martedì 17 maggio 2016

Melancholia (2011)

di Lars Von Trier
 
Lars Von Trier è autore geniale e ispirato, capace di qualunque impresa, persino di raccontare una non storia mascherata da racconto fantascientifico per parlare di depressione, angoscia, male di vivere e inquietudine esistenziale. Questo è, infatti Melancholia, al di là della struttura fantastica e della premessa catastrofica secondo cui la Terra verrà colpita da un pianeta in rotta di collisione finendo per annientare la vita. Alla fine, sembra dire il regista, proprio chi è preparato a convivere con i propri fantasmi, con gli incubi della malinconia e con un feroce comportamento bipolare, riesce ad accettare con serenità l’idea della morte, come destino ineluttabile. Melancholia è diviso in un prologo e due parti così diversi tra loro da sembrare tre film in uno. Il prologo è stupendo, una vera gioia per gli occhi e per gli orecchi, tra musica di Wagner (Tristano e Isotta) e immagini evocative che in pratica raccontano la storia che sta per cominciare, ma lo spettatore lo comprende soltanto dopo. Nella prima parte si descrive il carattere di Justine (Dunst) e il mancato matrimonio - che fallisce proprio durante il giorno della grande festa -, le sue follie caratteriali da depressa cronica e l’impossibilità di vivere una normale esistenza. Justine è figlia di una madre - la rediviva quanto brava Rampling - dura e contraria al matrimonio, poco sentimentale e in fondo folle come la figlia, ma anche di un padre superficiale e privo di carattere.
La seconda parte racconta la diversità della sorella Claire (Gainsbourg), che si è costruita una famiglia con un marito ricchissimo e un figlio, vorrebbe aiutare la sorella a uscire dalla depressione, ma non riesce a fare niente, neppure ad aiutarla a sposarsi. Soltanto nella seconda parte il tema fantascientifico si dipana con ottimi effetti speciali del pianeta in rotta di collisione, ma soprattutto descrivendo il terrore che poco a poco s’impadronisce dei personaggi. Stupenda fotografia, tecnica di regia originale, molta macchina a mano, spesso usata come se si stesse girando un film amatoriale, soprattutto durante la festa di nozze. Lars Von Trier parla di se stesso, come sempre, fa della propria vita un’opera d’arte, come ogni grande autore, racconta una depressione vissuta sulla propria pelle e vuol far capire come le persone depresse mantengano la calma in situazioni di stress e quanto sia foriera di ispirazione poetica la depressione. Bravissime le attrici, non solo Kirsten Dunst - formidabile malata mentale - premiata al 64° Festival di Cannes, ma anche Charlotte Gainsbourg, eccellente nella disperazione della seconda parte, quando perde il suo aplomb e la sua sicurezza da donna normale che dirige una famiglia. Le due donne sono i pilastri della pellicola, attraverso i loro caratteri opposti e il loro rapporto conflittuale Von Trier racconta la sua visione del mondo, descrive la depressione, l’angoscia, il terrore e il senso di ineluttabile sconfitta che s’impadronisce dell’uomo di fronte alla morte. Melancholia non è soltanto un pianeta fantastico, è il mostro con cui conviviamo giorno dopo giorno, è il male di vivere che ti coglie improvviso e non ti permette di apprezzare quanto di bello esiste intorno a te, ma è anche un destino feroce, un mistero angoscioso che pervade la vita di ogni uomo e che si fa più incalzante nel breve volgere dei giorni. Lars Von Trier usa il genere fantastico per mettere in scena un dramma teatrale e psicologico dei sentimenti, mettendo in luce tutta la debolezza umana di fronte al terrore della prossima fine. Straordinario.
 
Regia: Lars Von Trier. Soggetto e Sceneggiatura: Lars Von Trier. Fotografia: Manuel Alberto Claro. Montaggio: Molly Marlene Stensgaard. Scenografia: Jette Lehmann. Genere: Fantascienza, Drammatico. Durata: 130’. Paesi di Produzione: Danimarca, Germania, Francia, Svezia, Italia. Interpreti: Kirsten Dunst (Justine), Charlotte Gainsbourg (Claire), Kiefer Sutherland (John), Alexander Skarsgard (Michael), Brady Corbet (Tim), Cameron Spurr (Leo), Charlotte Rampling (Gaby), Jesper Christensen (Piccolo Padre), John Hurt (Dexter), Stellan Skarsgard (Jack), Udo Kier (Wedding planner).

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lunedì 9 maggio 2016

Amando De Ossorio e L'eretica (1975)


Regia: Amando De Ossorio. Soggetto e Sceneggiatura: Amando De Ossorio. Fotografia: Vincente Minaya. Trucco: Ramon De Diego. Produttore: Isaac Hernandez. Produttore Esecutivo: Julio Vallejo. Musiche: Diergo Victor. Montaggio: Pedro Del Rey. Produzione: Richard Films. Interpreti: Marian Salgano, Julian Mateos, Tota Alba, Fernando Sancho, Lone Fleming, Angel Del Pozo, Kali Hansa, Daniel Martin, Marian Salgado, Roberto Camardiel, Maria Kosti.

