeologo da un complotto ordito ai suoi danni. La nipote e il fidanzato aiutano l’americano a uscire da una trama ordita dalla subdola amante, interessata ai tesori egizi. Il film vede protagonisti Anita Ekberg, Giacomo Rossi Stuart, Gianna Serra e Robert Taylor. Si ricorda per i tentativi di seduzione di Anita Ekberg - segretaria interessata al tesoro - nei confronti di Robert Taylor. Scritto da Bitto Albertini, un esperto del genere esotico - erotico, Adriano Bolzoni e Fabio Piccioni.


Svezia: inferno e paradiso (1967 - 68), vede Scattini impegnato come regista, soggettista, sceneggiatore e montatore. Il commento - opera di Scattini - è letto da Enrico Maria Salerno. Un film inchiesta sulle contraddizioni della società svedese, il lavoro maggiormente responsabile di aver mitizzato la libertà di costumi scandinava rispetto alla nostra arretratezza culturale. Ottima colonna sonora di Piero Umiliani (indimenticabile il motivetto Mah Na’ Mah Na’) e notevole fotografia di Claudio Racca. Un mondo movie che presenta lezioni di sesso a scuola, sexy shop e unioni tra consanguinei, ma al tempo stesso stigmatizza alcolismo, malessere esistenziale, violenza e alto tasso di suicidi giovanili. Ricordiamo un dibattito televisivo sul sesso e la sequenza dove si mostra una poliziotta impegnata ad arrotondare il magro stipendio impiegandosi come modella sexy. Pretese scientifiche modeste, quel che interessa è far uscire al cinema un po’ di nudi, perché - come voleva la vulgata - “le svedesi sono le donne più libere del mondo”. La Svezia era il sogno di tutti i maschi latini, sembrava una lontana mecca di libertà alla quale far riferimento per poter vedere in santa pace una donna nuda e magari conoscere una femmina disinibita. Il film incassa oltre un miliardo, un successo inaspettato che dimostra un diffuso bisogno di libertà sessuale.


Angeli bianchi… angeli neri (1969) è ancora un mondo movie diretto e montato da Scattini che affronta il tema della stregoneria contemporanea, magie vere o presunte di maghi, ipnotizzatori e ciarlatani. Ricordiamo la pregevole fotografia di Racca e le grandi musiche di Umiliani, ma anche una presenza di culto come Anton La Vey (Gran Sacerdote della Casa di Satana) che per la prima volta mostra la sua dimora. Enrico Maria Salerno è la voce narrante di un commento scritto da Alberto Bevilacqua, che ci fa conoscere cimiteri profanati, messe nere e magia bianca brasiliana. Molti sabba fasulli, parecchio nudo, moralismo e citazioni jacopettiane per un tentativo - solo in parte riuscito - di bissare il successo svedese.


Luigi Scattini è un abile montatore, per questo nel 1970 viene chiamato a collaborare in tali vesti con Bitto Albertini per I vendicatori dell’Ave Maria. Torna a lavorare in coppia con Mino Loy nel 1970 - 71 per produrre Questo sporco mondo meraviglioso, di cui è soggettista, sceneggiatore e montatore, una pellicola che riprende la formula lanciata da Jacopetti in Mondo cane. I vizi segreti della donna nel mondo (1971) vede Scattini sfoggiare lo pseudonimo di Silvano Secelli, ancora una volta regista, soggettista, sceneggiatore e montatore. Il modello è di nuovo Gualtiero Jacopetti, un mondo movie di pura imitazione che cita il ben noto La donna nel mondo.


Luigi Scattini passa alla fiction esotico - erotica con La ragazza dalla pelle di luna (1972), interpretato da un’affascinante Zeudi Araya, Miss Eritrea, ma anche dalla bionda Beba Loncar e da Ugo Pagliai e Giacomo Rossi Stuart (un attore amato da Scattini). Luigi Scattini non si limita alla regia, ma scrive il soggetto e lo sceneggia, oltre a occuparsi del montaggio. Loncar e Pagliai sono una coppia in crisi che cerca di ritrovare la passione dei primi tempi durante una vacanza alle Seychelles, ma il rimedio è peggiore del male perché il marito s’innamora di un’intrigante indigena (Araya) e la moglie lo tradisce con uno scrittore (Stuart). In ogni caso i reciproci tradimenti finiscono per ricomporre la coppia. Il titolo del film è noto come soprannome della bella Zeudi Araya, lanciata proprio grazie a questo lavoro, la cui struttura è stata imitata più volte dai registi del cinema bis italiano. Tra tutti questi prodotti che rasentano il plagio citiamo La ragazza dalla pelle di corallo (1975) di Osvaldo Civiriani, interpretato da Norma Jordan e Gabriele Tinti a Santo Domingo.


