domenica 30 ottobre 2016

Pensione amore serVizio completo (1979)


di Luigi Russo



Regia: Luigi Russo. Soggetto: Luigi Russo. Sceneggiatura: Luigi Russo, Ezio Passadore. Fotografia: Luigi Russo. Montaggio: Anita Cacciolati. Scenografia e Costumi: Gisella Longo, Ivana Manni. Direttore di Produzione: Manfredi Marzano. Operatore alla Macchina: Enzo Frattari. Fotografo di Scena: Gianni Caramanico. Musiche: Stelvio Cipriani. Edizioni Musicali: International Music. Produttore: Enzo Doria per T.R.A.C.. Distribuzione: T.E.I.. Teatri di Posa: Cinestudi Dear. Doppiaggio: S.A.S.. Negativo: Fujicolor. Sviluppo e Stampa: La Microstampa. Durata: 91’. Genere: Commedia Sexy. Interpreti: Christian Borromeo, Loredana (Lory) Del Santo, Anna Valentino, Giorgio Ardisson, Clara Colosimo, Ajita Wilson, Cha Landress, Marina Daunia, Angie Vibeker, Piero Mazzinghi, Cosimo Milone, Francesca Guidato, Marco Bonelli, Anna Valentino, Franco Bagagli.



Pensione amore serVizio completo di Luigi Russo (1979) comincia come una commedia scolastica, prosegue come un film da peccati in famiglia con protagonista un adolescente alle prese con i primi turbamenti sessuali, contaminando il settore sexy professioni, tra cameriere, domestiche e pensioncine equivoche. Si tratta del primo film che vede Lory Del Santo in un ruolo abbastanza importante - seconda nei titoli di testa - interpretato quando il suo personaggio televisivo non è ancora esploso. Lory si chiama ancora Loredana, non la conosce nessuno, insieme a lei c’è Christian Borromeo nei panni di Germano, un ragazzino superdotato che viene spedito alla pensione gestita dalla nonna (Clara Colosimo) dopo che il padre l’ha beccato a letto con la cameriera. L’incontro tra il ragazzo e la bella Loredana avviene proprio nella località di mare dove ha sede la pensione, ma si limita a una serie di sguardi e di sbirciate galeotte sul mare, mentre la seducente attrice esce dalle acque per andare in cabina. 



Subito dopo la pensione diventa una specie di bordello, perché la nonna comprende che il giovanotto ha ereditato la dote del nonno e pensa di usarla per combinare incontri tra il giovane e le signore del paese che vogliono provare il prezioso arnese. Il giovanotto se la fa pure con la cameriera Marina Daunia e la domestica Angie Vibeker, che minacciano di licenziarsi se non verranno lasciate libere di provare le doti del ragazzo. Tra i motivi d’interesse la presenza del transessuale Ajita Wilson in un ruolo piuttosto spinto, come moglie di un depravato Ardisson, che ama guardarla mentre fa l’amore con il ragazzino.


Il film capovolge alcune regole della commedia sexy, perché oggetto d’interesse erotico non è una giovane donna ma un quasi diciottenne superdotato. Vediamo abbiamo alcune sequenze nelle quali la cameriera Marina Daunia spia il ragazzino dal buco della serratura, infine apprezziamo una doccia e un bagno di un giovanissimo Christian Borromeo. Un film impensabile ai tempi nostri così politicamente corretti, perché il protagonista è minorenne e quello che viene fatto ai suoi danni si chiama pedofilia. Lory Del Santo torna proprio a fine pellicola per guarire il protagonista da una forma di impotenza sessuale da indigestione erotica, nonostante le potenti dosi di zabaione preparate dalla nonna. Memorabile la sequenza in riva al mare durante la quale la non ancora famosa showgirl si esibisce in una sorta di danza erotica e in un castigato strip, fino a interpretare una scena di sesso sulla battigia, che non vediamo perché coperta da una duna e dalla parola Fine.



Pensione amore serVizio completo non è un buon film, né da un punto di vista comico né da quello erotico, si tratta di un lavoro poco riuscito, una commedia sexy minore, girata con approssimazione e con stile da cinema hard. Fotografia sporca e anonima del regista, che fa quasi tutto da solo, visto che è responsabile in parte anche di soggetto e sceneggiatura. Il cinema italiano era davvero diverso negli anni Settanta se un simile prodotto può vantarsi di presentare una colonna sonora firmata da Stelvio Cipriani. Da notare che il sottotitolo è scritto proprio così: SerVizio, per sottolineare la parola vizio.



