giovedì 21 aprile 2016

Filo d'Arianna (2016)

di Stefano Simone


Italia, 2016, col., 7’. Regia: Stefano Simone. Interpreti: Vincenzo Segreto, Stefano Contestabile, Vittoria Guerra, Miriana Potenza. Musiche: Luca Auriemma. Post-produzione: Stefano Simone. Ideatori e coordinatori: docenti Anna Rita Attanasio, Fabio Mazzamurro. Formato: 16:9 (2.35:1). Audio: Stereo Pcm.

Stefano Simone continua a produrre materiali interessanti, ben girati e fotografati con giochi di luci nitide e pulite, accompagnati dalla musica ben riconoscibile di Luca Auriemma. Il regista pugliese ha affinato il suo stile e ha raggiunto una competenza tecnica tale da farne un autore interessante, in grado di spiccare il volo verso narrazioni mature e approfondite. Noi che conosciamo sin dai tempi di Cappuccetto Rosso (una fiaba horror ambientata nei boschi del Piemonte), addirittura dai primi videoclip amatoriali e dai corti giovanili fatti in casa, notiamo una crescita costante. Lungometraggi come Kennet - un thriller di provincia - e Gli scacchi della vita (un fantastico d’impostazione bergmaniana), passando per Unfacebook, simboleggiano un lavoro continua di ricerca e di perfezionamento. Non dimentichiamo Una vita nel mistero, a metà strada tra il realismo e il fantastico, cinema religioso condito di momenti onirico - esistenziali. Filo d’Ariana è un cortometraggio di soli 7’, realizzato per l'I.I.S.S. "Rotundi-Fermi" di Manfredonia per l'iniziativa Settimana dell’educazione - la scuola adotta l'aula. Il breve video verrà proiettato - in anteprima nazionale - mercoledì 27 Aprile, alle ore 20, in Piazza del Popolo, a Manfredonia, in occasione della chiusura della manifestazione. Abbiamo avuto l’opportunità di vederlo in anteprima e - pur nella brevità del contesto - abbiamo apprezzato lo stile inconfondibile di Simone, la fotografia luminosa, le riprese dal taglio rapido e moderno, accompagnate da un commento musicale suggestivo. Simone riprende il mondo dei giovani con l’ausilio di immagini in concitato movimento e racconta la scuola contemporanea, in una provincia meridionale, a contatto con la propria realtà cittadina. Non servono parole o dialoghi per trasmettere concetti importanti, basta la semplice visione di un ragazzo che affronta e supera i problemi con una piroetta a bordo del suo skateboard. E poi ci sono i giovani con la loro vita, lo studio, la scuola, la lettura, i social network, tutto in collegamento vitale con il mondo circostante. Non didascalico, anche se un video a progetto, ma foriero di buoni propositi per la crescita intellettuale delle nuove generazioni.

Per vedere il breve filmato: https://m.youtube.com/watch?feature=youtu.be&v=SnRtWVakSmc

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martedì 12 aprile 2016

Il lungo giorno del massacro (1968)

di Alberto Cardona
 
 
Regia: Alberto Cardona (Albert Cardiff). Soggetto: Mario Gariazzo. Sceneggiatura: Mario Gariazzo, Alberto Cardone, Armando Morandi. Scenografia: Oscar Capponi. Montaggio: Alberto Cardone. Fotografia: Aldo Greci. Musiche: Michele Lacerenza. Arrangiamenti: Umberto Pregadio. Pellicola: Eastmancolor/ Ultrascope. Produttore: Armando Morandi. Casa di Produzione: Vivian Film (Roma). Distribuzione: La Metis Film. Interni: Stabilimenti De Laurentiis (Roma). Interpreti: Peter Martell (Pietro Martellanza) (Joe Williams), Glenn Saxson (Evans), Manuel Serrano (Pedro la Muerte), Liz Barret (Luisa Baratto) (Linda), Daniela Giodano (Paquita), Franco Fantasia (il giudice), Ralph Webb, Andrea Fantasia, Gaetano Imbrò, Ugo Adinolfi. 
 
La locandina francese
 
Alberto Cardona gira uno dei suoi ultimi western con il consueto pseudonimo di Albert Cardiff, cura il montaggio e in parte anche la sceneggiatura, adattando - con il produttore Morandi - un soggetto ai minimi termini di Mario Gariazzo (pure lui sceneggiatore). Tre teste e sei mani per partorire uno dei più scadenti e scontati spaghetti-western della storia, una via di mezzo con il tortilla-western per la presenza dei banditi messicani. Si narra la storia di Joe Williams (Martellanza), sceriffo dai metodi spicci, accusato dal giudice (Fantasia) di uccidere i delinquenti invece di arrestarli e rimosso dall’incarico a favore del vice sceriffo Evans (Saxson). Il soggetto del film sta tutto nella fuga di Joe e nella sua guerra privata contro una banda di feroci messicani, capitanata da Pedro la Muerte (Serrano) e dalla sua donna Paquita (Giordano), che vogliono recuperare un bottino di dollari nascosti dallo sceriffo. Tra cavalcate interminabili, sparatorie e cazzottate con poco senso, si arriva a un finale piatto e privo di suspense che vede lo sceriffo riabilitato tornare al paese insieme al suo vice, che ha appena salvato da un agguato.
 