La ragazza fuoristrada (1973) è un erotico puro, scritto, diretto e montato da Scattini. Sceneggiatura di Leo Chiosso e Gustavo Palazzo. Zeudi Araya è l’interprete principale, al secondo film (non il primo come affermano Mereghetti nel Dizionario e Giusti su Stracult) ma troviamo anche Luc Merenda, Lucretia Love (Anna Morganti), Martine Brochard, Giacomo Rossi Stuart, Caterina Boratto, Tony Kendall (Luciano Stella) e Franco Ressel. Luc Merenda è un pubblicitario che ritorna a Ferrara con la bella Araya conosciuta in Nubia, la sposa, ma poi crede agli amici invidiosi che gli raccontano un’improbabile storia di corna. Un film sulla provincia che dipinge a tinte forti ipocrisia e razzismo, ma anche tutta la grettezza di chi vive ai margini del mondo. Non ci sono grandi nudi, si ricordano le musiche di Piero Umiliani, le canzoni Oltre l’acqua del fiume e Maryam, cantate da Zeudi Araya e Ritornerai di Bruno Lauzi, interpretata da Ornella Vanoni. Atmosfere decadenti di una provincia padana.


Il corpo (1974) è il terzo film che Scattini sceneggia e dirige con protagonista l’affascinante Zeudi Araya al culmine del suo splendore. Non fa tutto da solo, ma è importante la collaborazione di Felisatti e Pittorru. Piero Umiliani e le sue immancabili musiche conferiscono un tono suadente a un esotico - erotico girato alle Antille, interpretato da Enrico Maria Salerno, Leonardo Manzella e Carrol Baker. Mereghetti non a torto definisce il film “una variazione tropicale de Il postino suona sempre due volte”, un triangolo erotico tra Salerno, la sua donna (Araya) e l’altro (Manzella), con l’inserimento della moglie di quest’ultimo (Baker).


In questo periodo Scattini si occupa di produzione, realizzando due film d’autore come Fatti di gente per bene di Mauro Bolognini (1974) e Divina creatura (1975) di Giuseppe Patroni Griffi. Luigi Scattini conclude una breve ma intensa carriera con La notte dell’alta marea (1977) e Blue Nude (1977), scritti e sceneggiati in prima persona.


La notte dell’alta marea è cinema letterario tratto da Il corpo di Alfredo Todisco, come sempre musicato dal grande Umiliani e fotografato da Frattari. Aiuto regista l’attore feticcio di Scattini, Giacomo Rossi Stuart (anche interprete), per un film prodotto da Carlo Ponti con capitali canadesi, interpretato da Anthony Steel, Annie Belle, Pam Grier, il fumettista Hugo Pratt, Gerardo Amato e Alain Montpetit. Marco Giusti lo definisce un porno esotico, ma si tratta del solito esotico erotico ambientato nella Martinica che racconta la storia di un cinquantenne innamorato di una ragazzina e il solito triangolo che prevede un terzo incomodo. Molto nudo e un film piuttosto spinto con Annie Belle protagonista assoluta della parte sexy.


Blue Nude vede all’opera Gerado Amato, Susan Elliott (Suzanne McBain), l’immancabile Giacomo Rossi Stuart (con lo pseudonimo di Jack Stewart) e la figlia del regista - per la prima e unica volta diretta dal padre - Monica Scattini. Amato è un aspirante attore che a New York interpreta film porno e viene scritturato da locali equivoci dove si esibisce in strip maschili. Alla fine si mette in testa di girare un personale remake di Taxi Driver di Martin Scorsese. Mondo movie erotico, cinema nel cinema, porno che si trasforma in snuff anticipando i tempi, moralismo e luoghi comuni. Ricordiamo alcune comparsate di attori porno: Robert Kerman, Wade Nichols, Mona Sands, Jill Turner. Scattini scrive il film con la collaborazione di Vittorio Schiraldi. Piero Umiliani, ancora una volta, musicista di fiducia.