Luigi Russo (Sanremo, 1931) è regista prolifico e tuttofare, di buona competenza tecnica perché scrive, monta, dirige e fotografa quasi tutti i suoi film, ma non lascia certo opere memorabili. La sua produzione è quasi tutta erotica, ai limiti del porno, caratterizzata per rozze confezioni e storie piuttosto improbabili, raccontate a base di sceneggiature raffazzonate. Troviamo suoi film anche firmati con lo pseudonimo di John Wilder. rapida carrellata di titoli. I sette magnifici cornuti (1974) è un pessimo film a episodi girato con una fotografia da film hard e basato su sette soggetti di argomento erotico che faticano a strappare un sorriso. 



Tra le protagoniste femminili: Femi Benussi, Didi Perego e Paola Maialini. Morbosità (1974) vede impegnate Jenny Tamburi ed Eva Czemerys insieme a Gianni Macchia per un modesto erotico - provinciale ambientato a Modena. La nuora giovane è il film migliore di Luigi Russo ed è il più spinto interpretato da Simonetta Stefanelli che si cala nei panni di una bella nuora che fa innamorare Philippe Leroy. La bella e la bestia (1977) è soltanto un modesto film erotico, mentre Una bella governante di colore (1977) è una vera commedia sexy sulla falsariga di Malizia con la variante della cameriera nera (Ines Pellegrini). 



Luigi Russo abbandona la commedia sexy e gira un film come Porca società (1978), interpretato da Saverio Marconi e Mirella D’angelo, per tentare un discorso approfondito sulla società contemporanea. Tutto il resto è erotico, in alcuni casi ai limiti dell’hard, spesso in doppia versione per l’estero: Dolly il sesso biondo (1979), Pensione amore servizio completo (1979), Due gocce d’acqua salata (1982), Adamo ed Eva, la prima storia d’amore (1982), Le diaboliche (1989) e L’amante scomoda (1990). 


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lunedì 24 ottobre 2016

La Rivista del Cinematografo e la mia Storia dell'Horror Italiano


La Rivista del Cinematografo di Ottobre 2016
(la più antica rivista di cinema italiano, dal 1928, parla di me)

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sabato 15 ottobre 2016

Il mio amico Tonino Valerii

di Ernesto Gastaldi



Quando superi gli 80 cammini con la testa all'indietro, per guardare gli amici che se ne sono andati o quelli che stanno per andarsene. Tonino Valerii, il mio più caro amico che ho avuto nel mondo del cinema è uno di questi. L’ho conosciuto nell’ottobre del 1955 al Centro Sperimentale di Cinematografia, eravamo entrambi stati ammessi al primo corso di regia e sceneggiatura. Era pallido, magro, con occhi celesti, appassionato ai grandi autori cinematografici da Dreyer a Lubitsch e agli allora contemporanei
Bergman, Visconti, Rossellini, DeSica e ai crescenti Fellini e Antonioni con il loro carico d’arte e di psicoanalisi, ma destinato invece a diventare uno dei più grandi registi del western italiano.
Dal 1955 al 1957 io e Tonino e gli altri nostri compagni vivemmo due anni pieni di eccitazione e di speranze sotto la guida in un grande come Alessandro Blasetti e di un bravo autore come Giorgio Prosperi, ma anche con una borsa di studio e un pasto gratuito in mensa.


Finita la scuola, gettati per strada, dovemmo cercare ognuno la nostra via. Per me furono anni di fame, per Tonino no, il padre gli pagava una pensione pasti inclusi e così la domenica mi invitava per un vero pasto completo, con la padrona di casa, la sora Giggia, che mi si metteva dietro la mia sedia a mani giunte, esclamando incredula “ma quanto magni fijo bello”: mangiavo per tutta la settimana a venire.
Poi io e Tonino cominciammo a ingranare: qualche soggetto venduto, le prime sceneggiature per filmetti commerciali modesti, lavori condivisi, sceneggiature scritte in una notte in un continuo zampillare di battute esilaranti e canzoncine di accompagno mentre le nostri giovani mogli (eh sì, c’eravamo sposati entrambi) ci portavano dozzine di caffè.


Poi io diressi il mio primo film, Libido, e lui seguì col suo primo western, Per il gusto di uccidere. Ormai la nostra strada era professionalmente segnata: io avrei scritto dozzine di thriller e lui diretto capolavori western.
Io affittai un attico in via Nemorense 39 da Ettore Scola e Tonino venne ad abitare al 31, io comprai un bicamere al Circeo in un villino e lui comprò l’appartamento accanto.
Un'amicizia che diventò simbiosi di due famiglie e che, come frutti eccellenti, partorì I giorni dell'Ira, Una ragione per vivere e una per morire, Il prezzo del potere e Il mio nome è Nessuno.