 

Amando De Ossorio Rodriguez, nato a La Coruna il 6 aprile del 1918, è uno dei migliori registi horror iberici, definito da alcuni un eterno ragazzo con il sogno del cinema, perché fin da bambino è attratto dalla settima arte. Nato da famiglia benestante e di cultura elevata, fan di Greta Garbo e di Ernst Lubistch, s'innamora del Dracula di Tod Browning e del Frankenstein di James Whale, che contribuiscono a far nascere in lui la passione per il genere horror. Dopo gli studi superiori abbandona l'Università e si dedica a scrivere adattamenti radiofonici di opere letterarie, studia giornalismo e si trasferisce a Madrid. Primi cortometraggi datati 1942: El misterio de la endemoniada e El ultimo carneval. A sorpresa, visto il personaggio, entra in banca e torna a La Coruna, ma dopo sette anni nuova fuga verso il cinema in direzione della capitale. Collabora ancora con la radio, lavora nella pubblicità e scrive soggetti per il cinema, ma non è soddisfatto di come i registi li realizzano. Per questo decide di mettersi in proprio e nel 1956 realizza il primo lungometraggio: Bandera negra, perseguitato dalla censura franchista, che emargina il regista. Il suo secondo film esce nel 1964 ed è un western: La tumba del pistolero, seguito da Malenka (1968), diventato un classico del cinema iberico. I suoi horror migliori escono nei primi anni Settanta e si caratterizzano per un'insolita vena esoterica legata ai templari. Alcuni titoli: La noche del terror ciego, El ataque de los muertos sin ojos, El buque maldito, La noche de las gaviotas (in Italia noto come Terror beach o La notte dei reuscitati ciechi). De Ossorio cavalca la moda dell'horror, genere che ama, e gira pellicole cult come Las garras de Lorelei, La noche de los brujos e La endemoniada (uscito in Italia come L'eretica). Il regista galiziano gira anche Pasion prohibida (1980), un erotico - genere che non lo coinvolge più di tanto - interpretato dalla diva del tempo Susana Estrada. Dopo un flop (unico in carriera) come Serpiente del mar (1984) decide che è il momento di lasciare il cinema e di occuparsi di scrittura e televisione. Muore il 13 gennaio 2001 a Madrid.

 
L'eretica (il titolo originale La endemoniada è ben più calzante) è uno dei pochi film di De Ossorio che si sono visti sul territorio nazionale – insieme alla saga dei resuscitati ciechi - ed è un lavoro che risente del grande successo de L'esorcista (1973) di William Friedkin, ma presenta una sua ben precisa originalità. Esorcistico molto esoterico, collegato a temi di stregoneria, racconta le vicissitudini di una setta di adoratori di Satana che decide di sacrificare un bambino al principe delle tenebre. La polizia indaga e scopre una strega, Madame Guiterre, responsabile del rapimento, che non solo rifiuta di parlare ma per non subire ulteriori pressioni si getta dalla finestra e si uccide. Non è finita qui, perché la strega torna dalla morte e s'impossessa della giovane Susan, figlia del Ministro degli Interni, e la trasforma nella reincarnazione della divinità Astarot. Nessuno in famiglia è disposto ad ammettere la possessione demoniaca della ragazzina, anche se si comporta in modo stranissimo e violento, fino a rapire il cuginetto per sacrificarlo a Satana. L'esorcista Padre Juan decide di intervenire e di impedire altri misfatti in nome del dio delle tenebre, mettendo in scena una lotta contro il male senza esclusione di colpi, che porta in primo piano una vecchia storia d'amore del passato.


Amando De Ossorio ha visto e amato L'esorcista, perché gira sequenze che ricordano la pellicola statunitense, come la levitazione dell'indemoniata, il cambiamento di voce e i comportamenti satanici, ma il suo film è tra gli esorcistici più originali perché gode di una sceneggiatura legata al mondo della stregoneria. Ottimi gli effetti speciali, visto il periodo storico, soprattutto il suicidio della strega, la trasformazione in fantasma e la possessione demoniaca, ma non è da meno la battaglia finale tra il prete e la presenza malefica. De Ossorio non dimentica la vocazione al melodramma tipica del cinema iberico inserendo una parte romantica che condiziona le azioni del prete nel corso dello scontro con le forze del male. Un ottimo film, ben fotografato con toni ocra, cupo e malinconico, molto vicino per ispirazione a L'anticristo (1974) di Alberto De Martino e L'ossessa (1974) di Mario Gariazzo, inferiore al primo ma superiore al secondo per tensione e realizzazione. Un film legato ai tempi in cui l'horror europeo sfornava prodotti d'imitazione che rivaleggiavano con gli originali d'oltreoceano. Tempi lontani, purtroppo.

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