Pietro Martellanza, certo Peter Martell fa un altro effetto...
 
Poco memorabile, a parte la nota di merito di aver ambientato un film western nelle campagne romane, smascherate dal famoso laghetto con cascate di Manziana, luogo storico del cinema bis. Girato con pochi soldi ma ancor meno fantasia, in fretta e furia, al punto da sembrare un film senza sceneggiatura, improvvisato durante la lavorazione sulla base di un modesto canovaccio. Molte le parti convenzionali e ripetitive così come sono interminabili le sequenze a cavallo e le cazzottate tra rivali. Daniela Giordano ricopre un ruolo interessante, come donna del cattivo, pure lei perfida quanto basta perché ogni volta si occupa di incitare gli uomini della banda a violentare e uccidere la donna di turno. Il regista la presenta nelle prime sequenze in una posa sexy, camicetta rossa e gonna corta, insolita per un western, così come non è consueto che una donna abbia un ruolo negativo all’interno di una banda criminale.
 
 
Luisa Baratto, in arte Liz Barret
 
Altra sequenza originale vede Paquita strappare le vesti a Linda - la donna di Joe - per indurre lo sceriffo a parlare. Fine dei pregi, perché gli attori non sono in gran forma, Saxson e Serrano hanno fatto di meglio, Martellanza pare completamente fuori ruolo, Fantasia è un giudice diligente. Musica ridondante ed eccessiva ma tutto sommato ben arrangiata, pure se spesso copre i dialoghi e non assicura la dovuta tensione. Alcuni pregi tipici del western italiano: vento, polvere, realismo della vita dei villaggi, il cialtrone che vende elisir di lunga vita, il vecchietto tipico e un’atmosfera abbastanza azzeccata. Mancano del tutto suspense narrativa e tensione, così come l’originalità è quasi inesistente. Ogni sequenza ha il sapore del già visto.
 
Ancora Liz Barret con Glen Saxson
 
La critica. Paolo Mereghetti (una stella): “Un ex sceriffo dai metodi brutali è accusato ingiustamente dell’omicidio di una coppia di agricoltori: saprà dimostrare coi fatti la propria innocenza. Western all’italiana modesto e scontato”.  Non è proprio questa la storia, forse il critico milanese non ha fatto la fatica di vedere il film, ma le conclusioni sono condivisibili. Conferma una stella Morandini, anche se indica con due stelle il giudizio del pubblico, ché nelle sale di terza visione certi film andavano forte. Pino Farinotti è come sempre il più buono e concede due stelle, senza motivare. Matteo Mancini (Spaghetti Western vol. 3 - Il mezzogiorno di fuoco del genere): “Girato in fretta e furia da Cardone con capitali modesti e un cast ridotto all’osso. Nulla di nuovo per quello che viene considerato da tutti un western poco riuscito. Visto da pochissimi. Quarta serie, nulla a che vedere con i primi western di Cardone”.
 
Daniela Giordano, non in questo film
 
Alberto Cardone (Genova, 1920 - Roma, 1977) comincia a lavorare nel cinema a 22 anni, come aiuto di Cristian-Jacques, fino al 1966 collabora con autori del calibro di John Brahm, Duvivier, De Toth, Bernhardt, Wyler e Fleischer. Ispettore di produzione, montatore, documentarista, debutta alla regia nel 1964, per i primi film di supporto a colleghi tedeschi. Firma alcune pellicole di genere - di solito con lo pseudonimo anglofono Albert Cardiff - soprattutto spaghetti-western, tecnicamente buoni, pur se non molto originali. Muore dimenticato a soli 57 anni, anche se in vita era apprezzato anche all’estero per le sue doti tecniche.

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lunedì 11 aprile 2016

Il cinema di Claudio Caligari

Il cinema di Claudio Caligari: Il Foglio, 2016 - il cinema italiano d’autore è passato, passa e passerà anche (soprattutto) dalle filmografie talentuose e divergenti di autori come Claudio Caligari.