Luigi Scattini lascia il mondo del cinema subito dopo aver collaborato alla sceneggiatura di Goya (Goya ven Burdeos), un film di Carlo Saura. Regista di buon mestiere, lo ricordiamo anche come padre dell’attrice Monica Scattini e come direttore di un gruppo di doppiaggio. Negli anni Ottanta abbandona la regia per dedicarsi alle edizioni italiane dei film stranieri come dialoghista e direttore del doppiaggio. Muore a Roma il 12 luglio del 2010, all’età di 83 anni. La figlia Monica muore cinque anni dopo, il 4 febbraio del 2015, a soli 59 anni.

domenica 8 marzo 2015

L’erotomane (1974)

di Marco Vicario



Regia: Marco Vicario. Soggetto e Sceneggiatura: Marco Vicario. Montaggio: Nino Baragli. Fotografia: Giuseppe Rotunno. Colore: Technicolor. Musiche: Riz Ortolani. Direttore di Produzione: Giorgio Morra. Scenografia: Luciano Spadoni. Arredamento: Massimo Tavazzi. Costumi: Luca Sabatelli. Aiuto Regista: Maurizio Mein. Assistente alla regia: Stefano Vicario. Operatore alla Macchina: Cesare Allione. Fonico: Raoul Montesanti. Fotografo di Scena: Gianni Vino. Teatri di Posa: De Paolis (Roma). Sincronizzazione: CDS. Doppiaggio: CD. Mixage: Franco Bassi. Canzone: You give to me, eseguita da Lighthouse. Casa di Produzione: Atlantica Produzioni Cinematografiche (Roma). Distribuzione. Medusa. Interpreti: Gastone Moschin, Janet Agren, Silvia Dionisio, Isabella Biagini, Jacques Dufilho, Paola Senatore, Milena Vukotic, Neda Arneric, Maria Antonietta Beluzzi, Vittorio Caprioli, Jacques Herlin, Ugo Fangareggi, Loredana Martinez, Carla Brait, Livio Galassi, Giacomo Rizzo, Claudia Caminito, Mario Colli, Eugene Walter, Andrea Scotti, Mario Danieli, Paolo Paoloni, Luigi Antonio Guerra, Rosita Torosh, Mauro Vestri, Edoardo Florio, Gaetano Scala, Ettore Bevilacqua, Franco Beltrame, Luigi Origine Soffrano (Jimmy il Fenomeno).


Marco (Renato) Vicario (Roma, 1925), diplomato in recitazione al Centro Sperimentale, attore di buon livello dal 1950 al 1958, decide di cambiare nome di battesimo per evitare confusione con altro interprete. Produttore dal 1958 con la sua Atlantica Film, soggettista, sceneggiatore e regista di un buon numero di pellicole, anche di un certo successo commerciale. Tra i lavori più interessanti: Sette uomini d’oro (1965), Il grande colpo dei 7 uomini d’oro (1966), Homo eroticus (1971), Paolo il caldo (1973) - così noto che Ciccio Ingrassia realizzò Paolo il freddo interpretato da Franco Franchi -, Mogliamante (1977) e Il cappotto di astrakan (1979). Il suo ultimo film è il modesto Scusa se è poco (1982). Marito dell’attrice Rossana Podestà, padre dei registi televisivi Stefano (assistente alla regia ne L’erotomane) e Francesco, ancora attivo (pare) in Francia, nel campo della pubblicità.


L’erotomane esce in un periodo di gran spolvero per la commedia erotica e vorrebbe completare un ciclo cominciato bene con Il prete sposato (1970), proseguito meglio con Homo eroticus e Paolo il caldo, ma non possiede la stessa verve comica, non dispone di un attore adatto al ruolo come Lando Buzzanca, né di un Marcello Giannini calato nella parte di assatanato sessuale. Intendiamoci, Gastone Moschin è molto bravo, si dà un gran da fare, ma spesso risulta ingessato nelle caratterizzazioni tipiche della commedia sexy. Un cast femminile stellare pare, invece, quasi sprecato, perché alcune attrici (Senatore, Dionisio…) sono sottoutilizzate. 


