martedì 5 maggio 2015

E la chiamano estate (2012)

di Paolo Franchi 


Regia: Paolo Franchi. Durata: 97’. Soggetto: Paolo Franchi. Sceneggiatura: Paolo Franchi, Rinaldo Rocco, Daniela Ceselli, Heidrun Schleeff. Fotografia: Cesare Accetta, Vincenzo Carpineta. Montaggio: Alessio Doglione, Paolo Franchi. Musiche: The Tube, Matteo Ceccarini. Tema Musicale: Philippe Sarde. Scenografia: Gianmaria Cau. Costumi: Alessandro Lai. Trucco: Daniela Scumaci. Produttore: Nicoletta Mantovani, Sonia Raule. Case di Produzione: Pavarotti International 23, A-movie Productions. Distribuzione: Officine Ubu. Interpreti: Jean-Marc Barr (Dino), Isabella Ferrari (Anna), Filippo Nigro (scambista), Caterina Valente, Eva Riccobono (prostituta sfregiata), Luca Argentero (Alessandro), Romina Carrisi (Chiara), Annarita Del Piano, Christian Burruano (amante di Anna), Jean-Pierre Lorit (ing. Laurani), Anita Kravos (seconda prostituta), Maurizio Donadoni (Carlo). Genere: Drammatico/ Sentimentale. Premi: Marc’Aurelio d’Oro per miglior film al Festival internazionale del Cinema di Roma 2012.


Paolo Franchi (1969) è un giovane regista che studia alla scuola di Ermanno Olmi, frequenta corsi tenuti da Loy, Arlorio e Bolognini, da sempre affascinato da tematiche care ad Antonioni, debutta con il corto La storia che segue (1994), prosegue con il mediometraggio Frammenti di sapienza (1996) e convince la critica con il primo lungometraggio: La spettatrice (2003), interpretato da Barbara Bobulova. Il secondo lavoro, Nessuna qualità agli eroi (2007), è un tentativo abbastanza riuscito di fondere noir e cinema d’autore, ambientato in una fredda Torino e interpretato da Elio Germano. E la chiamano estate (2012), prodotto con il contributo di Apulia Film Commission, girato in Puglia, tra Bari, Monopoli, Ostuni e Fasano, vince la settima edizione del Festival del Film di Roma. Distribuito da Officine Ubi, esce in una ventina di sale italiane il 22 novembre 2012, con il divieto ai minori di anni 14. Pubblico e critica non lo comprendono. Resta un film interessante, con tutti i suoi limiti e soprattutto le eccesive ambizioni rispetto ai risultati raggiunti. Il titolo ricalca l’omonimo successo canoro di Bruno Martino (estate 1965), la canzone che scorre sui titoli di testa e sulle prime sequenze.


E la chiamano estate è una storia d’amore non convenzionale, la descrizione per immagini di un rapporto trasgressivo. Dino (Barr) e Anna (Ferrari) sono due quarantenni che vivono un amore complesso e difficile, lei è molto innamorata, ma lui non vuol saperne di rapporti sessuali, che riserva per incontri notturni con prostitute e amici frequentatori di locali per scambisti. Dino incontra persino gli ex fidanzati di Anna, chiede che tipo di rapporto avevano con la compagna, li invita a contattarla di nuovo, a farci l’amore come un tempo. Dino soffre una specie di malattia a sfondo sessuale, non può fare a meno di cercare rapporti occasionali, tra prostitute sfregiate, amici che offrono la moglie per un rapporto a tre, incontri di una notte in un locale. Ama profondamente Anna, ma non riesce a vivere con lei un rapporto erotico ordinario. A un certo punto la donna cede alla corte di un giovane spasimante e ci finisce a letto in un alberghetto, ma dopo un paio di incontri si sente in colpa e lo abbandona. Finale tragico, che ricorda - a parti invertite - identica conclusione de La ragazza di Trieste (1982) di Pasquale Festa Campanile, con l’uomo che entra in mare per suicidarsi.


E la chiamano estate da un punto di vista tecnico è un buon film, costruito su dialoghi letterari - anche se ripetitivi -, immagini suadenti accompagnate da una languida colonna sonora a base di trombe e piano che conferisce al lavoro un tono cupo, da melodramma sentimentale. Molta esibizione sessuale, dissolvenze oniriche, tecnica originale delle foto che scorrono insieme ai ricordi, fotografia scura, crepuscolare, a base di notturni meridionali del lungomare pugliese. Il leitmotiv del film è una lettera nella quale Dino si confessa, dichiarandosi consapevole dei suoi limiti e dei molti difetti, ma al tempo stesso sa che non può fare a meno di condurre una vita a base di eccessi erotici. “L’uomo che hai di fronte è soltanto l’ombra di se stesso. Non lo renderai migliore di quello che è. Continuerà a fare ciò che ha sempre fatto. Ti sto facendo del male. Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di noi, se io non fossi stato quello che sono”, scrive.


Il racconto procede per soggettive del protagonista, flashback intensi, lunghi silenzi e dialoghi in campo e controcampo. Il regista ha studiato la lezione di Antonioni, il problema è che ripete spesso le stesse cose, replicando più volte identiche sequenze, forse per cercare di raggiungere il metraggio minimo. Tutto si svolge nel ricordo, tra molte immagini di rapporti sessuali e una Ferrari insolitamente nuda che esibisce senza remore il sesso mentre riposa sul letto.


Franchi vince il premio per la miglior regia al Festival del Film di Roma, tutto sommato lo merita, perché la sua indagine della disperazione di un uomo incapace di amare è condotta in modo originale, con soluzioni tecniche mai scontate e per niente banali.  Concordiamo meno per il premio a Isabella Ferrari come miglior attrice, perché l’abbiamo vista sfoggiare per tutta la pellicola la stessa espressione costernata e tragica. Molto meglio Jean-Marc Barr, vero protagonista del dramma erotico, oltre a non dimenticare Eva Riccobono nei panni della prostituta sfregiata. E la chiamano estate non è un capolavoro, in parte è un’occasione mancata, ma serve a confermare un talento del registico. In questi tempi cupi per il povero cinema italiano non è davvero poco.

Pubblicata su Futuro Europa: http://www.futuro-europa.it/

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