Tonino era un abruzzese buongustaio e io un piemontese amante del buon vino, entrambi montanari, però lui era anche un grande cuoco e spesso nelle estati circeiane scendeva nel giardino con un pacco di spaghetti sotto il braccio per farci dei sughi clamorosi.
In età già avanzata, costretto a una dieta per il diabete, mi raccontava di sognare spesso di alzarsi dal letto coniugale per infilarsi in una garçonnière... per cucinarsi un colossale piatto di spaghetti all'amatriciana!
Gli regalai una targa Er mejo cuoco der monno è il reggista Valer seconno. Valer Secondo perché teneva molto alle due i del suo cognome VALERII.


Tonino non amava che andassi sul set mentre girava, forse una forma di timidezza perché lo chiamavano maestro, del resto in quel periodo d'oro per il nostro cinema commerciale io non avevo molto tempo per andare sui set dei film che scrivevo al ritmo di mezza dozzina all'anno.
Nella vita il caso gioca una parte importante e anche nelle carriere dei registi si diverte a fare la sua parte: I giorni dell'Ira nacque come un piccolo film, coproduzione con la Germania, produzione degli indimenticabili fratelli Sansone: era la storia di un ragazzino che si metteva a servizio di uno spietato pistolero e alla fine uccideva il suo maestro obbedendo alle regole che gli aveva insegnato.
Si partiva da un soggettino scritto da un amico biellese, Renzo Genta, e la sceneggiatura scritta a quattro mani con Tonino divenne una storia appassionante che interessò l'allora grande divo Giuliano Gemma che ragazzino non era più, ma si adattò a ritornarlo e lo spietato pistolero ci arrivò da Sergio Leone con il volto meraviglioso di Lee Van Cleef.


Con questo cast non era più un filmetto ma un filmone ma il regista rimase il quasi esordiente Tonino. E fu subito gloria di incassi e di vendite in ogni Paese del mondo. Il destino western di Tonino era segnato e quando Sergio Leone per Il mio Nome è Nessuno licenziò il regista Michele Lupo per una incomprensione sulla sceneggiatura, io feci a Sergio il nome di Tonino che gli aveva fatto da aiuto nel film Per qualche dollaro in più. “Cotto e mangiato” come usava dire all'epoca e il grande Tonino si trovò dirigere Henry Fonda nelle pianure americane. Un impegno tremendo, sapendo che a Roma Sergio Leone guardava i giornalieri, ossia le scene che Tonino stava girando negli States. Henry Fonda si rese conto del carico che gravava sulle spalle di Tonino che aveva qualche problema a dirgli di ripetere una scena non riuscita bene, lo prese in disparte e gli disse che doveva trattarlo come l'ultima delle comparse e liberarsi dal timore reverenziale, sia nei suoi confronti che in quelli di Sergio. Grande Henry!
Io seguivo l'andamento delle riprese dal mare, mi ero comprato un barca a vela e ricevevo spesso radiotelefonate da Sergio su dettagli del copione via via che Tonino girava le scene.


Il film stava crescendo e si capiva che era un capolavoro nel suo genere. Riuscì tanto bene che in una conversazione telefonica di Leone con Spielberg questi gli disse che il suo più bel film era... Il mio nome è nessuno! Da quel momento Sergio cominciò a lasciare intendere che effettivamente ci aveva messo lo zampino: questo fece soffrire moltissimo l'amico Tonino che aveva permesso a Sergio di girare un paio di scene in Spagna perché il film era in ritardo, si trattava di due scenette minori e neppure delle meglio riuscite.
Ormai Tonino Valerii non aveva messo solo Beauregard nei libri di Storia ma anche il proprio nome in quella del cinema mondiale.
Scherzando, spesso ci dicevamo che non esistono storie a lieto fine perché se si continuano si scoprirà che il Principe Azzurro muore di cancro alla prostata e la Bella Principessa di Alzheimer quindi il trucco sta nello smettere di raccontare al momento giusto. Purtroppo nella vita non si può fermare il tempo e tutto arriva alla fine.


Così il 13 0ttobre 2016 è morto il mio più grande amico nel mondo del cinema, il grande regista TONINO VALERII. Lui era nato a maggio del 1934, io a settembre. I funerali si terranno il giorno 15 nella cappella della Sacra Famiglia in largo Respighi Ottorino 6, zona Camilluccia (evitate l’omonimia con Ciampino...).
Abbiamo condiviso un lungo tratto di vita, dai venti agli 80 anni e abbiamo lavorato insieme a molti film, ma per quel che più conta è stata la salda calda amicizia. Quando finiva di girare un film e cercava il prossimo ero solito a incitarlo ridendo: Corri,Tonino, corri!, ora mi è corso avanti, presto conto di raggiungerlo.