La trama - soggetto e sceneggiatura sono del regista - non è il massimo dell’originalità, quasi un canovaccio ripetitivo con soluzioni pensate per presentare sequenze piccanti. Gastone Moschin è un affarista di pochi scrupoli che imbastisce una speculazione petrolifera approfittando della crisi energetica. Vittorio Caprioli è il politico corrotto che gli spiana la strada verso il successo in cambio di tangenti. Il problema più grave dell’industriale è l’impotenza che lo perseguita da sei mesi, proprio da quando ha raggiunto il massimo in campo economico. Non riesce ad avere rapporti né con la bella moglie (Agren), né con la giovanissima amante (Dionisio), in compenso sogna di far l’amore nei modi più strani e nei momenti più impensati. Lo psichiatra Dufilho (il noto colonnello Buttiglione) cerca di aiutarlo facendolo regredire ai traumi infantili, ma ogni tipo di consiglio sembra inutile. 


La salute dell’imprenditore peggiora sempre di più e non serve convincere la moglie ad amoreggiare con l’idraulico (Fangareggi), né organizzare un rapporto di gruppo con l’onorevole Caprioli e la sua enorme signora (Beluzzi). Tra le tante presenze femminili ricordiamo la sexy cameriera Neda Arneric, posseduta in terrazza, che provoca scandalo e fa intervenire la polizia, ma anche Isabella Biagini (collega) a bordo di un auto in un drive-in e Paola Senatore nelle vesti di una sexy - politica. Il finale vede il rinnovato vigore del protagonista dopo aver rivissuto - in tutti i sensi - un trauma infantile ed essere stato operato. Ma non è finita, perché l’eccessiva foga erotica provoca un nuovo trauma e una vera e propria impotenza, questa volta definitiva, che sfocia in una dichiarata omosessualità.


L’erotomane è un film più citato che visto, perché quasi tutti i testi di cinema consultati equivocano la trama. Persino Il Mereghetti (una stella e mezzo): “Un cinico avvocato sfoga la sua impotenza sessuale diventando uno spregiudicato affarista, mentre tutte le cure per recuperare la virilità sono vane. Solo lo shock di sapersi cornuto lo sblocca e lo trasforma in un forzato del sesso a tutti i costi. Classica commediola, neanche troppo originale, che scivola verso il genere pecoreccio”. Non ha visto il film neppure Pino Farinotti (due stelle): “In seguito ad uno choc infantile, il cavalier Persichetti è diventato impotente. Per guarire le tenta tutte, ma soltanto nel vedere la moglie a letto con un altro riesce a “sbloccare” il vecchio trauma. Da quel momento in poi diventerà un maniaco sessuale”. Morando Morandini non cita neppure l’esistenza del film, mentre Marco Giusti (Stracult) - tra tante piacevolezze - azzecca il finale giusto: “Tentativo non troppo riuscito di trasformare Moschin in erotomane alla Buzzanca. Purtroppo Moschin, nei panni di un marito impotente con la moglie Janet Agren e assatanato di tutte le altre (sic!) non riesce a costruirsi un personaggio popolare come quello buzzanchiano e la sua performance finisce per funzionare contro il successo del film. Alla fine diventa impotente per davvero”.


L’erotomane non è un grande commedia sexy, i tempi comici sono modesti, le sequenze piccanti lasciano a desiderare e molti attori risultano sprecati in caratterizzazioni banali. Milena Vukotic è tra le interpreti più brave nei panni di una segretaria quasi violentata da un Moschin in preda a raptus erotico. Le sequenze più sexy sono interpretate da Neda Arneric, cameriera provocante, spesso nuda sulla terrazza di un palazzo romano, in preda alle voglie del nostro erotomane. Janet Agren non è da meno, sia con Moschin che con l’infoiatissimo idraulico Fangareggi, forse in una delle interpretazioni più hot della sua carriera. Silvia Dionisio si vede in poche sequenze come amante post sessantottina in mezzo a un gruppo di studenti universitari; divertente la felliniana Beluzzi, per la mole imponente, che ricordiamo durante un tentativo di amore di gruppo. 


Le trovate comiche restano ai minimi storici e non basta un pizzico di critica politica, un accenno alla corruzione e alla crisi energetica per risollevare dal grigiore generale un lavoro modesto. Il doppio finale è un’altra trovata inutile che rende ancora più farsesco il tono del film. Trovata da cartoon: gli orecchi di Moschin che si muovono come antenne quando si attiva il suo istinto da erotomane. Da salvare le parti oniriche, i sogni erotico - avventurosi a base di odalische (Brait), predoni, sceicchi, emiri e petrolio che sgorga dal sottosuolo. Vicario ha fatto di meglio.