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lunedì 4 aprile 2016

Graffiante desiderio (1993)

di Sergio Martino

 
Regia: Sergio Martino. Soggetto e Sceneggiatura: Sergio Martino, Maurizio Rasio. Fotografia: Giancarlo Ferrando. Montaggio: Eugenio Alabiso. Musiche: Natale Massara. Scenografia: Stefano Massimo. Costumi: Silvio Laurenzi. Genere: thriller erotico. Durata: 97’. Interpreti: Vittoria Belvedere (Sonia), Ron Nummi (Luigi), Andrea Roncato (dr. Fabbri), Serena Grandi (Marcella Fabbri), Simona Borioni (Cinzia), Serena Bennato (Giuliana), Barbara Cavallari, Alessia Franchini, Riccardo Perrotti, Viviana Polic.

 
Sergio Martino (Roma, 1938), fratello del produttore Luciano (Napoli, 1933 - Malindi, 2013), è una gloria del nostro cinema di genere che frequenta in tutte le sue sfaccettature. Thriller erotici con Edwige Fenech (Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave, 1972), commedia sexy (Giovannona coscialunga disonorata con onore, 1972, ma anche Cugini carnali, 1973, Occhio malocchio prezzemolo e finocchio, 1983), poliziottesco (Milano trema: la polizia vuole giustizia, 1973), fantastico (L’isola degli uomini pesce, 1978), avventuroso (La montagna del dio cannibale, 1978), noir (Morte sospetta di una minorenne, 1975), persino western (Mannaja, 1977) e lacrima movie (La bellissima estate, 1974). Si ricorda per aver diretto Gigi Sammarchi e Andrea Roncato in alcune pellicole surreali nel momento del successo televisivo, ma anche come regista de L’allenatore nel pallone (1984), che nel 2008 riporta al cinema con un dimenticabile remake, purtroppo suo ultimo film. Molta televisione, una volta conclusa l’attività per il grande schermo con due thriller erotici che ricordano i primi tempi, ma senza attori come Fenech, Hilton e Rassimov.


Spiando Marina (1992) - firmato George Raminto - e Graffiante desiderio (1993) sembrano due pellicole gemelle per genere, tecnica di regia, fotografia da prodotto televisivo, ambientazione e colonna sonora. Spiando Marina vive sull’intensa performance erotica di Debora Caprioglio, reduce dal successo di Paprika (1991), e su un’atmosfera di tensione che conduce a un imprevedibile colpo di scena finale.


Graffiante desiderio (1993) presenta una protagonista meno dotata come Vittoria Belvedere - che in seguito farà molta fiction televisiva e poche pellicole - e un interprete maschile che non va oltre un’espressione monocorde, qualunque cosa accada. Meglio i comprimari Serena Grandi e Andrea Roncato (citazione vivente dei trascorsi registici), più spontanea la prima nelle sequenze erotiche e ben calato nella parte il secondo anche se migliore nei ruoli comici. In breve la trama. La cugina venezuelana Sonia (Belvedere) irrompe nella vita di Luigi (Nummi) per sconvolgerla, ne diventa amante e manda all’aria il previsto matrimonio borghese con Cinzia (Borioni). Luigi scopre che Sonia non è sua cugina carnale (citazione involontaria di un vecchio film del regista) e si sente libero di stringere una relazione che lo distruggerà. La ragazza è schizofrenica, ha ucciso i genitori e giorno dopo giorno tenta di eliminare il suo uomo. Le trasgressioni si susseguono alle trasgressioni. Furti, rapine, scambi di coppie, amore di gruppo, tradimenti, persino cannibalismo. Il finale è intenso e ricco di colpi di scena, tanto da far definire il film un thriller a tinte horror, corredato da molte sequenze erotiche.


La critica ufficiale demolisce sia Spiando Marina che Graffiante desiderio, ma è troppo drastica. Per Mereghetti, Graffiante desiderio è “un Pornosoft sadomaso d’interesse nullo, con una ruspante femme fatale nostrana che crede di rivaleggiare con la Sharon Stone di Basic Instict”. Parlare di porno soft è una contraddizione in termini, ché il film è un erotico soft che non scade mai nel porno; condivisibile un’ispirazione al modello nordamericano ma le strade percorse sono diverse e - se si vuole - molto più estreme. Basti pensare al pasto cannibalico inconsapevole dopo il rapporto a tre ma anche al violento e imprevedibile finale. Certo, due attori migliori di Belvedere e Nummi avrebbero fatto la differenza, contribuendo a rendere più efficace una sceneggiatura non banale che a tratti risente di pochi dialoghi artefatti. Pessima la colonna sonora a base di musica sintetica, buona la fotografia di una Rimini cupa e glaciale, perfetto scenario di una follia di provincia. In ogni caso, lo stesso Mereghetti parla di  “ridicolo involontario” e di “totale inespressività della Caprioglio”, riferendosi a Spiando Marina, film che presenta dei difetti (interprete maschile, colonna sonora…) ma che vive soprattutto dell’intenso erotismo che sprigiona dalla protagonista femminile. Il consiglio è di cercare le due pellicole e di farsi un’idea senza condizionamenti critici.

 
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