Ernesto Gastaldi


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mercoledì 5 ottobre 2016

Il macellaio (1998)

di Aurelio Grimaldi

Regia: Aurelio Grimaldi. Soggetto: Alina Reyes (romanzo Le Boucher), Sceneggiatura: Aurelio Grimaldi. Fotografia: Romano Albani. Montaggio: Mauro Bonanni. Musiche: Maria Soldatini. Produttore: Marco Poccioni, Marco Valsania (Freeway Production). Costumi. Carlo Cordaro. Scenografia: Manuel Gilberti. Interpreti: Alba Parietti, Miki Manojlovic, Lorenzo Majnoni, Giulio Base, Caterina Vertova, Rosa Pianeta, Lucia Sardo, Alessandra Costanzo, Barbara Cavallari.
Il macellaio è uno di quei film che simboleggia molto bene la crisi del cinema italiano degli anni Ottanta, perché neppure un regista impegnato come Aurelio Grimaldi riesce a impostare un clima erotico psicologico degno di questo nome e finisce per annoiare a morte il povero spettatore. Il macellaio e La donna lupo (1999) - persino peggiore, con Loredana Cannata più inespressiva di Alba Parietti - sono le due macchie indelebili in una carriera interessante che vede Grimaldi scrivere soggetti come Mery per sempre e Ragazzi fuori, ma anche regista pasoliniano degli ottimi Nerolio (1995), Rosa Funzeca (2002) Un mondo d'amore (2003). Diciamo che l'erotismo non è proprio il suo forte e forse il romanzo Le boucher di Alina Reyes avrebbe avuto miglior ralizzatore per immagini in Tinto Brass che su quella storia doveva girare Tenera è la carne (1992), rimasto incompiuto per la morte del produttore Pino Giovannini. La trama del film si riassume in poche righe. Alba Parietti è Alina, trentenne in crisi, direttrice di una galleria d'arte, sposata con Daniele (Base), importante direttore d'orchestra che spesso la lascia sola a Roma per andare in turné.
Alina vorrebbe adottare un figlio per dare un senso alla sua vita ma nel frattempo sente che il suo rapporto con il marito si sta affievolendo dal punto di vista erotico. Un giorno ha un malore e le viene diagnostica una forma di anemia che va curata consumando molta carne. Scatta la molla erotica del film con la conoscenza del tenebroso macellaio e soprattutto con la visione di un suo intenso rapporto con la commessa nel retrobottega. A questo si aggiungono i sogni erotici di Alina che ricorda il giorno in cui un collega gallerista provò a farsi avanti e lei rifiutò la proposta. Il rapporto adulterino con il macellaio va a buon fine, invece, approfittando di un'assenza del marito, proprio sul talamo nuziale, che copre tutta la lunghissima parte finale - forse la più interessante - e vede la coppia impegnata in rapporti focosi e fantasiosi (vedi sequenza della panna sul corpo). Il film finisce con il ritorno alla normalità: l'amante se ne va, un fax annuncia il rientro del marito e la donna osserva il panorama di Roma che si specchia in un'alba luminosa.
Il problema principale del film sta in un soggetto ai minimi termini e in una sceneggiatura che non prova neppure a dare un senso psicologico agli eventi e alle scelte della protagonista. La fotografia è discreta, il montaggio lentissimo e compassato, la musica cupa e angosciante, la regia tutto sommato sufficiente, grazie a diversi piani sequenza e ad alcune sequenze erotiche davvero ben girate. Gli attori sono inespressivi, sia la Parietti - per quanto molto bella e molto nuda - che il truce amante Manojlovic, per non parlare di Base nei panni del marito cornuto. La critica ha parlato di un fumettaccio erotico (Bertarelli, Il Giornale), ma non offenderei i vecchi fumetti erotici, che avevano una loro dignità popolare e non ambivano a risultati alti, mentre qui si nota l'ambizione di realizzare un dramma psicologico, alla prova dei fatti del tutto disattesa.
I personaggi sono privi di spessore, agiscono e lo spettatore si domanda il perché di certe azioni, inoltre nella parte finale il regista si abbandona a un alternarsi stucchevole di sesso e immagini di un'orchestra che suona, non solo incomprensibile, ma davvero fuori luogo. Il solo significato che uno spettatore con spiccato senso dell'umorismo (erotico) può dare alle sequenze è che moglie e marito suonano in contemporanea... A parte le battute, un film non riuscito, sia dal punto di vista drammatico che squisitamente erotico. Grimaldi riesce a fallire tutto il fallibile.

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